“Il finanziamento della sanità non cresce e dopo i proclami di Pd, M5S e Leu non si può non essere delusi”. È questo il sentiment del presidente della Fondazione Gimbe,
Nino Cartabellotta che in quest’intervista torna a parlare delle prime mosse del nuovo Governo giallo rosso sulla sanità sulle quali si era già soffermato nella
recente analisi sul Nadef.
Ma non solo, in questa intervista esclusiva con QS, Cartabellotta traccia un'analisi senza sconti anche su quello che da molti è atteso come un vero momenti di svolta per la sanità, il nuovo Patto per la Salute tra Governo e Regioni, ormai vicino alla possibile sigla: “È uno strumento anacronistico e spesso è solo una lotta tra Governo e Regioni sulle risorse”. Dubbioso anche sulla riforma dei ticket: “Stiamo attenti a non far scappare i cittadini nel privato”.
Presidente Cartabellotta, dai suoi primi commenti emerge una certa delusione per le prime mosse del Governo…
Leggendo le cifre della Nadef non potrebbe essere altrimenti. Il finanziamento della sanità non cresce e dopo i proclami di Pd, M5S e Leu non si può non essere delusi.
Ma il Ministro ha detto che ci saranno 2 mld di aumento…
Ma scusi dove sta la Quota 10, ovvero i 10 mld in più per i prossimi tre anni, promessa dal Pd? E anche quanto paventato dal Ministro Speranza nel suo ddl del 2018 e le promesse di investimento del M5S? Se guardiamo i numeri della NaDef non esistono. Insomma c’è una scarsa coerenza tra i proclami e quello che effettivamente dicono i numeri ufficiali. I soldi che mettono non coprono nemmeno l’inflazione.
Quindi nulla di nuovo sul fronte occidentale?
Il messaggio preoccupante è che questo governo continua con il trend di quelli precedenti. Insomma, il nostro Ssn è come un paziente che sta in terapia intensiva, i governi gli danno quel filo di ossigeno per mantenerlo in vita ma non fanno nulla per farlo uscire dalla rianimazione.
Il Governo però ha ripreso in mano il Patto per la Salute. Non crede che possa, a prescindere dalle risorse, portare dei benefici al sistema?
Ma guardi il Patto per la Salute è uno strumento anacronistico.
Perché?
Innanzitutto la durata di 3 anni è troppo breve per una reale attuazione. Ma il punto dirimente è che il Patto ogni volta rappresenta in realtà un momento di scontro tra Stato e Regioni sul finanziamento.
Insomma, mi sta dicendo che alla fine è solo una questione di soldi?
Se io penso al vecchio Patto 2014-2016, in esso ha prevalso la regola no-money no-Patto, cioè nel momento in cui Renzi decise di togliere le risorse previste dal Patto le Regioni decisero di non portare avanti le riforme previste e il Patto fu ribattezzato ‘Pacco per la Salute’.
E ora?
Il Governo precedente ha deciso furbescamente di invertire i fattori e si è passati al
no-Patto no-money, ovvero prima si stipula l’intesa e poi ti do i soldi. Ma in ogni caso l’accordo doveva arrivare entro il 31 marzo ma dopo continui tira e molla, proprio sul tema della garanzia delle risorse, con la famosa clausola di salvaguardia voluta dal Mef, non si sono ancora messi d’accordo e il 2019 è praticamente finito.
Ma ora la clausola è stata tolta dal Ministero della Salute e sembra che Speranza e Bonaccini vogliano chiudere entro breve…
Ma guardi aver tolto la clausola non significa nulla, nessun ministro della Salute oggi potrà mai garantire fondi aggiuntivi se ci sono problemi di finanza pubblica. In ogni caso mi auguro che chiudano il Patto al più presto, anche perché se non lo fanno il Mef avrebbe tutte le buone ragioni - lo dice la Manovra che senza accordo non ci sono le risorse in più - per reinserire la clausola di salvaguardia e non mettere sul piatto i soldi.
Va bene, ma a parte il problema dirimente dei soldi non la convincono le riforme inserite nel Patto?
Leggendo le singole schede trasmesse dalla Salute alle Regioni non correggerei quasi nulla, è una programmazione sana, ma come le dicevo è proprio lo strumento Patto che non va perché dovrebbe durare come minimo 5 anni, al di là dei Governi, in un’ottica di visione di prospettiva di crescita e mantenimento del Ssn. Altrimenti sarà, com’è sempre stato una guerra di risorse e un bell'esercizio di stile nella stesura di misure che non vengono mai portate avanti. E tra l’altro mi faccia dire anche che le riforme quando si fanno vanno portate avanti e seguite, penso per esempio ai nuovi Lea, li abbiamo approvati nel 2017 ma manca il Dm Tariffe per cui nei fatti sono inapplicati, e lo stesso dicasi per la Legge Gelli sulla Responsabilità professionale.
In questi giorni si è tornati a parlare di riforma dei ticket e di abolizione superticket. La convincono queste mosse?
La riforma dei ticket è una misura dal sapore nazional popolare e credo che il primo intervento da fare sia sull’incentivare l’uso dei farmaci equivalenti (siamo tra gli ultimi in Europa per l’utilizzo) dato che un terzo della spesa di compartecipazione riguarda la differenza che i cittadini pagano tra il branded e il generico. Sulla revisione delle fasce di reddito credo che se non fatte bene rischiano di far fuggire le persone del ceto medio-alto verso il sistema privato. Secondo me vanno rimodulati i ticket sulle singole prestazioni anche per disincentivare il consumerismo sanitario e l’elevata inappropriatezza che questo si porta dietro.
E sull’abolizione del superticket?
Il Ministro ha detto che servono 490 mln, ma da dove si prendono le risorse? Non certamente dal Fondo sanitario che come sappiamo è già sottofinanziato. E poi, anche se si trovassero le coperture è molto complicato fare un riparto tra le Regioni che in questi anni hanno tutte applicato il superticket in modo differente. Si potrebbe partire dal metodo di riparto usando per il fondino da 60 mln ma è chiaro che è una partita politicamente difficile. E poi mi faccia dire che la percezione popolare dell’impatto del superticket è ampiamente superiore alla sua reale portata. Stiamo parlando di una voce che incide meno dello 0,5% della spesa sanitaria.
Cambiamo tema, la carenza di personale. Che ne pensa delle proposte delle Regioni? I medici per esempio le hanno bocciate…
Il problema è che il definanziamento del Ssn, che noi stimiamo in 37 mld negli ultimi 10 anni, per quasi la metà è stato scaricato sul personale dipendente e convenzionato con il blocco del turnover, il blocco degli stipendi e un numero di borse di specializzazione in medicina insufficiente. Ma il punto vero è un altro.
Quale?
Oggi non possiamo pensare di fare una nuova programmazione dei fabbisogni di personale ad invarianza organizzativa e tecnologica. Insomma, non possiamo pensare ad una sostituzione
one-to-one, sarebbe negare che nel futuro le tecnologie avranno un peso sempre più rilevante e che serviranno molti più professionisti sanitari a partire dagli infermieri anche per l’aumento atteso dei malati cronici che andranno curati sul territorio. Non ci dimentichiamo che siamo tra i paesi Ocse ad avere un rapporto tra i più alti tra medici e popolazione uno dei più bassi tra infermieri e cittadini.
Il Governo parla di un piano straordinario assunzioni. Ma anche se ci riusciamo e mettiamo un numero adeguato di borse di specializzazione, se non rilanciamo gli stipendi tutti i professionisti saranno incentivati ad andare all’estero dove le retribuzioni sono nettamente più alte.
Passiamo ad un'altra questione, quella delle autonomie. Come la vede?
In sanità partiamo da una grande spaccatura nord-sud. Sulle autonomie si può ragionare ma prima va potenziato il ruolo dello Stato che deve avere i poteri per riprendere in mano chi non gestisce bene. Senza questo strumento di verifica, rischiamo di far andare più veloce chi già va bene acuendo le disuguaglianze.
Ma il nuovo Governo, e soprattutto il Ministro Speranza, ha posto la lotta alle disuguaglianze tra le sue priorità...
Proprio per questo vedo una contraddizione tra le parole di Speranza e il programma di governo. Ripeto, potenziamo prima il Ministero dandogli strumenti adeguati di monitoraggio, verifica e intervento per correggere eventuali distorsioni e poi concediamo le autonomie. E in ogni caso credo serva una fase di sperimentazione perché l’esito delle autonomie rappresenta un’incognita.
Anche il nuovo Governo ha nella riforma della medicina del territorio un suo cavallo di battaglia. Ma anche qui, sono decenni che se ne parla ma in molti sostengono che siamo rimasti ancora al Dr. Tersilli…
Più che di territorio credo sia opportuno parlare di cure primarie. Ma chiariamoci non è solo con la riforma della medicina generale e della pediatria che risolviamo la questione. Occorre un sistema di cure intermedie, assistenza domiciliare, hospice, e un sistema socio sanitario integrato. Dobbiamo renderci conto che il cittadino vuole riconoscere il luogo fisico di cura. Laddove per esempio le Case della Salute funzionano è perché i cittadini trovano soddisfatti i loro bisogni e in quel luogo trovano le risposte e non si rivolgono al pronto soccorso. Dobbiamo quindi immaginare degli staff in setting diversi. E poi anche qui c’è un problema di spesa.
Cioè?
Soprattutto al Sud si spende troppo per l’ospedale mentre dobbiamo assolutamente investire nelle cure primarie. Auspico quindi dei nuovi standard per il territorio e credo che sarebbe anche il caso di istituire un Fondo socio sanitario nazionale in modo da mettere ordine alla frammentazione che abbiamo oggi tra i vari livelli istituzionali.
E sulla farmaceutica che mi dice, la spesa ospedaliera è fuori controllo…
La governance ha un peccato originale. Noi siamo l’unico paese dove l’ente è sia regolatore che addetto all’Health techology assessment. Tutto ciò è controproducente. In generale servirebbe un unico Ente terzo che si occupasse di Hta mettendo ordine tra le varie competenze che oggi hanno Iss, Aifa, Ministero della Salute e Agenas.
Luciano Fassari