Altro che accelerazione e incardinamento ormai prossimo in Consiglio dei Ministri. Per la richiesta di ulteriori autonomie da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna è arrivato un brusco stop cui potrebbe seguire una non breve fase di stallo. Lo scorso lunedì, durante il vertice sulla materia a Palazzo Chigi, il premier
Giuseppe Conte si è presentato di fronte ai ministri e sottosegretari leghisti con un documento di 12 pagine che getta numerose 'ombre' sul testo dell'intesa. Una mossa, questa, che aveva fatto tuonare Lega contro i “burocrati” che avevano resa vana l’ennesima riunione.
Nel documento redatto dagli uffici legislativi e giuridici di Palazzo Chigi e che mettiamo a conoscenza dei nostri lettori vengono evidenziate numerose criticità: dal rischio di minare il riparto di competenze tra Stato e Regioni, disciplinato dall'articolo 117 della Costituzione, in caso di richiesta di ulteriori autonomie da parte di tutte le regioni italiane, al rischio per il bilancio dello Stato, fino alla necessità, per i tecnici di Palazzo Chigi, di riconoscere al Parlamento la facoltà di modificare le intese sulla base dell'articolo 1 della carta costituzionale.
Estensione autonomie mina il riparto di competenze dell’art. 117 della Costituzione
Una così ampia estensione dell’autonomia, si legge nel documento, è "
suscettibile di determinare, di fatto, la creazione di nuove Regioni a statuto speciale per il tramite delle procedure di cui all’articolo 116, terzo comma, Cost.. Deve, inoltre, considerarsi l’eventualità in cui tutte le Regioni di diritto comune avanzino richieste di analogo contenuto, riguardanti tutte le materie espressamente contemplate dall’articolo 116, terzo comma, Cost. In una simile ipotesi – che in linea teorica non può certo escludersi – il riparto di competenze di cui all’articolo 117 Cost. finirebbe per essere sostanzialmente alterato, mediante la soppressione implicita della competenza concorrente, in assenza di un intervento di modifica a livello costituzionale".
Partendo da questo assunto, i tecnici di Palazzo Chigi sottolineano come questa possa configurarsi "
una soluzione applicativa suscettibile di determinare qualche dubbio di costituzionalità". Si rimarca quindi come lo Stato sia competente ad intervenire, anche nelle materie trasferite, nell’esercizio della propria legislazione esclusiva, "
allorché sia necessario provvedere alla fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, dettare norme in materia di ordinamento civile e di tutela della concorrenza. A tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica, lo Stato potrà inoltre intervenire, laddove necessario, ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione".
Quanto poi alla sanità, si sottolinea come, l’affidamento ad alcune regioni di servizi a forte contenuto redistributivo "
potrebbe portare ad un indebolimento dei diritti di cittadinanza, nonché a problemi relativi all’individuazione di criteri per l’assegnazione delle risorse".
Ruolo del Parlamento ed emendabilità del disegno di legge che approva l’intesa
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L’applicazione dell’articolo 116, terzo comma, Cost., comporta l’attivazione di uno strumento di produzione normativa, ad oggi, mai utilizzato e costituito da elementi procedurali che lo rendono difficilmente comparabile con altre fonti del diritto previste dalla Costituzione. Nel delineare il relativo procedimento in sede di prima applicazione, appare necessario garantire il ruolo del Parlamento, assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese. L’emendabilità dei contenuti della proposta di legge da parte del Parlamento dovrebbe considerarsi ineluttabilmente insita nella “libertà” della funzione legislativa e, forse ancor più, nel ruolo centralissimo che la Costituzione assegna alle Camere, quali sede dell’esercizio della sovranità popolare su cui si basa, ex art. 1 Cost, la Repubblica", si spiega ancora nel documento.
Risorse finanziarie
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L’articolo 5 degli schemi di intesa - sottolinea il documento -
prevede che l’attribuzione delle risorse finanziarie alle Regioni sia basata, nelle more della definizione dei fabbisogni standard per ogni singola materia, sulla spesa storica riferita alle funzioni trasferite e destinata a carattere permanente, a legislazione vigente, dallo Stato alla Regione interessata. Inoltre, in considerazione delle difficoltà riscontrate nella definizione dei fabbisogni standard, gli schemi di intesa prevedono un meccanismo alternativo di determinazione delle risorse finanziarie per l’ipotesi in cui, trascorsi tre anni dall’entrata in vigore dei decreti attuativi, non siano stati ancora definiti i fabbisogni standard (articolo 5, comma 1, lett. b), degli schemi di intesa".
Per i tecnici di Palazzo Chigi questa previsione è però rischiosa in quanto "
in caso di perdurante assenza dei fabbisogni standard, le Regioni destinatarie di autonomia differenziata – che in base alla ratio sottesa all’articolo 116, terzo comma, Cost. dovrebbero, almeno di norma, essere regioni 'virtuose' nei settori in cui richiedono le più ampie condizioni di autonomia – riceverebbero, per mero effetto del decorso di tre anni, un ammontare di risorse pari almeno al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale (e quindi presumibilmente maggiore della spesa storica di riferimento per quella Regione)".
In sostanza, dunque, per i tecnici risulta evidente che un complessivo aumento della spesa statale per l’esercizio delle funzioni oggetto di autonomia differenziata, non solo contrasti con la
clausola di invarianza finanziaria prevista negli schemi di intesa, ma che inoltre non risponda alla logica di
efficientamento della spesa che deve presiedere all’attribuzione di maggiore autonomia alle singole regioni.
Previsione di un termine di durata dell’intesa
La mancata previsione di un termine di durata è suscettibile di rendere, di fatto,
irreversibile il processo in atto, "
posto che nei termini attuali una modifica delle intese sarebbe prefigurabile soltanto in presenza di un nuovo accordo Stato-Regione, volto a rivedere il complesso delle materie in un’ottica di (eventuale) riduzione dell’autonomia differenziata".