Al bilancio dei quaranta anni trascorsi preferisco alcune considerazioni circa le sfide del presente e del prossimo futuro per il nostro Servizio Sanitario Nazionale e per i principi che lo hanno informato dall’ormai lontano 1978.
Universalismo, presa in carico della persona nella sua integralità, gestione di prossimità attraverso le Regioni si devono confrontare non solo con i limiti che si sono già evidenziati ma ancor più con i nuovi scenari e con una domanda di salute più consapevole e perciò più esigente. In un contesto di finanza pubblica condizionata dal grande debito accumulato, la sostenibilità della spesa sanitaria e assistenziale è sottoposta alla pressione degli elevati costi della innovazione e della esplosione della cronicità.
Se questi oneri crescenti si dovessero configurare come mera spesa aggiuntiva, sarebbe inevitabile una forte lievitazione del fondo sanitario nazionale, delle risorse supplementari delle Regioni e delle Provincie autonome, delle entrate tributarie di loro competenza, delle modalità di copayment o di spesa out of pocket da parte degli stessi cittadini. Per fortuna, tuttavia, le ragioni dell'efficacia e dell'efficienza perfettamente coincidono se si assumono i fondamentali parametri della "appropriatezza" dei trattamenti rispetto al bisogno di salute e della "continuità assistenziale".
Questi impongono una coraggiosa ma necessaria politica di scomposizione e ricomposizione dei “fattori di produzione”, la cui premessa deve tuttavia essere una contabilità pubblica finalmente omogenea ed affidabile in tutte le aziende locali.
Così come le gestioni regionali possono ancor più esplicitamente definirsi a geometria variabile, tra sistemi meritevoli di maggiore autonomia, specie per quanto riguarda le entrate, in quanto efficienti e sistemi “meritevoli” di durevoli forme commissariali (non in capo ai Presidenti) in quanto inefficaci ed inefficienti.
Solo così potremo tutelare l’unita’ economica e sociale della Repubblica. Soccorrono a questo scopo i costi standard stabiliti dall'art. 25 del d.lg. n. 68/2011, secondo il quale «[...] il fabbisogno sanitario standard delle singole Regioni a statuto ordinario, cumulativamente pari al livello del fabbisogno sanitario nazionale standard, viene, poi, determinato “[...] applicando a tutte le Regioni i valori di costo rilevati nelle Regioni di riferimento”.
Le Regioni di riferimento, o benchmark, sono “le tre Regioni, tra cui obbligatoriamente la prima, scelte dalla Conferenza Stato-Regioni tra le cinque indicate dal Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentito il Ministro per i Rapporti con le Regioni e per la Coesione Territoriale, in quanto migliori cinque Regioni che, avendo garantito l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizione di equilibrio economico, comunque non essendo assoggettate a piano di rientro e risultando adempienti [...], sono individuate in base a criteri di qualità dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza [...]”.
Il decreto considera in equilibrio economico le Regioni che “garantiscono l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza e di appropriatezza con le risorse ordinarie stabilite dalla vigente legislazione a livello nazionale, ivi comprese le entrate proprie regionali effettive”. I costi standard vengono, così, computati a livello aggregato per ciascuno dei tre macrolivelli di assistenza sulla base della media pro capite pesata del costo registrato dalle Regioni di riferimento. Le proporzioni ottimali di spesa tra questi macrolivelli, in ciascun ambito geografico dei servizi socio-sanitari-assistenziali integrati, sono state individuate nel 5% per la prevenzione, nel 51% per i servizi territoriali e nel 44% per la spedalità.
La stessa gestione commissariale ha quindi il compito di produrre il riequilibrio finanziario proprio attraverso lo spostamento di risorse dalla funzione ospedaliera alle altre.
Il mutato quadro epidemiologico evidenzia d’altronde un ben diverso rapporto tra bisogni acuti e cronici. E le persone affette da patologie croniche richiedono di essere assistite appropriatamente nel proprio contesto familiare o, in subordine, in residenze ad esse dedicate.
Il ricovero ospedaliero, spesso sollecitato dall'eccesso di offerta in cerca di legittimazione o costretto dalla assenza di alternative, risulta invece inappropriato perché le competenze in questo ambito sono orientate ai malati acuti per cui si determina una attenzione marginale ai malati cronici che, quanto più anziani, peggiorano per il solo contesto. Le ragioni del bene-essere della persona coincidono quindi con quelle della economicità. Assistenza domiciliare e ospitalità in RSA comportano oneri da sette a dieci volte inferiori al ricovero ospedaliero.
D'altra parte, l'impetuoso sviluppo delle tecnologie diagnostiche e delle nuove capacità terapeutiche, ove si combinano farmacologia e moderni device, sollecitano la concentrazione delle funzioni ospedaliere non solo per contenerne i costi ma, ancor più, perché l'intenso impiego dell'innovazione ne garantisce una maggiore resa in termini di salute. Il trattamento dei bisogni acuti richiede peraltro la compresenza delle più diverse competenze specialistiche ed una adeguata massa critica in termini di casistica trattata per ciascuna patologia.
La concentrazione della offerta ospedaliera si deve ovviamente accompagnare con un efficiente servizio 118 che attraverso più vettori attrezzati consenta di condurre il malato alla struttura più idonea superando anche barriere orografiche. Sono peraltro disponibili altri indicatori di efficacia e di efficienza come il programma nazionale di valutazione degli esiti prodotto dall'Agenas e gli standard qualitativi, strutturali, quantitativi di assistenza ospedaliera definiti dal d.m. n.70 del 2015.
Il Programma Nazionale Esiti (PNE) è uno strumento operativo del Servizio Sanitario Nazionale a disposizione delle Regioni, delle aziende e degli operatori per il miglioramento delle performance e per l’analisi dei profili critici, attraverso attività di audit. Esso si integra con i programmi regionali, che possono utilizzare ulteriori sistemi informativi non ancora disponibili a livello nazionale. «Il PNE non valuta solo l’assistenza ospedaliera ma fornisce indicazioni utili, seppure indirette, sulla qualità dell’assistenza territoriale. Ogni indicatore di esito misura caratteristiche diverse del processo assistenziale e ha peso diverso in termini di rilevanza del problema e di impatto sulla salute. Nella edizione 2016 sono state inserite le valutazioni sintetiche di struttura specifiche per area clinica (treemap).
Per tutti gli indicatori inclusi nella valutazione sintetica sono state individuate le strutture con valori estremi. Tali strutture sono selezionate per i programmi di audit sulla qualità dei dati sanitari e clinico/organizzativi».
Il provvedimento è funzionale a un riassetto strutturale della rete assistenziale ospedaliera per ridurne significativamente i costi e garantire l’effettiva erogazione dei LEA. Il provvedimento prevede che non possano essere più accreditate nuove strutture con meno di 60 posti letto per acuti e che dal 1° luglio 2015 non possano essere sottoscritti contratti con strutture accreditate con meno di 40 posti letto per acuti, fatta eccezione per le strutture monospecialistiche. Dal 1° gennaio 2017 non possono, infine, essere sottoscritti contratti con le strutture accreditate con posti letto ricompresi tra 40 e 60 posti letto per acuti che non siano state interessate dalle aggregazioni previste dallo stesso Regolamento.
Le Regioni e le Province autonome dispongono quindi di tutti gli indicatori utili a realizzare la razionalizzazione delle loro reti ospedaliere ponendosi nella posizione di garanti rigorosi della salute dei cittadini e di regolatori neutrali rispetto agli erogatori delle prestazioni.
Alcune stime conducono a ritenere che potrebbero essere chiusi o riconvertiti quasi duecento ospedali marginali, oltretutto pericolosi quando pretendono di gestire patologie per le quali non hanno capacità ed esperienza sufficienti. Le economie conseguenti alla loro chiusura non derivano tanto dalla eliminazione dei relativi costi fissi (il personale pubblico viene solo trasferito ad altri compiti), quanto dalla riduzione dei ricoveri inappropriati perché usualmente la offerta fa la domanda. Come si vede, i percorsi della migliore efficacia per l'incremento dello stato di salute dei cittadini coincidono con quelli della maggiore efficienza per il controllo della spesa. Sono, tuttavia, i decisori pubblici locali ad opporre resistenze a paradigmi da tempo acclarati. Eppure lì dove queste scelte sono state compiute, a partire addirittura dagli anni '70 quando la società era meno informata, i risultati sono stati incontestabili. Proprio nel recente periodo sono stati avviati alcuni piani di razionalizzazione sulla base di parametri timidi e insufficienti.
Eppure non vi è struttura ospedaliera dismessa o convertita della quale si avverta la mancanza. Le resistenze sono solo corporative e fanno leva sulle insicurezze della popolazione interessata. La politica, la buona politica, ha l’opportunità di esprimere la sua capacità di leadership guidando i cittadini amministrati oltre il guado. I benefici saranno immediatamente visibili e, come detto, consentiranno di registrare insieme l’equilibrio di bilancio e il miglioramento dello stato di salute della comunità. Basta volere!
Maurizio Sacconi
Ex Ministro della Salute (2008-2009)
Leggi gli articoli di Francesco De Lorenzo e Mariapia Garavaglia