Si stringono le maglie dell’accoglienza in Italia con il
decreto Salvini (migranti e sicurezza), varato nei giorni scorsi dal Governo, ed ora in attesa della firma da parte del presidente della Repubblica. Cambiano le regola per l’accoglienza ed il riconoscimento di permessi di soggiorno.
Ad esser colpita, e di fatto abrogata, è la “tutela umanitaria”. Viene dunque abolito l’istituto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari e introdotta una tipizzazione delle tipologie di tutela complementare, individuate in alcune “ipotesi eccezionali”. Tra queste, si riconosce il permesso di soggiorno per cure mediche quando lo straniero versi in condizioni di salute di eccezionale gravità tali arrecare un irreparabile pregiudizio alla sua salute in caso di rientro nel paese di origine. Nell’ambito di questa ipotesi rientra anche il caso di colui che, affetto da gravi patologie, non possa essere adeguatamente curato nel Paese di origine o di provenienza. Un permesso rilasciato per un tempo che dovrà essere attestato mediante idonea certificazione sanitaria.
Accade così che la sanità, quantomeno a livello istituzionale, rimanga uno dei pochi esempi di accoglienza incondizionata.
Facciamo un passo indietro. Già la Costituzione italiana all’articolo 32 riconosce il diritto alla salute definendolo un diritto fondamentale dell’individuo. Il diritto alla salute, come diritto sociale fondamentale, viene tutelato anche dall’articolo 2 della Costituzione (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”).
L’articolo 32 non circoscrive la titolarità del diritto al solo cittadino, ma ricollega quello alla salute, da una parte ai diritti inviolabili dell’uomo, che la Repubblica riconosce nel loro insieme. Anche qualora lo straniero sia in una situazione di irregolarità, gli vengono comunque assicurate le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali per malattia e infortunio, oltre a essere soggetto ai programmi di medicina preventiva a tutela della salute individuale e collettiva. Il diritto all’assistenza sanitaria, in quanto fondamentale, spetta quindi alla persona come tale, cittadino italiano o no che sia.
Il diritto alle cure e all’accoglienza ha radici profonde. Già nella Torah, e più in particolare in Levitico, si parla del
“gher toshav” e dei suoi diritti. Il “residente straniero”, che non ha adottato la religione ebraica pur vivendo nella terra d’Israele. La Parashah di Behar (Levitico 25:1 – 26:2) comunica i diritti di questa categoria di persone, e in particolare afferma: “Se un tuo fratello diviene povero e si trova nell’indigenza in mezzo a voi, tu lo sosterrai come uno straniero e un residente, perché possa vivere presso di te” (Levitico 25:35). Esiste, in altre parole, un obbligo di fornire supporto e di sostenere un residente straniero. Non solo questi ha il diritto di vivere nella terra santa, ma anche quello di beneficiare di assistenza, cure, “previdenza sociale”.
Negli ultimi anni, con l’emergere dei “sovranismi”, tanto sul piano dialettico quanto su quello normativo si sta andando sempre più acuendo uno
scontro tra diritti dei cittadini e diritti umani.
In un sistema precostituito fatto di Stati e di stanzialità, il migrante diviene colui che porta con sé un “peccato originale”: quello di spostarsi rompendo in tal modo l’ordine del mondo. Diventa portatore di un’anomalia a tratti giudicata intollerabile. Questa la visione che ci viene offerta dalla nostra prospettiva di cittadini di uno Stato-nazione, dotati, in quanto tali, di una serie di privilegi acquisiti. Tra questi, nella sempre più diffusa prospettiva sovranista, ci riteniamo in diritto di decidere se accogliere, e chi accogliere.
Il modello di Stato-nazione, prodotto di un processo storico tutto sommato recente, è da tempo in crisi. Ad una sovranità indebolita, e limitata in favore di una sua parziale cessione all’Europa, risponde ora con un ritorno a sé, con una chiusura che sotto diversi aspetti potremmo definire “incattivita”. Si chiudono porti, innalzano muri, bloccano le frontiere, e torna a fare la sua comparsa sul territorio europeo il filo spinato ai confini.
Questa è anche la conseguenza di un’Europa che non è riuscita ad assumere una forma politica post-nazionale, restando di fatto uno Stato sovranista alle frontiere, ma al contempo coacervo di Stati nazionali in conflitto politico tra loro al suo interno.
Ma su quali radici poggia l’idea di sovranismo? Siamo abituati a pensare che abitare abbia a che fare con l’avere, non con l’essere. C’è una percezione diffusa riguardante l’essere proprietari del posto in cui si risiede e, di conseguenza, facciamo da ciò discendere il diritto di poterne disporre a nostro proprio piacimento. Lo slogan “padroni a casa nostra”, non fa che evocare questo immaginario portando con sé un corollario di conseguenze inquietanti.
Da questo punto di vista, infatti, lo straniero che arriva è un “invasore” del nostro stesso domicilio. La reazione a questo movimento non richiesto evoca a livello inconscio il richiamo alla legittima difesa. Io mi sento dunque legittimato a respingere con ogni mezzo, ad escludere chi non voglio. Usavo in precedenza il termine inquietante per un motivo ben preciso: una parte del nostro Governo sostiene con forza che la difesa sia sempre legittima, con ogni mezzo, e a prescindere dal grado di ‘minaccia’ portata alla mia persona all’interno del mio domicilio.
L’aumento delle aggressioni a danno di persone straniere residenti in Italia, e l’allarme dell’Onu sul crescente razzismo nel nostro Paese, sono anche la conseguenza di una legittimazione diffusa di questo pensiero. Essere cittadini non si traduce nella proprietà del territorio, questo è un diritto che non viene sancito in alcun modo.
Il pensiero sovranista poggia su un mito ancora oggi potentissimo e fortemente evocativo: quello dell’autoctonia nato nell’antica Atene. Già Platone parlava di uomini nati direttamente dalla terra, da essa stessa generati. Perdeva così ogni importanza la figura femminile, totalmente accantonata in favore della terra. Si diventava così letteralmente figli legittimi della patria. Figli della stessa terra che per questo ci appartiene.
Eppure l’Europa di oggi nasce sulle ceneri di Auschwitz. Nonostante ciò, continuiamo a ritenere normali i respingimenti alle frontiere così come la moltiplicazione dei Centri di identificazione ed espulsione (CIE). Riteniamo normale internare stranieri. E’ prassi consolidata la detenzione amministrativa di persone che non hanno commesso un reato ma hanno la colpa di essere stranieri e di essersi spostati. Tutto questo in piena continuità con un universo concentrazionario che esiste quasi ininterrottamente dai primi del 900.
Riteniamo altrettanto normale liquidare e derubricare il fenomeno migratorio a mera questione di sicurezza e decoro, favorendo la detenzione di persone in campi di concentramento in Libia. Se nella seconda guerra mondiale si poteva dire di non essere pienamente a conoscenza delle reali condizioni delle persone detenute all’interno dei campi di concentramento, nel tentativo di trovare una parziale autoassoluzione per i crimini perpetrati in quell’indifferenza generale, oggi sappiamo ciò che avviene in Libia. Abbiamo immagini e filmati che testimoniano le condizioni di vita in quei campi. Eppure le coscienze non si smuovono.
E la politica è regredita a mera amministrazione dell’ordinario e governance del consenso, appiattendosi totalmente verso una gestione reazionaria del fenomeno. Un impoverimento assoluto del pensiero che ha visto totalmente sparire - ancora una volta - una coscienza critica a sinistra.
E la sanità così - almeno a livello istituzionale - resta l’unica
isola di umanità rimasta ancora tale in questo Paese.
Giovanni Rodriquez