E’ risarcibile il danno eventuale da vaccino antipolio manifestato nei soggetti vaccinati prima del 1959.
Lo stabilisce un’ordinanza della Cassazione (sezione lavoro n. 22078/2018) in cui i giudici hanno ricordato che la legge 119/2017, ha esteso possibilità di ottenere un risarcimento dei danni a tutte le vaccinazioni indicate nell'articolo 1 del provvedimento, tra le quali c'è anche la antipoliomelite. Un diritto per il quale non c'è più alcun limite temporale.
Secondo l’ordinanza la legge 119/2017 all'art. 5- quater,(“Indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze irreversibili da vaccinazioni” ha introdotto, nell'ordinamento, una disposizione di chiusura che estende la tutela prevista dalla legge n. 210 a tutte le vaccinazioni indicate nell'articolo 1 del citato decreto-legge n. 73, tra le quali risulta inclusa la vaccinazione antipoliomielite.
“Questa Corte – si legge nell’ordinanza - , con l’ordinanza . n. 11339/2018 ha affermato che anche alle vaccinazioni antipoliomielite si applicano, in caso di lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell'integrità psico-fisica, le disposizioni di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, senza alcun limite temporale come fissato, in passato, dalla legge n. 362 del 1999, in riferimento al limitato periodo di vigenza della legge n. 695 del 1959, alla stregua dell'interpretazione letterale, sistematica e costituzionalmente orientata”.
La stessa ordinanza ha ulteriormente precisato secondo la Cassazione che il termine di decadenza decorre dal momento in cui, sulla base della documentazione prescritta nella norma, l'avente diritto risulti avere avuto conoscenza del danno “in tal senso richiedendosi la consapevolezza dell'esistenza di una patologia ascrivibile causalmente alla vaccinazione, dalla quale sia derivato un danno irreversibile”.
E sul “vizio di motivazione” invocato nel ricorso contro la sentenza della Corte di Appello che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo, la Cassazione sottolinea nella nuova ordinanza che “Il vizio di motivazione rileva solo allorquando l'anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione, sicché quest'ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi”.
“Ciò non ricorre nel caso in esame – sottolinea l’ordinanza - atteso la Corte di merito ha rigettato l'appello del ministero con accertamento di fatto che ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la vaccinazione - intesa come operazione di inoculamento del vaccino - effettuata dall'interessato e il successivo manifestarsi della patologia (tetraparesi spastica, insufficienza mentale, epilessia), facendo applicazione dei principi già affermati da questa Corte con la sentenza n. 25119 del 2017, secondo cui in tema di danni da vaccinazione obbligatoria, la sussistenza del nesso causale tra la somministrazione vaccinale e il verificarsi del danno alla salute deve essere valutata secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica ispirato al principio "del più probabile che non", da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica)”.
Quindi secondo i giudici va riconosciuta l’indennità anche ai danneggiati da vaccinazione antipoliomelitica non obbligatoria somministrata in epoca antecedente al 30 luglio 1959.
E per quanto riguarda la eventuale prescrizione la Cassazione spiega che per proporre la domanda di risarcimento c'è un termine di decadenza di tre anni che scatta “dal momento in cui, sulla base della documentazione prescritta dalla norma, l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno, in tal senso richiedendosi la consapevolezza dell'esistenza di una patologia ascrivibile casualmente della vaccinazione, dalla quale si derivato un danno irreversibile”.