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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Governo e Parlamento

Ddl concorrenza e capitali in farmacia. Ma è vera concorrenza?

di Fabrizio Gianfrate
immagine 11 luglio - La legge determina il potenziale passaggio da 17.000 concorrenti a 5, dove con un mercato e punti vendita stabili l’effetto economico sarà fortemente anti redistributivo sia orizzontalmente (tra farmacie) che verticalmente (tra titolare-azienda e dipendente), con prezzi mediamente difficili da aggredire essendo oltre due terzi del mercato già liberalizzato, dove il servizio è già di elevata qualità, e con effetti occupazionali e di gettito fiscale probabilmente negativi.
Il ddl “concorrenza” in quarta lettura al Senato intravede il rettilineo del traguardo. La misura principale sulle farmacie, come noto, riguarda la possibilità per le società di capitali di detenerne ognuna fino al 20% del totale su base regionale. Buffo chiamare “concorrenza” una misura che riduce il sistema da 17.000 concorrenti a 5. Ricorda, nel paradosso semantico, il favoloso yacht oceanico che la contessa radical chic di Fantozzi, moglie del mega industriale, aveva chiamato “Poteve Opevaio”. Liberalizzare usando le “catene”, insomma, pare un curioso ossimoro, una singolare figura retorica.
 
Ma al di là di chiasmi, anacoluti e anafore e della loro innegabile affabulazione dialettica, la realtà dei fatti è che il provvedimento tenderà a cambiare un sistema ben funzionante. Che beneficio ulteriore alla collettività, sia oggi che domani su prezzi, qualità, sviluppo, evoluzione futura, è atteso tanto da giustificare il rischio di un cambiamento così rilevante?
 
Al netto di opinioni favorevoli o contrarie per interessi di parte, regolarmente supportate dai soliti esperti dall’alto magistero a gettone (soldi stavolta spesi male, visto il ddl), vale la pena analizzarne i possibili effetti. Magari auspicando un po’ di dibattito critico costruttivo in merito.
 
Qualche dato di partenza: quasi il 70% del mercato della farmacia è per medicinali a pagamento ed extra farmaco, quindi dai prezzi influenzabili. Il mercato è anticiclico e a crescita bassa ma costante e dalla domanda anelastica.
L’accessibilità al “punto vendita” è ormai ampiamente saturata dall’elevato numero di farmacie, quindi garantita (pianta organica come garanzia essenziale di assistenza pressoché in tutti i Paesi OCSE, in Italia dalla Riforma Giolitti del 1913, poi Riforma Mariotti del 1968 e seguenti). Il farmaco SSN è sempre più gestito con formule di servizio (DPC) anziché tradizionali (margine).
La qualità del servizio delle attuali farmacie (assortimento, accesso, distribuzione sul territorio, counseling) è già alta grazie alla eccellente preparazione scientifica dei nostri farmacisti.
 
Quindi l’obiettivo del legislatore (supponiamo) sia concentrarsi più sul ridurre i prezzi, magari anche aumentando l’occupazione e stimolando l’economia. Un calo dei prezzi con le “catene” si ritiene possa venire grazie a un loro maggiore potere contrattuale d’acquisto sull’industria. Improbabile: OTC ed extra farmaco, oltre metà del mercato della farmacia da anni sono già trattati da acquirenti “forti”, come le mega centrali d’acquisto della GDO (Coop, Auchan, ecc.), soprattutto l’extra farmaco. Lo stesso, in minore, per l’OTC: niente effetto deflativo, anzi prezzi cresciuti del 25% dal 2006 anno del “fuori farmacia”.
 
Mentre per i C con obbligo di ricetta il discorso non è applicabile: il driver è appunto la prescrizione del medico, quindi il prezzo non è leva competitiva per i consumi, analogamente alla fascia “A” dal prezzo regolato. Insomma l’effetto potere contrattuale laddove esercitabile (Extra farmaco e OTC) è stato ampiamente già scontato da anni, mentre per il resto dei beni venduti, i farmaci con ricetta A e C, non è applicabile.
Resta solo il potenziale “sottoprezzo” o “primo prezzo” delle “private labels”, i prodotti a marchio della “catena” la cui filiera disintermediata, o integrata verticalmente, può effettivamente consentire prezzi deflazionati.
 
Una possibile riduzione dei costi dalle future “catene”, così da potere abbassare il prezzo al pubblico del bene, potrebbe venire da una migliorata efficienza nella filiera distributiva. Perseguibile in vari modi: migliorando i rapporti funzionali tra grossista e farmacia, oggi non sempre i più ottimizzati sia finanziariamente che logisticamente (in taluni casi limite anche 8-10 consegne al giorno).
 
O con una gestione più manageriale del punto vendita, essendo in genere poca e improvvisata l’attuale formazione manageriale del farmacista, debolezza su cui le “catene” faranno opportunisticamente leva per recuperare efficienza. Un fabbisogno formativo diffuso che, al pari di una strutturata attività di studio e analisi di sistema, è purtroppo apparso assai poco prioritario in chi ha rappresentato in questi anni le farmacie.
 
Maggiore efficienza, cioè minori costi, quindi possibili prezzi più bassi, anche da economie di scala e integrazione orizzontale tra farmacie della stessa catena sul territorio, integrazione verticale nella sua filiera, con i già citati farmaci a proprio marchio su cui indirizzare il cliente, integrazione fuori dalla filiera (diagnostica, piccola interventistica, servizi), disintermediazione nella distribuzione intermedia e finale.
 
È tuttavia facilmente ipotizzabile che tali riduzioni complessive dei costi delle “catene” si spostino prevalentemente sui loro profitti e solo una parte si traduca in un minore prezzo al pubblico. Non versano a tale favore le pregresse “liberalizzazioni-privatizzazioni” delle “utilities” (benzina, gas, luce, acqua, assicurazioni, autostrade, rifiuti, ecc.) con la formazione di nuovi “pseudo monopoli-oligopoli” che ne hanno paradossalmente alzato i prezzi, oggi per le suddette utilities tra i più alti al mondo, creando ben note rendite oligopolistiche di posizione.
 
Invece potranno verificarsi paradossali effetti opposti di rialzo dei prezzi (l’economia di mercato quando ci si mette è carogna forte). In assenza di nuove farmacie, non previste dall’ormai satura pianta organica, le “catene” dovranno comprare le esistenti, il cui prezzo quindi lieviterà (ci vorrà molto più del prezzo di oggi, in media un indice di 0,7-0,9 del fatturato annuo, per farsi vendere la farmacia, magari già di papà e nonno e già indirizzata alla figlia) Scaricandosi alla fine questo aumento sui prezzi al consumo, spingendoli così al rialzo.
 
La curva dei prezzi delle farmacie salirà fino a un punto di flesso dettato dalla crescita nel tempo delle catene in numero di farmacie, ovvero della conseguente loro forza contrattuale nel condizionarne domani al ribasso i prezzi di transazione.
Questo innalzamento della soglia di entrata nel sistema da un lato è positiva per i titolari delle farmacie, che vedono amplificato il valore del loro bene (vale per la vendita alle “catene” ma anche per migliore accesso al credito, locazioni e quant’altro). Dall’altro tenderà a escludere il piccolo farmacista oggi non titolare ma che ne vorrebbe faticosamente acquistare, possibile pur faticosamente ai valori attuali, domani non più se si alzano i prezzi d’acquisto.
 
Selezioni in entrata, le suddette, che non rispecchiano esattamente i dettami dei padri del liberismo di cui tuttavia il decreto si ammanta. E in un contesto, nel nostro Paese, dove associato alle ristrettezze del “credit crunch” bancario, prospera purtroppo copiosa la liquidità delle organizzazioni criminali.
 
La qualità del servizio e dell’assortimento è, con i prezzi, l’altro plusvalore competitivo. Ipotizzabile nelle “catene” che la qualità sia più standardizzata, centralizzata nelle strategie anche sui servizi sanitari/SSN, con layout e merchandising uniformi e con formazione e aggiornamento codificati (gli addetti sono tutti dipendenti)
Il rischio è che l’omologazione sia compromissoria al ribasso (la “macdonaldizzazione” teorizzata da Ulrich Beck) e siano penalizzate qualitativamente aree geografiche e territoriali meno profittevoli e quindi di residuale interesse per le “catene” (quantitativamente la garanzia viene dalla pianta organica), come accaduto in altri Paesi.
 
Anche l’assortimento e la sua rotazione, elementi chiave nel management della farmacia, saranno influenzati da una nuova dominanza distributiva orizzontale così come dall’integrazione verticale da parte delle catene (vedi sopra), da una selezione centralizzata di referenze specifiche a maggiore profittabilità, dalla preferenza alle nuove “private labels” con relativa spinta selettiva alla vendita di specifiche referenze più profittevoli.
 
Riguardo ai riflessi macro economici, è evidente che una tale potenziale concentrazione produrrà effetti anti redistributivi dei ricavi con moltiplicatori economici (matrici di Leontief) di vario livello che cambieranno passando da flussi di redditi di un sistema formato a metà da piccole imprese/imprenditori e dipendenti ad uno di prevalenti dipendenti.
 
Peseranno in aggiunta riflessi occupazionali e fiscali. Non aumentando gli esercizi, le economie di scala dei grandi gruppi tenderanno a ridurre il numero totale di farmacisti occupati necessario al sistema, essendo il mercato di punti vendita stabile e saturo. Si tratta di un aspetto cruciale dato l’esistente elevato numero di professionisti disoccupati, laureati in eccesso rispetto alla reale domanda.
Analoghe ripercussioni a ridurre il personale risentiranno i “piccoli” indeboliti dalla polarizzazione di profitti e competitività delle “catene”. Avremo poi una maggiore variabilità occupazionale per aree geografiche più e meno profittevoli conseguentemente alla diversa presenza territoriale delle catene.
 
Vale la pena menzionare gli effetti sulla nuova occupazione, che tenderà a spostarsi ovviamente verso il lavoro dipendente, con tutte le conseguenti implicazioni motivazionali sul singolo professionista nell’esercizio quotidiano della propria professione, ben diverse se si è titolare, dipendente di piccola impresa oppure di grande gruppo. Si tratta di un elemento, quello “umano”, intrinsecamente cruciale nella generazione del plusvalore della farmacia. Lo spostamento dell’occupazione in farmacia verso il lavoro dipendente tenderà a spostare ulteriormente i ricavi del settore verso profitto.
 
Come ricaduta fiscale, a fronte del voluminoso e garantito gettito dalle attuali farmacie, il futuro dipenderà dallo status giuridico e di residenza fiscale delle catene (fiscal transfer). A mercato stabile è ipotizzabile una riduzione del gettito, poiché, come accade in ogni settore, la pressione fiscale reale sui grandi gruppi è mediamente molto inferiore rispetto all’esercente al dettaglio. Sarà parallelamente ridotto il gettito dai “piccoli” dato che calandone il reddito scatteranno aliquote fiscali inferiori.
 
Futuro e innovazione depongono invece a favore delle “catene”. La sanità del futuro passerà da innovazione e tecnologia, medicina personalizzata, diagnostica evoluta, networking, integrazione di sistema pubblico e privato, deospedalizzazione e cure domiciliari, robotica, e-commerce, dispensazione ad hoc (vedi i droni di consegna di Amazon) e molto altro.
 
La farmacia giocherà in ciò un ruolo nuovo e ancora più centrale, ma che probabilmente richiederà molto più di oggi un “quantum leap” d’investimenti ingenti alla portata solo di “big players”, grandi operatori con grandi capitali come potranno essere le “catene”. Echi di quarta rivoluzione industriale, o Industry 4.0, come dicono gli economisti sorridenti al potere (qualunque sia, purché munifico), quella prevista essere tutta robotizzata (ma in Cina o in Corea gli smart phone li assemblano file interminabili di migliaia di donne sottopagate…)
 
D’altro canto, si richiederà una sempre maggiore personalizzazione sia del prodotto che del rapporto di servizio con il cliente e paziente, generazionalmente sempre più informato ed “empowered” a richiedere quindi un rapporto fiduciario antitetico alla spersonalizzazione intrinseca alla tecnologia.
 
Quindi anche qui siamo nel mezzo tra un futuro evoluto anche tecnologicamente che richiede investimenti e know-how propri del grande gruppo, e personalizzazione e umanizzazione distintivi della farmacia storica sotto casa con il/la farmacista di fiducia.
 
Direi che, nella prospettiva dell’economista accademico non a libro paga del tal o tal altro stakeholder, il punto chiave, più in generale, è che, come da dottrina, i vantaggi di semi o pseudo monopoli o oligopoli sono sempre da ponderare insieme ai relativi svantaggi per le loro posizioni dominanti quale altra faccia della loro medaglia. Tant’è che la massimizzazione dei loro vantaggi con la minimizzazione degli svantaggi si persegue grazie all’obbligo di regole e della loro applicazione (Autority e Antitrust varie). Su cui noi dello Stivale siamo, diciamo così, storicamente debolucci (l’antitrust USA nasce nel 1890, il nostro 100 anni esatti dopo).
 
Per questo diffido in generale delle nostrane liberalizzazioni, alias “concentrazioni” di potere economico e/o commerciale: non tanto per chi ne è legittimamente attore e protagonista, in genere fior di aziende che ben perseguono i propri obiettivi, quanto per chi (non) le controlla. Perché a pagarne le conseguenze degli squilibri poi è il solito cittadino, utente, cliente, paziente o contribuente. O piccolo imprenditore e/o professionista, forte solo della propria professionalità e tenacia. In questo caso in camice bianco e caduceo.
 
Riassumendo in conclusione, la legge in arrivo si chiama “concorrenza” ma determina il potenziale passaggio da 17000 concorrenti a 5, dove con un mercato e punti vendita stabili l’effetto economico sarà fortemente anti redistributivo sia orizzontalmente (tra farmacie) che verticalmente (tra titolare-azienda e dipendente), con prezzi mediamente difficili da aggredire essendo oltre due terzi del mercato già liberalizzato se non per il 10% costituito dalla C con ricetta ma da questa dipendenti, dove il servizio è già di elevata qualità, quindi difficilmente migliorabile, e con effetti occupazionali e di gettito fiscale probabilmente negativi.
 
Le future “catene” potranno cambiare la farmacia da impresa a punto vendita e il farmacista da titolare a dipendente. Indirizzeranno il mercato verso i prodotti più profittevoli, segnatamente le “private labels” con limitata influenza sulle industrie produttrici soprattutto per l’extra farmaco, e in minore per l’OTC, già trattato dalle gigantesche centrali d’acquisto della GDO.

Le dinamiche di mercato degli altri farmaci, quelli con obbligo di prescrizione, non sono ovviamente influenzabili dalla leva prezzo. I prezzi quindi non si ribasseranno, se non in misura ridotta per i minori costi e la maggiore efficienza ma si tradurranno prevalentemente in profitto. Anzi, al contrario, l’effetto inflativo del prezzo delle farmacie per aumentata richiesta con numero fisso si scaricherà sui prezzi al pubblico dei prodotti trattati.
 
Il potenziale plusvalore aggiunto delle “catene” per la collettività sarà invece a mio avviso soprattutto per le strategie e gl’investimenti futuri, in formazione manageriale del personale e in innovazione tecnologica, specialmente robotica. Che saranno comunque finalizzati, come legittimo, al loro profitto. Allora la nostra speranza è che questo coincida il più possibile con un beneficio per la collettività. Un po’ poco per rivoluzionare un intero sistema che già funziona bene e che basterebbe poco a far funzionare meglio.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria 
11 luglio 2017
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