Appena approvata al Senato la legge sulla responsabilità professionale, il tripudio dei medici, ha riempito questo giornale di commenti entusiastici esattamente come quando la Roma vinse lo scudetto (2001) e la festa dei tifosi inondò per giorni il quartiere di Testaccio facendolo diventare giallo e rosso.
Per cui non meraviglia se nel giubilo e nell’esultanza generale sia passato quasi inosservato l'articolo del professor
Carlo Scorretti (
Responsabilità professionale e linee guida. La legge ormai è fatta ma il problema resta) che, con grande rispetto per la legge e per il legislatore ma anche con grande realismo, ci avvertiva, riferendosi ad un seminario da lui organizzato a Trieste e al quale ho partecipato, dei problemi che si sarebbero accompagnati alla sua difficile e complessa applicazione.
E’ vero che la nuova normativa chiarisce la natura della responsabilità professionale del medico, è vero anche che il giudice, nel definire il risarcimento del danno, tiene conto della condotta del medico ai sensi di una serie di norme a lui favorevoli, come è vero tutta la storia della responsabilità extracontrattuale, del danno risarcibile, della garanzia assicurativa, obbligatoria e tante altre cose molto
ben riassunte da ultimo dal professor Nicola Surico su questo giornale.
Cioè è innegabile che da questa legge, almeno sulla carta, i medici rispetto al passato abbiano dei vantaggi ed è comprensibile che i medici ne siano soddisfatti. Ma si dà il caso che la sua applicazione sia tutt’altro che facile e scontata e che per i medici gli avvocati e i giudici non sia la passeggiata che taluni credono dal momento che la legge può condizionare a tal punto le prassi mediche da snaturarne l’ortodossia a danno del malato e del cittadino.
Cioè si dà il caso che oltre ai medici esistono i malati e i cittadini quindi la società e la medicina…e i giudici…persone sicuramente dotte ma pur sempre alle prese con gradi di complessità anche procedurali (
Responsabilità professionale. Chi ha fatto la legge conosce poco i tribunali italiani) tutt’altro che irrisori.
Sarebbe grave se il vantaggio professionale andasse a discapito dei diritti inviolabili dei malati contribuendo a delegittimare ancor di più l’immagine sociale della medicina pubblica. Sarebbe grave se il legislatore nel rispondere ad una giusta esigenza di tutela professionale avesse dimenticato di garantire con una analoga giusta tutela le esigenze irriducibili dei malati. Sarebbe grave se la norma, entrando in conflitto con la deontologia, ne deformasse i principi e i postulati.
Questa preoccupazione, tutt’altro che infondata, come dicevo è emersa dal seminario di Trieste che ha visto discutere di “linee guida e responsabilità professionale” un epistemologo, un medico legale un civilista, un penalista insieme a tanti altri esperti della materia.
Da epistemologo la mia impressione è che questa legge che a scanso di equivoci anche io saluto come una novità importante sia stata fatta con i piedi, con gravi limiti di impostazione anche culturale, con un orizzonte limitato di soluzioni, ricorrendo ad escamotage giuridici dei quali si sono valutati soprattutto i vantaggi per i medici ma non le conseguenze per i malati e per la medicina. E mi dispiace che il tribunale per i diritti del malato che io stimo e sostengo da sempre, a parte le esternazioni di rito, sia in questa circostanza dimesso, timido, poco attento.
La metafora che mi viene in mente parlando di piedi è che questa legge è come le scarpe che al momento di provarle sembrano perfette poi quando cominci a camminarci un po’ scopri che sono strette, che fanno male e ti procurano delle vesciche.
Non intendo in questo articolo riferire i risultati del mio lavoro di analisi, chi fosse interessato si può leggere
il dossier del seminario nel quale c’è il mio saggio e quello dei miei colleghi ma due o tre cose le vorrei dire.
La prima è che se questa legge non ridurrà il contenzioso legale il suo sarà un fallimento politico con pesanti conseguenze sul piano morale etico e deontologico, perché il suo scopo vero per un legislatore responsabile non dovrebbe essere quello di proteggere, costi quello che costi, le terga dei medici dai rischi professionali ma quello di rimuovere la contraddizione sociale del contenzioso legale e quindi grazie a ciò di proteggere giustamente le terga, tanto delle professioni che dei malati.
Vorrei tanto non sbagliarmi ma l’impressione è che proprio in ragione dei limiti di impostazione della legge il contenzioso legale non sia destinato a calare ma ad aumentare. Ma su questo è mio dovere invocare l’epochè. Vedremo.
La seconda è che seguendo la logica dei mondi possibili questa legge vi assicuro non è l’unica legge che si poteva fare, cioè le sue soluzioni non sono né uniche né inevitabili né obbligate. In luogo delle linee guida. come dimostro nel mio saggio. si potevano trovare altri modi per definire delle verità scientifiche di riferimento, cioè si potevano usare altre epistemologie, favorevoli tanto al medico che al malato, questo non è stato fatto perché la legge paga i limiti culturali del legislatore (Balduzzi, Alpa, Lorenzin, Gelli e Bianco), non perché le questioni sono ineffabili.
Sarebbe bastato allargare lo sguardo sul grande dibattito epistemologico che per tutto il 900 ha riguardato il problema del metodo e delle evidenze scientifiche per rendersi conto che si poteva andare oltre le linee guida con molti meno effetti collaterali e addirittura con molti più vantaggi per il medico e magari scoprire i vantaggi dell’information technology in luogo di quelli discutibili del risk management (per tante ragioni molto toscano ma molto poco pertinente)
La terza, per riprendere il senso dell’articolo del professor Scorretti, è che abbiamo la legge (bene) fatta salva la sua impalcatura giuridica cioè fatti salvi tutti i vantaggi professionali di cui parla il professor Surico, che si fa per applicarla al meglio cioè per ridurne i probabili effetti collaterali? Per rispondere giocoforza dobbiamo discutere di due cose: linee guida e evidenze scientifiche.
Personalmente
nell’audizione alla Camera dell’11 gennaio 2017 a proposito di una legge delega al governo sulla sperimentazione clinica (non si parlava solo di ordini) ho proposto di aprire un lavoro per aggiornare la metodologia sperimentale e per ridefinire le nozioni di evidenza scientifica perché proprio a partire dalla legge sulla responsabilità professionale abbiamo bisogno di definire strumenti epistemici il meno falsificabili dalla realtà o quanto meno più aperti alle complessità dei casi e delle contingenze.
Mi dispiace fare la figura del guasta feste ma vi assicuro che vale la pena per tutti, dopo la piacevole e meritata sbornia, tornare con i piedi per terra.
Ivan Cavicchi