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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Governo e Parlamento

Da Welby a Piludu. Com’è calata l’attenzione sul fine vita

di Luca Benci
immagine 13 dicembre - Ancora una volta è stata una sentenza (Tribunale di Cagliari) a supplire al vuoto della politica su questo tema e a disegnare la mappa dei diritti civili di questo paese. Eppure il clamore mediatico sul caso Piludu è stato minimo e sembra passato un secolo da quando un medico anestesista italiano, il dottor Mario Riccio, venne processato per “omicidio del consenziente” per la sospensione alle cure di Piergiorgio Welby
Il Tribunale di Cagliari – ufficio del giudice tutelare -  ha reso nota la motivazione del decreto del 16 luglio 2016 sul caso “Piludu” in merito alla sospensione alle cure.
Walter Piludu, persona nota e pubblica in Sardegna per il suo impegno politico e di amministratore, ha chiesto per il tramite dell’amministratore di sostegno il distacco “di tutti i presidi medici per il sostegno vitale”.
 
Piludu era affetto dal 2011 da sclerosi laterale amiotrofica, tracheotomizzato, sotto respiratore, portatore di peg con relativa alimentazione artificiale, affetto da sindrome da immobilizzazione muscolo scheletrica, si relazionava solo con un comunicatore acustico con comandi oculari.
 
Piludu è stato descritto come persona capace di autodeterminarsi e di rendersi pienamente conto delle scelte e delle conseguenze aveva redatto un vero e proprio testamento biologico – in sentenza “scrittura privata contente le proprie determinazioni sul fine vita” –  nel 2012 chiedendo la sospensione di una serie di attività sanitarie sulla sua persona avente come obiettivo il “prolungamento” della vita e che comprendevano: respirazione assistita, dialisi, rianimazione cardio-polmonare, interventi chirurgici, trasfusioni sanguigne, terapia antibiotica, alimentazione in ogni sua forma naturale o artificiale incluse le soluzioni glucosate. In alternativa aveva chiesto la “sedazione terminale”.
 
Nel 2013 in relazione all’aggravarsi della condizione clinica aveva redatto un’altra scrittura in cui delegava l’amministratore di sostegno al verificarsi della perdita totale delle capacità fonatorie e a metodiche per l’alimentazione invasiva a “chiedere l’assistenza del medico rianimatore” per procedere alla somministrazione di “farmaci sedativi” e successivamente allo “scollegamento dal respiratore meccanico”.
 
Nel 2015, all’ulteriore peggioramento della fila propria condizione clinica e della propria qualità della vita, in previsione della totale impossibilità a comunicare anche tramite il comunicatore vocale, ha demandato all’amministratore di sostegno l’individuazione di un medico per procedere al distacco del respiratore.
 
Nel 2016 con un’ultima scrittura privata ha chiesto all’azienda sanitaria di Cagliari il distacco dal respiratore artificiale previa sedazione.
Il giudice tutelare, con il pieno consenso del PM, ha consentito il distacco del respiratore, previa sedazione, in caso di sopravvenuta totale incapacità dando anche istruzioni operative: in accordo con il personale medico e infermieristico, tale attività doveva avvenire “in hospice o in altro luogo di ricovero confacente” e con la somministrazione “di quei soli presidi atti a prevenire ansia e dolori e nel solo dosaggio funzionale a tale scopo”. Le modalità dovevano essere atte a garantire un “adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona, prima, durante e dopo la sospensione del trattamento”.
 
Le motivazioni con cui il Tribunale di Cagliari ha disposto la sospensione sono in linea con la giurisprudenza della Corte di Cassazione sul caso di Eluana Englaro in tema di sospensione alle cure. La normativa nazionale richiamata parte, in primo luogo, dal dettato costituzionale degli articoli 13 e 32 e a livello internazionale dalla Convenzione di Oviedo.
 
Il giudice cagliaritano non ha potuto citare norme di diritto positivo ordinario in quanto inesistenti. Il nostro legislatore non ha mai ritenuto regolamentare materie come il consenso informato, il testamento biologico e, ancora meno, le attività anticipatrici delle attività di fine vita come il suicidio assistito e l’eutanasia.
 
La materia incandescente parte proprio dal consenso informato, in quanto se interpretato come valido per “tutte le fasi dell’esistenza”, apre proprio la strada a un effettivo diritto di autodeterminazione in linea con i principi costituzionali.
 
La politica si è spesso spesa nel diminuire gli effetti dei principi costituzionali. Ecco allora l’infinita discussione italiana su come chiamare un atto di consenso o di dissenso espresso anticipatamente: di volta in volta si è ritenuto di non fare riferimento ai termini in uso e che costituiscono uno standard internazionale: direttive anticipate e testamento biologico.
 
Per anni si è discusso della via italiana alle “dichiarazioni” anticipate di trattamento, laddove dichiarazione doveva indicare una preferenza del paziente e una condizione non vincolante per l’equipe curante che doveva ritenersi libera di decidere, con il solo vincolo di “tenere conto” di quanto precedentemente indicato.
 
Dei passi in avanti sono stati fatti – da un mero punto di vista delle proposte normative – dal famigerato “ddl Calabrò”, proposto all’indomani del caso Englaro, che avrebbe azzerato tutto i minimi diritti di autodeterminazione affermati dalla Costituzione e dalla giurisprudenza.
Recentemente, infatti, la Commissione affari sociali della Camera ha approvato un testo unificato delle varie proposte in materia.
 
Da un lato è un deciso passo avanti e che supera anche la contraddizione di un testo normativo che chiede al paziente di esprimersi salvo poi disattendere le indicazioni stesse. E’ positivo il fatto che si abbandoni la dicitura “dichiarazione” in favore di una più favorevole “disposizione” (direttive proprio non ce la fanno!). Dall’altro lato la probabilità che tale testo venga discusso a approvato è vicina verosimilmente allo zero.
 
Non ci sono le condizioni politiche perché un testo di standard europeo possa passare nel nostro parlamento attuale.
Il clamore mediatico del caso Piludu è stato minimo. Sembra passato un secolo – e invece sono solo dieci anni - da quando un medico anestesista italiano, il dottor Mario Riccio, è stato processato per “omicidio del consenziente” per la sospensione alle cure di Piergiorgio Welby processato perché accusato di “avere cagionato la morte di Piergiorgio Welby” tramite il distacco del respiratore automatico previa sedazione del paziente e prosciolto non perché il fatto non costituiva reato, ma in quanto in presenza di una scriminante come l’adempimento del dovere, ex art.51 codice penale, che ne liceizzava la condotta,
 
Ancora una volta, allora, è in prima linea l’azione vicariante della giurisprudenza a disegnare la mappa dei diritti civili di questo paese. Il Tribunale di Cagliari ha riassunto perfettamente l’ampio perimetro in cui si muove il diritto al rifiuto alle cure che deve essere “esteso ai trattamenti di sostegno vitale” definiti come tali tutti quei trattamenti in cui “la mancata somministrazione determina  un pericolo grave e immediato per la vita del paziente”.
 
Il provvedimento, abbiamo visto, ha causato la sospensione della respirazione artificiale ma con tale dicitura si intendono anche i provvedimenti di nutrizione artificiale. Sono ancora nitidi i ricordi in cui si negava lo status di “trattamenti sanitari” alla nutrizione enterale e parenterale e quindi atti dovuti eticamente e giuridicamente riconducibili a un indefinibile giuridicamente e professionalmente “sostentamento vitale di base” e come tale non rientrante nella disponibilità decisoria della persona e, anzi, a lui sottratta.
 
Il giudice tutelare cagliaritano è stato molto più chiaro e lineare del Gup del caso Riccio/Welby e, pur con le debite differenze tra un processo penale e un decreto di un giudice tutelare, ha ricostruito esaustivamente e chiaramente in poche pagine tutta la normativa vigente a supporto della sua decisione.
 
Un’ultima notazione: a memoria non si ricorda una richiesta di sospensione alle cure o, in caso di mancato accoglimento, alla “sedazione terminale”.Ricordiamo che per sedazione terminale si intende “la somministrazione intenzionale di farmaci ipnotici, alla dose necessaria richiesta, per ridurre il livello di coscienza fino ad annullarla, allo scopo di alleviare o diminuire la percezione di un sintomo, senza controllo, refrattario, fisico e/o psichico, altrimenti intollerabile per il paziente, in condizione di malattia terminale inguaribile in prossimità della morte” (Comitato nazionale per la bioetica, 16 gennaio 2016 “Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte”).
 
La sedazione terminale è tale solo se praticata nell’imminenza della morte e non può essere proposta come alternativa alla sospensione alle cure se non in numero ridotto di casi.
 
 
Onore al merito al giudice cagliaritano che ne ha ben compreso la differenza e ha autorizzato la sospensione dell’’interruzione del “trattamento artificiale tramite respiratore previa sedazione” contribuendo a scrivere una buona pagina nella giurisprudenza dei diritti di questo paese.
 
Luca Benci
Giurista
13 dicembre 2016
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