Si stima che in Italia siano almeno 6.000 i malati di Sla. Ognuno di loro, per poter avere una buona qualità di vita, usufruendo di tutte le visite specialistiche essenziali, del supporto a domicilio più adeguato e di tutti gli strumenti necessari, dovrebbe sostenere spese che variano dai 100 ai 150 mila euro all’anno a seconda dello stadio di gravità della malattia.
Solo per la Sla, quindi, servirebbe una cifra variabile tra i 600 e i 900mila euro l'anno. Se si considera che il Fondo per le non autosufficienze attualmente fissato in 400 milioni (che dovrebbero arrivare a 450, come promesso recentemente da
Matteo Renzi) dovrebbe coprire anche le esigenze di altri pazienti affetti da altre patologie invalidanti, è evidente che i conti non tornano.
Questo è il parere delle Associazioni dei malati e in particolare dell'Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) che
il prossimo 30 novembre sarà in presidio sotto il portone del Mef per chiedere al ministro
Pier Carlo Padoan di sostenere l’emendamento alla legge di Bilancio proposto dal sottosegretario alle Politiche Sociali e coordinatrice del Tavolo interministeriale per la definizione dell’Fondo per la non autosufficienza,
Franca Biondelli, che punta ad aumentare il fondo di almeno 200 milioni di euro, facendolo salire così a 600 milioni di euro.
“E’ una richiesta fondata sulle effettive esigenze delle persone malate che è nostro dovere difendere fino in fondo”, afferma
Massimo Mauro, presidente di Aisla, motivando le ragioni della protesta. “Siamo ancora lontani da un’adeguata attenzione a chi vive una grave disabilità”. Per questo, “al di là dei proclami”, spiega Mauro, il 30 novembre Aisla sarà al Mef per dare voce a chi non è più in grado di farlo”.
“Molte famiglie - dicono all'Aisla - sono sole di fronte alla malattia del loro caro, le spese assistenziali sono insostenibili per i budget familiari, la condizione di malattia distrugge fisicamente, psicologicamente ed economicamente l’intero nucleo. Non è accettabile lasciare i pazienti e le loro famiglie in questa situazione, distrutti dalla malattia, costretti a scegliere se mangiare o curarsi”.
E questo vale soprattutto per i malati di Sla. Come ci racconta in questa intervista
Pina Esposito, consigliere nazionale dell’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica (Aisla), che ha partecipato alle riunioni del Tavolo interministeriale.
Dottoressa Esposito, a quanto dovrebbe ammontare il Fondo per la non autosufficienza per garantire la copertura dei bisogni ai disabili?
Ci vorrebbe un miliardo. È più del doppio di quanto stanziato nel 2015 e di quanto annunciato per il 2016. Ci rendiamo conto che tale cifra non potrà essere raggiunta, ma il Governo ha il dovere di fare qualche sforzo in più rispetto ai 400 milioni previsti.
La storia del Fondo è travagliata…
Nasce nel 2006 con la legge 296 con l'intento di favorire la permanenza presso il proprio domicilio ai disabili gravi e gravissimi, supportando ad esempio l’acquisto di servizi di cura e di assistenza, e per garantire in ogni regione l’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali. Ma fino ad oggi si è trattato di un fondo “occasionale”, cioè non garantito ogni anno. Tanto che nel 2012 non ci fu alcuno stanziamento. Negli altri anni, invece, lo stanziamento è stato molto variabile, dai 100 milioni per il 2011 (centrati sugli interventi a favore della Sla) ai 275 milioni per il 2013, per fare un esempio. Per questo è stata accolto con soddisfazione il recente annuncio del ministro dell’Economia Padoan riguardo la strutturazione del Fondo. Le risorse a disposizione sono ancora ben al di sotto delle necessità, ma buone notizie arrivano anche sul fronte dei criteri di valutazione, contribuzione ed erogazione, sui quali fino ad oggi si sono registrate forti criticità.
Si spieghi meglio.
La mancanza di risorse adeguate è un problema, ma non è il solo. La ripartizione dei fondi tra le Regioni avviene in base a criteri che non tengono conto del fabbisogno delle Regioni: il 60% è erogato alle Regioni in base alla popolazione residente con più di 75 anni, e il 40% sulla stima che le Regioni fanno dei disabili gravissimi residenti.
Ma non necessariamente le Regioni più “anziane” sono quelle con il maggior numero di disabili gravi o gravissimi.
E questo cosa comporta?
Il rischio è che una Regione con un’età media della popolazione giovane, ma un numero molto alto di disabili gravi e gravissimi, riceva meno soldi di una Regione “anziana” ma con una proporzione di disabili più bassa. Un criterio che va rivisto, ma che sarà difficile modificare finché non sarà istituito un registro nazionale delle disabili sulla base del quale determinare con maggiore esattezza il fabbisogno delle Regioni in termini numerici, considerando sia quanti pazienti disabili ci sono sul territorio che il livello di gravità delle malattie che presentano.
Oltre a questi aspetti voi avete spesso lamentato ritardi e inefficienze nell'assistenza. Qual è la situazione?
Fino ad oggi abbiamo assistito, da parte di alcune Regioni, a gravi ritardi - anche di due anni - nell’erogazione degli assegni di sostegno di cura ai malati, nonché a modalità di valutazione e quindi di contribuzione disomogenee da Regione in Regione, così che a parità di condizioni un malato di una Regione riceveva, ad esempio, 700 euro mensili, quello di un’altra Regione ne riceveva 300. In certi casi i fondi sono stati addirittura utilizzati da alcune Regioni per coprire i buchi di bilancio, lasciando così i pazienti a mani vuote. Una discriminazione intollerabile, che andava assolutamente sanata. Cosa che abbiamo cercato di fare con il lavoro del Tavolo interministeriale per la definizione del Fondo per non autosufficienza 2016. Ad esempio si registrano gravi ritardi nell’erogazione dell’Fondo per le non Autosufficienze in Campania. Ci sono anche esempi virtuosi come il Piemonte che eroga con continuità l’assegno alle famiglie.
In che modo?
I ministeri competenti hanno preso atto delle disfunzioni registrate in alcune Regioni e accolto le nostre preoccupazioni. Il Tavolo ha dunque iniziato a lavorare a una definizione di scale di valutazione e fasce di contribuzione omogenee a livello nazionale. Ad agosto, in sede di Conferenze Unificata Stato Regioni è stata approvato il decreto proposto dal Tavolo interministeriale per non autosufficienze e le Regioni hanno chiesto più tempo per far sì che tutte le Regioni possano attrezzarsi degli strumenti necessari a definire la platea dei propri beneficiari con la precisione necessaria. Entro il primo trimestre 2017 dovranno definire la platea dei disabili gravissimi, poi si procederà alla definizione della platea dei disabili gravi.
Il tavolo ha inoltre esortato il delegato alle Politiche sociali della Conferenza Stato Regioni, Rita Visini, a fare in modo che le Regioni garantiscano le erogazione in tempi brevi e certi.
Il primo passo per un cambiamento, anche culturale, della gestione delle disabilità è stato compiuto. Ora speriamo si possa passare presto ai fatti.
Tornando al presente, secondo voi il fondo stanziato per il 2016 sarà comunque insufficiente. Quali conseguenze temete per i malati e per le loro famiglie?
Il rischio è di non potere avere una vita dignitosa. Di mettere le famiglie nelle condizioni di dover scegliere se mangiare o curarsi. Questo vale soprattutto per i malati di Sla, perché le loro sono condizioni dalla massima complessità assistenziale. I bisogni sono tanti e spesso c’è poco tempo per agire: consideri che ci sono malati che raggiungono il massimo livello di gravità in soli pochi mesi. Inoltre sono malati che necessitano di molti ausili: letti e sedie speciali per favorire la movimentazione, ausili per l’alimentazione e l’idratazione, o mezzi informatici oculari per poter comunicare. Ma come si può chiedere a un malato di rinunciare a comunicare con i propri cari, se ci sono strumenti che lo permettono?
Si tratta, inoltre, di malati che hanno bisogno di assistenza h24, e quindi è evidente che i famigliari non possono coprire l’assistenza per l’intero arco della giornata. Quando sono costretti a farlo, lasciano il lavoro, con gravi conseguenze sull’economia familiare.
Senza un aiuto, la malattia devasta fisicamente, psicologicamente ed economicamente non solo chi ne è affetto, ma anche chi gli è vicino. Questa è la situazione che vivono oggi molti pazienti e molte famiglie. E hanno paura.
Il fondo, peraltro, non è più riservato ai soli malati di Sla.
Il fatto che il fondo sia stato allargato a tutti i disabili gravi e gravissimi è stata una scelta di grande giustizia sociale. Ma, evidentemente, se il fondo resta lo stesso e la platea di beneficiari aumenta, le risorse che spetteranno a ciascuno malato di Sla saranno per forza di cose inferiori.
Pensa che ci sarà mai uno stanziamento in grado di coprire tutti i bisogni?
Credo che si possa fare tanto, oltre ad aumentare il fondo, per migliorare le condizioni dei disabili gravi e gravissimi. Vanno migliorati i servizi esistenti, le Reti assistenziali devono esistere non solo sulla carta ma funzionare davvero. Devono essere pensati modelli di presa in carico di dare risposte concrete ed efficaci. L’ospedale e il territorio devono essere davvero integrati, bisogna assicurare l’assistenza domiciliare e la continuità assistenziale, la presenza di centri di riferimento che prendano a carico il paziente seguendone la storia clinica dall’inizio alla fine. Anche la rete di emergenza-urgenza deve conoscere la complessità della condizione di una persona con Sla. E soprattutto, devono poter essere assistiti casa, vivere a fianco ai loro cari.
Le istituzioni dovrebbero capire che in questo modo non solo si assicura una qualità di assistenza e di vita migliore ai malati, ma si riducono i ricoveri e le prestazioni inappropriate, recuperando risorse che possono essere destinate ad altri servizi.
Il 30 novembre sarete in presidio sotto il Mef...
Sì, chiederemo più risorse per il Fondo. I 50 milioni annunciati da Renzi non sono sufficienti. Apprezziamo l’apertura, ma chiediamo più risorse per soddisfare bisogni che sono urgenti. I malati e le famiglie non possono essere lasciati soli.
Lucia Conti