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QS Edizioni - sabato 17 agosto 2024

Governo e Parlamento

Pd: nelle Università largo ai giovani

immagine 19 maggio - Mandare in pensione i professori universitari a 65 anni, tenendo in attività solo le menti più brillanti con contratti ancorati a ricerche in corso. È la proposta del Partito Democratico per fare spazio ai giovani ricercatori.
Lo “shock generazionale” è il primo dei 10 capitoli che compongono uno dei cinque documenti elaborati dal Pd su lavoro, università, riforme e giustizia, Europa e green economy. Partendo dall’emergenza ricerca e precariato giovanile, i democratici propongono di ringiovanire le cattedre universitarie, che in Italia sono le più anziane di Europa: il 26,6% dei quasi 20 mila professori ordinari ha più di 65 anni e il 54% dei docenti supera i 50 anni, contro il 41% della Francia e il 32% della Spagna. La soluzione, quindi, è di mandare in pensione gli accademici allo scoccare dei 65 anni, cercando così di abbassare di 10 anni l’età media dei professori universitari.
La proposta verrà discussa all'Assemblea nazionale del Pd il 21 e 22 maggio e si affianca a quella del contratto unico di formazione e di ricerca presentata con un ddl al Senato. “È la nostra risposta per superare il precariato”, ha affermato Marco Meloni, responsabile Università del Pd. In pratica il provvedimento, che mira alla progressiva stabilizzazione dei rapporti di lavoro, prevede una prima fase, detta di ingresso e della durata non superiore a tre anni, in cui la forma contrattuale è simile a quella di dipendenza a tempo indeterminato. Il lavoratore può essere licenziato, ma in questo caso gli viene riconosciuta un'indennità pari a cinque giorni di retribuzione per ogni mese di prestazione lavorativa. Alla fine dei tre anni, se non viene riconfermato, riceve sei mesi di stipendio. Se viene confermato diventa un dipendente a tutti gli effetti e tutti i diritti riconosciuti. “Oggi esistono le più svariate forme contrattuali con veri e propri ricercatori che guadagnano 1.000 euro, privi di prospettive e di tutele assistenziali e previdenziali. Il contratto unico – ha osservato Meloni - non raddoppia i costi per gli atenei, a cui verrebbero applicate le agevolazioni dei contratti di apprendistato di alta qualificazione”.
 
19 maggio 2010
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