"Siamo di fronte ad un quadro sempre più allarmante per il diritto alla salute dei cittadini, con oltre undici milioni di persone che rinunciano alle cure, ma la risposta non può essere 'più sanità privata', ovvero solo per chi può pagarsela: occorre prima di tutto dare più forza al Servizio Sanitario Nazionale pubblico e universale, indebolito da anni di tagli. Direzione che non sembra prendere il Governo, che prevede invece una diminuzione dell'incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil da qui al 2019". Così
Stefano Cecconi, Responsabile Politiche della Salute della Cgil nazionale a proposito di quanto emerge dalla ricerca Censis-Rbm, presentata ieri in occasione del Welfare Day 2016.
"L'analisi del Censis è condivisibile - sostiene Cecconi - ma lo è meno la ricetta proposta: affiancare un pilastro privato a quello pubblico rappresentato dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) perché questo ormai è in crisi. Attenzione, se vogliamo davvero mantenere la tutela della salute come diritto fondamentale, prima di tutto bisogna dare più forza al SSN pubblico e universale indebolito da anni di tagli e il cui destino è in pericolo". "Infatti - spiega lanciando l'allarme il dirigente sindacale - se si attueranno le previsioni del Governo, che vuole portare l'incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil al 6,5% nel 2019 (
vedi l'analisi Cgil sul Def 2016) l'Italia scenderà al livello di guardia sotto il quale l'OMS segnala pericolo per il diritto alla salute e all'accesso alle cure dei cittadini".
"Per questo - prosegue - occorre investire nel SSN pubblico: per tagliare le liste di attesa, ridurre i ticket, riqualificare l'offerta di servizi verso la nuova domanda di salute e di cure, dovuta all’invecchiamento della popolazione e a quella che l'OMS definisce 'l'epidemia globale delle malattie croniche'. Una domanda sempre più bisognosa di prevenzione, assistenza nel territorio, integrazione fra sanità e sociale". "Solo con un forte SSN - continua Cecconi - l'assistenza sanitaria integrativa può aiutare a colmare lacune, ad alleggerire il peso della spesa socio sanitaria privata che oggi grava sui i cittadini (quasi 30 miliardi)".
"Questo vuol dire orientare la direzione di marcia degli attuali fondi sanitari che, invece di offrire prestazioni aggiuntive e realmente integrative (odontoiatria, non autosufficienza, personalizzazione delle cure anche nel servizio pubblico, ecc.), coprono troppe prestazioni sostitutive già presenti nei Livelli Essenziali di Assistenza. E questo - sottolinea Responsabile Politiche della Salute della Cgil nazionale - è anche un compito del sindacato che ha istituito molti di questi fondi".
"Peraltro - ricorda in conclusione Cecconi - la recente
proposta di Cgil, Cisl e Uil sul nuovo modello di relazioni industriali, circa il welfare contrattuale è chiara e va proprio in questa direzione, sostenendo che i fondi contrattuali di sanità integrativa non possono rappresentare una scelta di indebolimento del sistema universale di tutela ma, al contrario, attraverso convenzioni con le strutture pubbliche, possono a loro volta interagire e rappresentarne un fattore di sostegno".