Ci avviciniamo a metà anno. A breve avremo un’infornata di appuntamenti elettorali nevralgici, non solo per il merito delle questioni per cui si vota (amministrative di Giugno e referendum costituzionale di Ottobre), ma anche per il futuro stesso della legislatura o, quantomeno, del Governo Renzi.
Per l’appuntamento di Ottobre è stato lo stesso premier a dire con chiarezza che in caso di bocciatura della “sua” riforma della Costituzione non vede altra alternativa che quella di lasciare Palazzo Chigi (e addirittura, così ha detto, la politica). Nel caso delle amministrative, nonostante il tentativo di Renzi di tenersi a distanza dagli appuntamenti cruciali delle grandi città chiamate a rinnovare i consigli comunali e il sindaco, è indubbio che in caso di debacle del PD non si possono escludere a priori ripercussioni per il Governo, che resta di fatto una sorta di monocolore Dem “allargato”.
In questo scenario le cose di “tutti i giorni”, come quelle che riguardano le politiche della salute (che tra l’altro la nuova Costituzione rimette saldamente nelle mani dello Stato), rischiano di galleggiare sempre più ai margini dell’agenda politica.
Intendiamoci, gli apparati centrali e locali preposti (dal ministero della Salute alle Regioni) continuano a lavorare sui vari dossier aperti (e sono tantissimi) ma è indubbio che l’attenzione di tutti è altrove. A quelle due scadenze ormai sempre più prossime.
Anche per questo è forse utile, almeno per noi addetti ai lavori, rifare il punto e cercare di capire cosa potrebbe accadere da qui alla fine dell’anno, salvo terremoti del quadro politico nazionale che ovviamente rimetterebbero molte cose ai nastri di partenza.
Cominciamo dal Governo e dalle Regioni. Ormai quasi due anni fa veniva siglato quello che doveva essere
uno storico Patto per la Salute contenente molti segnali di una svolta per la sanità pubblica, con molte ricadute pratiche anche per i cittadini.
A distanza di 22 mesi dalla sigla (era il 14 luglio 2014) del Patto sappiamo che
molti punti forti dell’accordo sono andati a farsi friggere (in primis l’ammontare degli stanziamenti per la sanità, falcidiato di diversi miliardi di euro da leggi successive), oppure non hanno proprio visto la luce (nuovi Lea e riforma ticket, tra tutti).
Il fatto che già si inizi a parlare del nuovo Patto per il prossimo triennio senza aver concluso il primo può far sorridere o ben sperare a seconda di come sarà impostato questo nuovo accordo. Un nuovo libro dei sogni (come dobbiamo ormai considerare il precedente accordo) o finalmente un atto serio e realizzabile sul quale impegnarsi senza dietro front o tentennamenti? Non possiamo che aspettare le nuove carte.
Poi abbiamo la partita, che non riguarda solo la sanità ma tutto il pubblico impego, dei contratti e delle convenzioni. Una partita che ha visto chiudersi (quasi) solo la premessa (la definizione delle aree contrattuali e degli atti di indirizzo) ma che resta ancora in altissimo mare per quanto riguarda la ciccia della questione e cioè le risorse per i rinnovi.
I soldi al momento restano quelli stanziati dalla stabilità dell’anno scorso (300 milioni) e non possiamo che attaccarci a quanto dichiarò il 4 novembre 2016 il ministro
Padoan in Parlamento: “
Occorrerà definire i comparti, si potrà così valutare, con la prossima legge di Stabilità, uno stanziamento maggiore (rispetto ai 300 milioni della stabilità 2016, ndr)”. I comparti sono stati definiti, la legge di stabilità 2017, ovviamente ancora no, e anche in questo caso non resta che aspettare Ottobre o, se va bene, la nota di aggiornamento del Def (Settembre), per capire a quanto ammonterà quello “
stanziamento maggiore” cui faceva riferimento Padoan.
E visto che parliamo di legge di stabilità, è evidente che le attese per la nuova legge finanziaria, per quanto riguarda la sanità, sono tutte sulla crescita del Fondo sanitario che, al momento, sembrerebbe fissato in 113 miliardi per il 2017 e sul quale non ci dovrebbero a questo punto essere sorprese (ma mai dire mai), anche considerando che, in ogni caso, si tratterebbe di una cifra inferiore di 2,5 miliardi rispetto a quella fissata dal vecchio Patto per la Salute addirittura per il 2016.
Ma in agenda restano ancora almeno altre rilevanti questioni per la sanità: il destino del
decreto appropriatezza dopo la sospensione dei suoi effetti decisa a febbraio scorso, quello della
riforma degli Ordini professionali, per ora approvata dalla sola Commissione Sanità del Senato a tre anni dalla sua prima presentazione in Consiglio dei ministri (manca quindi ancora l’esame dell’Aula di Palazzo Madama e poi l’esame in prima lettura della Camera) e infine l'iter del
ddl sulla responsabilità professionale, ora all’esame della Commissione Sanità del Senato dalla quale uscirà senz’altro modificato rispetto al testo Camera, dove quindi dovrà comunque tornare.
Un capitolo a parte riguarda poi il settore del farmaco, dove si intrecciano le problematiche della governance del settore, con le Regioni che indicano la riduzione della spesa come obiettivo prioritario del riassetto del sistema, e il
nuovo sistema di remunerazione delle farmacie in ballo da anni e sul quale finora nessun è riuscito ancora a trovare la quadra.
A queste principali “vertenze”, tutte aperte, si aggiungono poi innumerevoli “azioni” nazionali e locali per far marciare leggi in vigore ma non ancora applicate compiutamente: riorganizzazione e standard ospedalieri, piani di rientro delle aziende ospedaliere, definizione standard di personale e relativi concorsi straordinari per far fronte ai vuoti di organico scaturiti dall’entrata in vigore del nuovo orario di lavoro europeo, tanto per citarne alcune tra le più rilevanti.
Insomma le “politiche della salute” in atto e in divenire sono molte e su tutte aleggia tuttora una notevole aleatorietà sui tempi e sulla loro effettiva messa a regime. Un quadro di incertezza (cui si aggiungono anche oggettive difficoltà attuative) per il quale le due bombe a orologeria delle amministrative e del referendum rappresentano indubbiamente un ulteriore elemento di pericolo, se non altro per l'inevitabile “distrazione” che esse provocheranno nella classe politica, a tutti i livelli, rispetto a una tabella di marcia serratissima quanto complessa che richiederebbe al contrario la massima attenzione dei decisori nazionali e locali.
Cesare Fassari