Le reazioni registrate al primo passaggio in aula del Ddl Gelli, da parte di sindacati medici e di
esperti di risk management, sono state di evidente soddisfazione. Nei primi - i sindacati della dirigenza medica - il plauso era presente anche prima del passaggio alla Camera, nei secondi le critiche non erano mancate. A questo punto credo possa essere utile analizzare – visto che di un disegno di legge stiamo parlando – se il testo sia migliorato anche dal punto di vista delle criticità lamentate e della coerenza giuridica.
Ricordiamo le critiche che erano state operate sul ddl approdato in aula:
a) il mancato finanziamento del sistema di prevenzione dei rischi, l’accentramento in capo al medico igienista della figura del risk manager e la mancanza di garanzia di riservatezza e confidenzialità dei verbali degli audit interni con il rischio di vanificare l’intero percorso preventivo;
b) la segnalazione (anche) anonima delle disfunzione al difensore civico;
c) le “buone pratiche clinico assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida” delle società scientifiche, che costituiranno efficacia esimente, valide solo se provenienti da organismi “accreditati” presso il ministero con in conseguente rischio di perdita dell’autonomia professionale e, financo, di invadenza della politica;
d) una depenalizzazione dell’attività sanitaria che rischia di vanificare una parte della domanda di giustizia da parte dei cittadini;
e) una inversione dell’onere della prova per i professionisti non adeguatamente controbilanciata da altre norme;
f) le criticità dell’azione di rivalsa;
g) l’obbligo di assicurazione, anche per i professionisti dipendenti, senza le adeguate norme sulle società assicuratrici che, ad oggi, propongono prodotti assicurativi che non offrono una reale sicurezza in molti casi.
Per il punto sub a) il problema del mancato finanziamento delle attività di prevenzione del rischio è rimasto. Quindi sia le attività stralciate dal ddl Gelli nella legge di stabilità 2016 – istituzioni di unità aziendali di risk management, attività di prevenzione, rilevazione rischio di inappropriatezza, emersione di attività di medicina difensiva, attività di formazione continua al personale – sia la costituzione del centro regionale del rischio sanitario e dell’osservatorio nazionale sulla sicurezza devono avvenire “senza o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” secondo la pigra dicitura del mancato finanziamento. Qui è ovviamente a rischio la mancata attuazione di tutta la parte preventiva o, quanto meno, la mancata reale incidenza preventiva rispetto alla situazione attuale. Con un servizio sanitario sempre più definanziato l’attivazione a costo zero o, nel migliore dei casi, low cost delle attività preventive rischia di vanificare i risultati attesi e sperati.
Bene invece la sacrosanta sottrazione “dei verbali” di gestione del rischio all’attività giudiziaria. La loro inclusione avrebbe reso impossibile tutta l’attività. Bene anche l’estensione della figura del risk manager ai medici legali e ad altro personale sanitario. Il monopolio previsto per gli igienisti e, soprattutto, l’esclusione di altro personale sanitario non trovava alcuna logica ragione. Cassata con buone ragioni anche la pericolosa segnalazione anonima delle disfunzioni al difensore civico che avrebbe incentivato pericolosi comportamenti delatori con lo scudo dell’anonimato.
Rimane in piedi l’elenco delle società scientifiche accreditate dal ministero che saranno le depositarie ufficiali, non del sapere (nessuno può impedire la emanazione di linee guida a società scientifiche non presenti nell’elenco), bensì dell’efficacia esimente dell’esclusione della colpa grave nei comportamenti professionali. I rischi paventati sono noti: una forte burocratizzazione dell’attività professionale (già messa a dura prova da una serie di atti normativi; ultimo, ma non ultimo, il decreto sull’appropriatezza appena pubblicato) e una limitazione delle innovazioni. I comportamenti professionali potranno costantemente essere confrontati con il discostamento dalle linee guida e dalle buone pratiche consultando il sito dell’Istituto superiore di sanità che diventerà il punto di riferimento “forense” per eccellenza. Un comportamento non conforme rischia di essere immediatamente bollato come inappropriato, o peggio ancora, in taluni casi marchiato in automatico come colpa grave, vista la generale previsione dell’articolo 5 del ddl che stabilisce come principio generale di tutti gli esercenti le professioni sanitarie un esercizio professionale che impone di “attenersi” alle linee guida e buone pratiche pubblicate.
Un ripensamento, quanto meno nella tassatività della formulazione, sarebbe ragionevole attenderselo.
Non si comprende bene se la funzione dell’Istituto superiore di sanità sia di reale controllo o sia meramente notarile e, eventualmente nel primo caso, se possa esserci una responsabilità dell’Istituto stesso in caso di pubblicazione di linee guida errate. A proposito: è sparita la norma transitoria che, nelle more dell’applicazione del nuovo regime (accreditamento delle società scientifiche e pubblicazione sul sito dell’Istituto superiore di sanità) lasciava in vigore l’attuale situazione prevista dalla legge Balduzzi. Si rischia un pericoloso vuoto normativo.
Sulla ulteriore parziale depenalizzazione, rispetto sempre alla legge Balduzzi, rimangono in piedi le considerazioni del Tribunale di Milano che avevamo ricordato in un
precedente contributo. Sul punto, inoltre, pesa la perdurante mancata definizione di “colpa grave”, depenalizzata solo sull’imperizia, che lascia lo spazio alle interpretazioni giurisprudenziali che rischiano di essere mutevoli e non consolidate per i prossimi anni.
Confermato l’obbligo di assicurazione anche per i professionisti dipendenti – con oneri a proprio carico - con una novità rilevante costituita dall’interessante articolo 11 denominato “Estensione della garanzia assicurativa”. Avevo, in un
articolo precedente proprio su queste colonne, criticato il mancato intervento sulle assicurazioni che offrono prodotti assicurativi inaccettabili che spesso non danno idonea copertura per fatti accaduti “durante il tempo dell’assicurazione”. Tutte le polizze sulla responsabilità sanitaria sono oggi stipulate con la formula “claims made” che limita la copertura assicurativa al tempo della vigenza del contratto e non al tempo dell’accadimento del sinistro. Il ddl estende la copertura ai cinque anni successivi alla scadenza del contratto sempre e “può” anche applicare la retroattività sempre quinquennale. In caso di cessazione dell’attività professionale è prevista un’ultrattività decennale. Interessante anche la previsione dell’articolo 10 sulla fissazione dei requisiti minimi delle polizze da fissarsi con decreto ministeriale anche se non si comprende in quali tempi. Su questo aspetto sono condivisibile le
preoccupazioni manifestate da Tonino Aceti.
Le previsioni sulle assicurazioni sono le innovazioni più significative apportate all’aula in quanto fanno venire meno i sospetti – intollerabili – di un atteggiamento del legislatore condiscendente verso le assicurazioni stesse. In realtà manca ancora un punto fondamentale che è tipico dell’obbligo assicurativo: l’obbligo a contrarre da parte delle imprese assicuratrici. Comunque fino a ora è significativo il silenzio registrato da parte delle assicurazioni.
Sulle criticità legate all’azione di rivalsa sono intervenuti approfonditamente
Daniele Rodriguez e
Anna Aprile proprio su questo Quotidiano con due interventi puntuali e esaustivi che ne sottolineavano un impianto non ancora tutelante, quanto meno della difesa, dei professionisti (
Tutti i dubbi sulla "rivalsa",
Il nuovo "look" del ddl Gelli non risolve tutti i problemi).
Bisogna riconoscere che il testo del ddl Gelli sia decisamente migliorato rispetto al testo precedente. Molte criticità sono state corrette, altre rimangono in piedi. Questo non ci esime però dalla valutazione complessiva del ddl rispetto alle finalità di bilanciamento che dichiaratamente intende perseguire. Se da un lato si è perseguito l’inversione dell’onere della prova paziente/professionista rendendo più difficile la domanda di giustizia con il chiaro tentativo di deflazionare il contenzioso, proprio sul professionista, vi è da domandarsi se le attività preventive siano idonee alla riduzione degli errori oppure siano esclusivamente indirizzate verso la mera riduzione del contenzioso per la presenza di norme che rendono più difficoltoso l’accesso alle aule di giustizia.
Lo abbiamo già sottolineato: tutte le attività di prevenzione – sia quelle già anticipate in Stabilità sia quelle contenute del ddl – non sono finanziate. Difficile pensare, visti i tempi, grandi impegni di spesa su attività che rischiano di rimanere sulla carta o, visto che in molte regioni sono già presenti, abbiano un impatto diverso da quanto hanno avuto fino ad oggi.
Il bilanciamento non sembra riuscito. Interessante e, anche opportuna, è la proposta di chi (sempre Aceti) propone un diretto accesso del paziente alla propria documentazione in costanza di ricovero e non solo successivamente. Si tratterebbe di un’operazione di bilanciamento e di trasparenza che motiverebbe anche i professionisti a una più corretta e puntuale compilazione della documentazione sanitaria. Servirebbe inoltre, sempre in tema di documentazione, una normativa generale sulla documentazione e sul suo rilascio e una spinta reale, alla totale informatizzazione di tutta la documentazione con standard di sicurezza adeguati. L’esempio da non seguire è quello dell’agenda digitale che prevedeva la totale informatizzazione della cartella clinica “senza oneri a carico della finanza pubblica” formuletta che prelude alla non applicazione della norma come in realtà è stato.
Luca Benci
Giurista