La legge di stabilità appena approvata interviene in maniera mirata nella lotta alla povertà non solo destinando risorse ad hoc, ma anche preoccupandosi di incentivare nuove assunzioni con il rinnovo delle decontribuzioni per le aziende perché "i sussidi non risolvono i problemi nel lungo periodo". Quanto ai servizi sociali, "la legge 328 del 2000 rimane la bussola per riordinare, rivisitare e innovare il sistema". Un sistema che deve tener conto dell'impatto dell'immigrazione sui nostri sistemi di welfare: "In Italia 620 mila anziani devono ringraziare gli immigrati: sono loro a 'pagargli' la pensione".
Così in quest'intervista a
Quotidiano Sanità, la responsabile nazionale welfare della segreteria del Pd,
Micaela Campana, interviene per fare il punto sull'azione del Governo.
On. Campana, la legge 328 del 2000, voluta dall’ex ministro per la Solidarietà sociale del governo Prodi Livia Turco, proponeva l’istituzione dei Livelli essenziali di assistenza sociale, i cosiddetti Liveas. Ma a distanza di 15 anni essi non sono mai stati attuati. Come mai? Un problema economico o di natura normativa? Pensate in ogni caso di affrontare la questione per garantire pari diritti sociali a tutti i cittadini indipendentemente dalla regione o dal comune di residenza?
I 15 anni della legge 328 si compiono in un momento in cui questa legislatura sta affrontando la discussione della riforma costituzionale, ancora una volta tesa a mutare i rapporti e le competenze tra Stato e Regioni. In questo possiamo ravvisare un certo parallelismo con il contesto in cui si è svolto il dibattito che nel 2000 ha portato all'approvazione della legge 328, da cui oggi prendiamo spunto per questo seminario. Quindici anni fa pensare ad un sistema di servizi integrato, che coinvolgesse il mondo del terzo settore è stata un'intuizione non da poco, che oggi porta molti soggetti del mondo associativo essere dei protagonisti dell'assistenza sui territori e partner consolidati dell'amministrazione pubblica.
Nonostante, siano molti i limiti e le norme rimaste disattese che il mondo associativo rivendica, dobbiamo riconoscere che la legge 328 rimane la bussola per riordinare, rivisitare, innovare il sistema dei servizi sociali. Questo anniversario arriva anche in un momento in cui questo Parlamento e questo governo hanno deciso di impegnarsi fin da subito nella riforma del terzo settore, cercando di dare delle risposte più volte sollecitate da tutti quegli attori che con il pubblico lavorano ogni giorno fianco a fianco, rendendo più semplice e trasparente un sistema che in questi anni di crisi ha assicurato la tenuta del welfare nelle nostre città, non senza problemi e spesso dovendo fare i conti con il taglio delle risorse pubbliche. Aggiungo che 15 anni fa, un elemento non è stato preso in considerazione e che oggi, chi ha l'ambizione di creare politiche di lunga visione, non può ignorare. Si tratta dell'impatto dell'immigrazione sui nostri sistemi di welfare. Spesso ci si ferma ai dati degli arrivi per commentare il fenomeno senza tenere conto che molti immigrati sono già parte del nostro sistema produttivo. La Fondazione Leone Moressa ha calcolato che in Italia 620 mila anziani devono ringraziare gli immigrati: sono loro a “pagargli” la pensione. Nell’ultimo anno infatti i lavoratori stranieri hanno versato ben 10,29 miliardi di euro in contributi previdenziali. Essendo prevalentemente in età lavorativa, i migranti sono soprattutto contribuenti. Non a caso, oggi la popolazione con più di 75 anni rappresenta l’11,9% tra gli italiani, solo lo 0,9% tra gli stranieri. Senza contare che i primi migranti che si sono stabiliti nel nostro Paese, sono stati soprattutto un aiuto alle famiglie italiane nei servizi domestici, come badanti e nella cura dei bambini. Hanno assicurato forme di welfare privato.
In proposito si registra addirittura un passo indietro. Nel corso dell’esame della riforma del Titolo V, il Senato ha approvato un emendamento di Russo (Pd) a sorpresa che ha previsto la possibilità di devolvere alle regioni le politiche sociali. Ci ripenserete?
La discussione della riforma costituzionale è oramai a buon punto, tuttavia ci prepariamo al referendum che darà direttamente la parola ai cittadini.
Secondo gli ultimi dati Istat in Italia più di un italiano su quattro è a rischio povertà o esclusione sociale e al sud sono in queste condizioni il 50% dei cittadini. Le politiche adottate fino ad ora dal Governo sono sufficienti per arginare il fenomeno? Si può fare di più? E se sì, come?
La legge di stabilità contiene già delle risposte importanti. Intanto per la prima volta viene introdotto il Fondo per la lotta alla povertà, con uno stanziamento di 600 milioni nel 2016 e di 1 miliardo nel 2017. Inoltre, 380 milioni sono destinati all'avvio su tutto il territorio nazionale di una misura di contrasto alla povertà, dando priorità ai nuclei famigliari con minori. Sulla stessa linea viene autorizzato un credito di imposta di 150 milioni di euro per le fondazioni bancarie che promuovano interventi in favore della povertà educativa infantile. Ma come ripete il Ministro del Lavoro,
Giuliano Poletti, bisogna dare una chance a quanti non ce l'hanno perchè altrimenti i sussidi non risolvono i problemi sul lungo periodo. Per questo ritengo sia stato importante prevedere anche quest'anno la decontribuzione per le aziende che assumono e il finanziamento di 2,5 miliardi per il Mezzogiorno per il rilancio degli investimenti. L'obiettivo è quello di creare opportunità dove non ce sono,
Il nostro sistema di welfare è un caposaldo del nostro sistema sociale ma negli ultimi anni, soprattutto a seguito della crisi economica è stato oggetto di ripetuti interventi adottati però in modo spesso frammentato e settoriale. Pensa sia invece necessario un riassetto completo del sistema a partire dal riequilibrio e dalla ridefinizione dei vari ambiti di intervento (previdenza, sociale sanità)? E se sì, come?
Abbiamo visto che crisi economica e mala gestione delle risorse pubbliche in alcuni ambienti ha portato ad un mix esplosivo. Quello che questo governo sta facendo è riorganizzare le risorse, unire i centri di acquisto delle amministrazioni pubbliche. La legge di stabilità interviene in materia decisa sui costi della sanità con lo scopo di eliminare ogni possibilità di spreco e arrivare nel più breve tempo possibile all'efficientamento della spesa. Si potenzia il ruolo delle centrali di spesa; il disavanzo sanitario non viene più considerato solo in chiave regionale, ma si andranno a vedere i conti delle singole aziende ospedaliere prevedendo dei piani di rientro ad hoc redatti dalle regioni. Allo stesso modo si dà la possibilità alle regioni, che non siano sottoposte a piani di rientro, di costituire delle aziende sanitarie uniche. Le risorse ci sono e l'obiettivo è che ogni euro risparmiato eliminando sprechi, possa essere reinvestito in sanità. E' uno temi principali dell'azione di questo governo che per il 2016, in attuazione del Patto della Salute, destina alla sanità 111 miliardi di euro di cui 800 destinati ai nuovi Lea.
Giovanni Rodriquez