Lentamente, ma progressivamente i limiti dei Piani di rientro vengono alla luce e si corre ai ripari per evitare quegli effetti collaterali che inevitabilmente hanno provocato nelle Regioni interessate. Per carità, è più esatto parlare di croce e delizia dei piani di disavanzo dal deficit sanitario che senz’altro sono stati utili e necessari a raddrizzare i conti disastrati di molte Regioni, ma talvolta con una ricaduta negativa sulla capacità di assistenza sanitaria. Né poteva oggettivamente andare diversamente. Le Regioni sottoposte a Piani di rientro, in questi anni, si sono scontrate con il vincolo del blocco del turn over, misura economica dai devastanti effetti sanitari, che ha provocato problemi di efficacia nell’erogazione delle cure a cominciare dalla notevole difficoltà di dare immediata e adeguata risposta ai bisogni dei pazienti ed ampliando il gap tra la sanità meridionale e quella settentrionale.
Finalmente, si comincia a prendere consapevolezza della necessità di rimediare alle storture e alle iniquità prodotte da una logica di governance della sanità prettamente ragionieristica.
E’ ormai data per certa l’introduzione nella legge di stabilità della
norma che abolisce il divieto delle strutture sanitarie, situate nelle Regioni in Piano di rientro, di potere curare cittadini provenienti da altre realtà territoriali. Una disposizione che, innanzitutto, è un atto di giustizia che come una livella equipara i pazienti del Nord a quelli del Sud e che, si spera, nel breve periodo riuscirà a compensare la forte discrepanza nel saldo tra mobilità attiva e mobilità passiva. Una zavorra, quest’ultima che incide pesantemente sui bilanci regionali, ma questa è un’altra storia.
Una misura che, inoltre, ha un forte impatto culturale, veicolando finalmente il messaggio che anche nel Sud esistono centri di eccellenza, finora gioco forza snobbati e penalizzati.
Certo, pur apprezzando la buona volontà del Ministro Lorenzin nel riparare a tale ingiustizia, non c’è norma che tenga se non si provvede contestualmente a rivedere la percentuale di blocco del turn over. La maggior parte delle regioni “affiancate”, a causa della cronica carenza di personale riesce, soltanto a costo di grandi sacrifici a garantire i livelli essenziali di assistenza; non è eccessivo sostenere che da ormai troppi anni il personale sanitario lavora in una situazione di “ordinaria emergenza”. Sono certo che il Ministro della Salute ascolterà la richiesta che da anni avanzo di allentare i lacci dell’attuale blocco del turn over, prevedendo deroghe maggiori che consentiranno una necessaria immissione di personale nei nosocomi vari a tutto vantaggio del diritto alla salute dei cittadini.
Peccato che manchi un’altra condizione necessaria per poter accorciare le distanze tra regioni più ricche e virtuose e quelle in ripiano, ma ugualmente virtuose. Pare proprio che il gap tecnologico e infrastrutturale tra sanità settentrionale e quella meridionale non sarà nell’immediato colmato: sempre che verrà confermata la riduzione di 600 milioni nel 2016 e di 900 milioni nel 2017 delle risorse destinate agli interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario. Evidentemente occorre attendere tempi migliori, qualche volta bisogna accontentarsi.
Raffaele Calabrò
Capogruppo NCD
XII Commissione Camera dei Deputati