Annualmente l’assistenza sanitaria si finanzia con l’addizionale Irpef, con l’Irap (per il 2013 pari a 34,767 miliardi di cui 24,813 dal settore privato), con le compartecipazioni alle accise sulla benzina e sull’Iva.
L’approccio diagnostico è necessario, in prospettiva, anche per il sistema pensionistico in quanto se non si pagano tasse proporzionate ai redditi oggi, in generale non si versano neppure i contributi sufficienti essendo le due contribuzioni intimamente collegate, con pesanti ripercussioni sul sistema previdenziale di domani.
La somma dei redditi 2013 dichiarati dagli italiani ai fini Irpef, è di 803,3 miliardi per un totale di Irpef, comprese le addizionali, pari a 167,8 miliardi (versamenti nel 2014).
Dall’esame dei dati emerge che:
- i lavoratori autonomi versano appena il 6,27% dell’Irpef totale;
- il 46,5% dei contribuenti (19,079 milioni) che hanno redditi da zero o negativi fino a 15.000 euro, dichiarano solo il 16,20% del totale dei redditi totali cioè 130 miliardi per un reddito medio di 6.851 euro (571 euro al mese, meno di un pensionato sociale con integrazione);
- l’imposta media pagata è pari a 485 euro per contribuente ma considerando il rapporto cittadini italiani (60.782.668) su contribuenti (40.989.567) ogni contribuente ha in carico 1,483 cittadini per cui ai 19,079 milioni di dichiaranti fino a 15.000 euro corrispondono 28.295.197 cittadini e l’imposta media annua pagata è pari a 327 euro.
In base a questi dati, per garantire la sanità a questi primi 28,29 milioni di italiani occorre che altri cittadini (contribuenti più fortunati o più onesti) versino 41,3 miliardi (1.790 - 327 x 28.295.197), oltre a pagarsi la propria sanità dato che il servizio sanitario nazionale per il 2013 è costato circa 109 miliardi per una spesa pro capite di 1.790 euro.
Sul lato pensioni, togliendo dal totale di cui sopra i pensionati, restano 11,842 milioni di lavoratori che presentano redditi sotto i 15 mila euro l’anno; in particolare 3,853 milioni di dipendenti e 3,37 milioni di autonomi dichiarano redditi negativi o al massimo fino a 7.500 euro.
È ovvio che questi 7,2 milioni si soggetti a cui si sommano altri 4,7 milioni che dichiarano in media 11.500 euro l’anno, non matureranno il minimo pensionistico e quindi in futuro dovremo pagare pensioni sociali, maggiorazioni o integrazioni al minimo a oltre 11 milioni di futuri pensionati realmente o figurativamente “poveri”.
Scomponendo poi i dati per tipologia di contribuente (dipendenti, autonomi e pensionati) e per aree geografiche, emergono altre osservazioni:
1) Intanto i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, imprenditori e liberi professionisti) dichiaranti sono 5,57 milioni (le stime correnti, compresi i lavoratori parasubordinati ne calcolano oltre 7,5 milioni) ma quelli che versano sono solo 2,886 milioni; di questi oltre 1 milione dichiara redditi tra zero (o negativi) e 7.500 euro(in media meno di 3 mila euro l’anno) e altri 625 mila, in media di 11 mila euro l’anno; sulla base dell’Irpef pagata (80 euro l’anno per i primi e 590 euro per i secondi) a questi autonomi cui corrispondo 2,5 milioni di cittadini, dovremo pagare oggi tutta o quasi la spesa sanitaria 2013 e in futuro anche la pensione;
2) E’ evidente più che mai quanto l’introduzione del “contrasto d’interessi” sia indifferibile in un Paese come il nostro e ridurrebbe l’enorme evasione fiscale stimata tra 300 e 400 miliardi di redditi in “nero”;
3) I pensionati dichiaranti sono circa 15 milioni il che significa che circa 1,3 milioni di loro lavora ancora normalmente; a questi ultimi andrebbe il “cavalierato italiano” perché con le tasse si pagano la loro pensione e quella di altri pensionati; i cosiddetti “pensionati d’oro” cioè quelli che prendono tra 55 e 100 mila euro lordi l’anno (in media 47 mila euro netti l’anno) sono solo il 2,5% del totale e dichiarano il 14,7% dell’Irpef totale; quelli sopra i 100 mila euro sono lo 0,79% del totale, circa 175.000, e pagano circa il 13% dell’Irpef totale. In pratica circa il 3,3% dei pensionati paga quasi il 28% di tutta l’Irpef;
4) Un contribuente con un reddito tra 55 e 100 mila euro paga 15.000 euro di tasse cioè 31 volte l’imposta pagata dal 46,5% dei contribuenti fino a 15 mila euro di reddito; quelli tra 100 e 200 mila 65 volte, quelli tra 200 e 300, 129 volte e addirittura 336 volte quelli sopra i 300 mila euro E’ come dire che un lavoratore con reddito di 100 mila euro paga in un anno quello che uno dei 19 milioni di dichiaranti paga in 40 anni di lavoro. Questo divario tra imposte è molto superiore al divario medio dei redditi;
5) Infine dal punto di vista geografico al nord l’imposta media pro capite è di 4.676 euro, al centro 4.459 euro e al sud di 2.900 €; in rapporto ai cittadini le cifre si riducono rispettivamente a 3.406, 3.078 e 1.720 euro L’intero sud (20.926.615 abitanti) sulla base dell’imposta media non raggiunge neppure il costo della sanità; tutto il resto è a carico di altri contribuenti.
Come si vede quando si parla di welfare (peggio ancora di reddito minimo) sarebbe bene una analisi di sostenibilità salvo scaricarne i costi sulle giovani generazioni - pratica purtroppo in uso ancora oggi - o aumentare le tasse e i contributi “buttando fuori mercato” l’Italia in termini di competitività e quindi di occupazione e sviluppo.
Ecco perché i tagli infiniti alla sanità pubblica e al welfare non risolveranno alcun problema.
Ecco perché quando si parla di (in) sostenibilità di un Ssn universalistico e solidale si deve parlare di evasione fiscale.
Aldo Grasselli
Segretario Generale Aggiunto Cosmed