“Nei giorni scorsi mi chiama una mamma pugliese. Ha due figli, di cui uno affetto da mucopolisaccaridosi, una rara e grave malattia genetiche del metabolismo. Ha perso il lavoro, il marito l’ha lasciata - cosa che accade in quasi la metà delle famiglie in cui un bambino è affetto da una malattia rara -, la macchina è in fermo amministrativo perché non ha pagato le rate e perciò da un mese non può accompagnare i bambini a scuola. Se non pagherà l’affitto, la padrona di casa ha già minacciato di mandarla via”.
È una storia di ordinario disagio nella vita di un’associazione impegnata nella difesa dei malati rari e delle proprie famiglie. Una delle tante organizzazioni che spesso mettono le toppe laddove il welfare non arriva.
A raccontarla è Flavio Bertoglio, presidente dell’Associazione italiana mucopolisaccaridosi e segretario generale della Consulta nazionale malattie rare, l’organo che coordina e rappresenta le associazioni rappresentative dei malati rari nelle sedi istituzionali.
Una vicenda come quella della madre pugliese, forse, non sarebbe avvenuta se il
disegno di legge a prima firma della senatrice Dorina Bianchi presentato nel marzo dello scorso anno e in attesa di essere esaminato dalla Commissione igiene e sanità fosse già stato approvato. Prevede, per i genitori che assistono un bambino affetto da una malattia rara un contributo (definito “sostegno alla genitorialità”) pari a mille euro mensili, a cui si aggiunge, in caso di separazione dei genitori, un ulteriore sostegno di 500 euro al mese. Il disegno di legge stabilisce inoltre “il diritto all’erogazione anticipata del trattamento pensionistico, indipendentemente dall’età anagrafica del genitore beneficiario, a seguito del versamento di almeno venticinque anni di contributi previdenziali”.
“Perché - spiega Bertoglio - essere genitore di un bambino malato raro è più che un lavoro usurante. In Francia lo hanno capito da un decennio adottando idonee misure legislative”. Ora, anche l’Italia comincia ad adeguarsi. Anche se senza troppa fretta.
GLI UMORI DETTANO L’AGENDA - Sempre al Senato, è all’esame della Commissione igiene e sanità
un disegno di legge presentato nell’aprile 2008. L’iter legislativo, però, va avanti a singhiozzo e ci si mette un attimo a far scivolare il ddl dietro le priorità del momento: “l’ultima volta che il ddl era in calendario al Senato, è stato scalzato dal «testamento biologico»”, dice Bertoglio, che sottolinea come l’approvazione del testo possa rappresentare una svolta in questo settore negletto.
“Per noi pazienti ci sono tre punti focali: lo screening neonatale obbligatorio per tutte le malattie rare che hanno o avranno in futuro una terapia, innanzitutto. Una misura del genere consente di evitare la disabilità grave a moltissimi malati, perché una diagnosi tempestiva - almeno in alcuni casi - consente di mettere in atto strategie che consentono di evitare o limitare i danni della malattie”. Sottoporre a screening tutti i nuovi nati costerebbe non più di 15 milioni di euro l’anno. Inquantificabili, invece, i costi che si potrebbero risparmiare negli anni successivi.
“Il secondo caposaldo - prosegue il rappresentante delle associazioni - è l’istituzione di un fondo nazionale sovraregionale che consenta di tamponare alle differenze nella qualità di offerta tra le diverse Regioni. Servirà a coprire ogni anno l’eccesso di spesa connesso alle nuove diagnosi”, illustra. Oggi, infatti, “spesso i pazienti sono sotto-trattati o non trattati affatto a causa di una supposta insufficienza di risorse”, denuncia Bertoglio. “Capita, per esempio, che se un paziente aumenta di peso non gli viene fornita la quantità necessaria di farmaco in più. E ciò rischia di rendere inutile la terapia, dal momento che la maggior parte dei farmaci impiegati per malattie rare prevede un preciso dosaggio per chilo”.
A questi problemi dovrebbe ovviare il fondo speciale, mentre il compito di stabilire le priorità, vigilare sulla qualità dell’offerta da parte dei centri e coordinare tutte le attività nazionali sulle malattie rare dovrebbe spettare al Comitato nazionale malattie rare: “una cabina di regia nazionale in cui è prevista anche la presenza delle associazioni dei pazienti. Soltanto due persone, ma è già un successo”.
Questo e altro prevede il disegno di legge “a un costo di 80 milioni di euro”, dice Bertoglio. “Una cifra che è un’inezia per la sanità italiana, ma che continua a non arrivare”.
SCIPPO DI STATO - Intanto, però, tra le pieghe della finanziaria, prima, e del decreto milleproroghe, poi, “vengono trovati 100 milioni per una sola malattia: la sclerosi laterale amiotrofica”. Impossibile non sentire lo stridore: “Sono stati scippati 100 milioni al volontariato, che spesso si sostituisce all’insufficiente welfare italiano”, afferma Bertoglio. “Ma la cosa più grave è il principio: non si possono canalizzare su una sola malattia delle risorse sottraendole ad altre 6000. Sia chiaro: nulla contro i malati di Sla né contro le loro associazioni, ma questo intervento non ha giustificazione. È uno schiaffo alla dignità delle persone”.
Il milleproproghe, infatti, destina fino al 25 per cento del 5 per 1000 dello scorso anno (“fino a 100 milioni di euro” si legge nell’ultima versione approvata dal Senato) a interventi in materia di assistenza e ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica. Di fatto, calcola Bertoglio, “per le altre associazioni il 5 per mille è diventato un 3,9 per mille. Ci spiegassero almeno perché”.
UN CAMPIONATO TRA POVERI - È pessima come metafora, ma così facendo, di fatto, “le persone affette da Sla saranno malati di serie A, quelle affette da una delle circa 500 patologie incluse nell’allegato 1 del Decreto Ministeriale 279 del 2001 [l’elenco delle malattie che godono di esenzione] saranno di serie B. Ci saranno poi i malati di serie C: quelli che sono in attesa che la loro malattia venga riconosciuta anche dallo Stato come rara. E, infine, quelli di serie D: tutte le persone in attesa di una diagnosi”.
Nonostante l’annuncio da parte del ministro Fazio dell’inclusione di ulteriori 109 malattie nell’elenco delle malattie che godono di esenzione, infatti, “un numero di malattie molto più alto è in attesa di uno scontatissimo riconoscimento da parte del tavolo Stato-Regioni”, afferma Bertoglio. Perché la situazione, in questo campo, è paradossale: non basta il riconoscimento della comunità scientifica a rendere una malattia rara. Perché lo diventi ufficialmente occorrono diversi passaggi istituzionali. E la trafila è lunga, a volte dura anni. Nonostante “l’aggiornamento dell’allegato A sia previsto a cadenza triennale, l’inclusione delle 109 patologie promessa dal ministro nei giorni scorsi è la prima dal 2001 a questa parte”, commenta Bertoglio. “Cosa ancora peggiore, da sei anni mancava soltanto una firma”.
Coloro che sono sospesi, i malati in attesa dell’ufficializzazione del loro status di malati rari, “oltre a non poter godere dell’esenzione di tutti i farmaci e dispositivi richiesti dalla loro condizione, sono esclusi anche dalla ricerca”.
E, infine, un altro paradosso: “per lo Stato, il costo della loro inclusione sarebbe irrisorio. Già oggi questi malati godono gratuitamente di quasi tutte le cure di cui hanno bisogno”. Quindi, perché tanta attesa? “È soltanto disinteresse”, conclude l’esponente delle associazioni. “Qui, quello che va più di moda va avanti”.
Antonino Michienzi