La bozza di disegno di legge sull’atto medico che
alcuni parlamentari si accingerebbero a presentare, ha il sapore di una reazione miope al dibattito in atto nella sanità sui rapporti tra le diverse professioni sanitarie e sul nuovo modello che inevitabilmente si sta consolidando per l’assistenza.
Una reazione che trova basi e spunto da un percorso delineato nella storia. E che non riesce a superare però le porte dell’attuale assetto della cura e dell’assistenza in cui le parole d’ordine sono multidisciplinarità, multiprofessionalità, integrazione professionale, collaborazione tra le professioni e centralità del paziente e dei suoi bisogni.
Parlare di atto medico è lecito, parlarne per elevare barriere rispetto al malato, assume un retrogusto che ci eravamo dimenticati, proprio grazie all’evoluzione dei modelli di cura e di assistenza.
La proposta così formulata è fuori contesto: un contesto e un modello di presa in carico e assistenza che si sta affermando da anni nel sistema salute, che ha dimostrato la sua validità e sta dando i suoi frutti, sia per l’organizzazione del sistema sia per la compliance assistenziale al paziente.
E diventa una proposta pleonastica anche rispetto al Codice di deontologia medica del 2014 (con meno di 2500 anni) in cui è il primo articolo a scrivere a chiare lettere doveri generali e competenze del medico, ma soprattutto all'articolo 66 dello stesso codice che indica al medico la via della collaborazione, condivisione, integrazione, formazione interprofessionale con le altre professioni sanitarie.
Sono in sintonia con quanto commentato dalla senatrice
Annalisa Silvestro, secondo cui “con questa proposta si vuole coltivare quell'idea che alcuni hanno reiteratamente richiamato: "...ma quale equipe..... in sanità si può tuttalpiù parlare di equipaggio ." dove c'è, evidentemente, un comandante, gli ufficiali e la truppa.
E chiudo proprio con le recenti parole di Annalisa Silvestro, parlamentare e infermiera, che danno il senso della posizione che una simile proposta può avere: “Tutti i professionisti sanitari, infermieri in primis, si sono liberati 15 anni fa di un anacronistico mansionario; credo proprio che non intendano venga, se pur surrettiziamente, riproposto. Siamo nel 2015 e credo che si debba rimanere in questo millennio, pronti a dialogare ma anche a non accettare provocazioni e a difendere la professionalità e l'autonomia degli infermieri e di tutti i professionisti sanitari”.
Su questa strada e con questa idea continueremo a lavorare per smentire, nel concreto queste idee antiche e superate, vestite di “nuovo”.
Barbara Mangiacavalli
Presidente Federazione nazionale Ipasvi