Il
documento definito “tutto coraggio e concretezza” che ufficialmente ha concluso l’indagine sulla sostenibilità della sanità redatto dalle due commissioni unificate Bilancio e Affari sociali della Camera non ha nulla di diverso da quello che era stato predisposto per la discussione finale. Confermo quindi le osservazioni che in quella circostanza ho fatto su questo giornale (
QS 21 maggio).
La linea politica proposta è una sorta di sintesi del “senso comune” sui “soliti” problemi e sulle “solite” soluzioni della sanità con scarso valore aggiunto e per di più con un discreto grado di ambiguità. Si dice che il nostro sistema sanitario non è per niente costoso ma nello stesso tempo si da indicazione al governo di integrare i finanziamenti pubblici con quelli privati (ticket e mutue integrative). Perché non dire che:
• i sistemi sanitari pubblici oggi tendono ad essere strutturalmente “quasi sostenibili” perché tendenzialmente hanno un andamento inevitabilmente incrementale;
• la sostenibilità è una idea relativa non alla quantità della spesa sanitaria ma alle difficoltà di quella pubblica;
• la sostenibilità è relativa al sistema che si ha cioè se non vi fosse la corruzione, la disorganizzazione, le diseconomie, la sanità sarebbe a parità di risorse super sostenibile.
Si dice, ancora, che senza cambiamento e innovazione il sistema va a fondo ma si riduce il cambiamento al solito marginalismo, alla solita appropriatezza, alla solita razionalizzazione, quindi ad una idea di cambiamento leggero. Si dice pure che l’epoca dei tagli lineari è finita... come se a decidere se farli o no fosse il Parlamento, ma si introducono “oneri lineari” a carico del cittadino come le franchigie per i ticket e “incentivi lineari” per fare le mutue integrative che ridurranno il grado di universalismo del sistema. Si dice di dare più potere al ministero della Salute togliere potere al Mef e alle Regioni come se il governo della sanità fosse un problema solo di competenze istituzionali da spartire.
Si dice, infine, che abbiamo un sistema a due velocità e 21 sistemi sanitari diversi, come se fosse il federalismo fasullo a creare diversità e non una classe politica per lo più incapace e corrotta, fino a convincersi che se si ricentralizzasse tutto sarebbe tutto risolto… dimenticando però che prima della riforma del titolo V, quindi quando il ministero era potente, le cose non erano tanto diverse: esisteva un decentramento, il divario nord/sud e 21 sanità diverse, perché invariante è sempre stata la nefasta influenza sul sistema sanitario della politica.
Insomma le commissioni che hanno lavorato all’indagine, come ho già detto, si sono limitate a recensire il senso comune. Avrebbero potuto andare oltre includendo altri punti di vista, altre elaborazioni, altre esperienze, altre progettualità, perfino altre idealità, ma non l’hanno voluto fare ed hanno volato basso.
Ma della discussione che è seguita a quel documento, due cose mi hanno colpito:
• piano piano con difficoltà sta affermandosi comunque una idea di “riforma” anche se blanda, del tipo “se non si cambia allora è possibile che ...”
• la tendenza che vedo anche nel documento della Camera è superare le politiche marginaliste della 229 perché non sono più sufficienti a reggere i problemi della spesa pubblica, ma non disponendo di un’altra idea di sanità pubblica e di un altro idea di sistema di servizi, si continua a intingere le dita in quella generosa e inesauribile acquasantiera (appropriatezza, qualità, economicità, razionalizzazione, integrazione, territorio ecc).
Un’altra cosa che mi ha colpito è stata la tesi della ministra Lorenzin “sull’audacia della norma” la ritengo vera e interessante, infatti per riformare ci servono “norme audaci” che non si avranno mai se si va avanti con i patti escludendo i soggetti sociali. Allora, riprendendo riflessioni sul titolo V già pubblicate ,si dica che:
• la pattuizione è subordinata alla decretazione;
• che la prima si occupa di problemi sanitari del primo ordine (organizzazione e gestione) e la seconda di problemi del secondo ordine (strategie, modelli ,riforme, indirizzi, scelte programmatiche, ecc);
• che la prima ha titolarità piena sulle questioni ”particolari” e che la seconda ha titolarità piena sulle questioni “generali”.
E il problema della partecipazione sociale come lo risolviamo? Rilancio la mia proposta di re istituire il “consiglio sanitario nazionale” (art 8, legge 833) in cui vi sono tutte le rappresentanze lavorative professionali scientifiche, i responsabili delle agenzie, i rappresentanti dei cittadini, le associazioni più importanti ecce. Si scriva da qualche parte che la pattuizione e la decretazione deve tenere conto del suo parere consultivo ,del quale il ministro si deve fare garante.
Per dire queste e molte altre avrei apprezzato se le commissioni riunite della Camera mi avessero invitato alle audizioni, cioè avessero ascoltato anche le ragioni di un pensiero riformatore autonomo libero e indipendente al servizio unicamente del bene comune e non riducibile a nessun interesse di parte. Avrei anche apprezzato una organizzazione dell’indagine per tesi multiple cioè il riferire le diverse tesi possibili, anziché stivare tutto in una irrealistica visone monotona. In compenso ho ricevuto un graditissimo invito da parte del presidente onorevole Vargiu che ringrazio pubblicamente per la sensibilità personale che ha voluto dimostrarmi, ad assistere alla presentazione del documento. Vorrei che fosse il segno di una apertura verso il dialogo e il confronto ma anche di un interesse verso altre idee riformatrici.
Vedete, voi gentili e onorevoli signori della sostenibilità, state ricominciando ora ad usare la parola “riforma” perché la vostra cognizione dei problemi è in ritardo e perché ancora non disponete di una idea più avanzata di sanità pubblica, ma c’è gente che su questa parola sta lavorando almeno da 30 anni e dispongono di tante idee nuove. Il pensiero indipendente è scomodo, rognoso a volte fastidioso, irriverente. Ma non fate l’errore che fanno tutte le persone mediocri che per paura “dell’effetto ombra”, tentano di liquidarlo, di ignorarlo, e spesso di screditarlo. Non conviene mai.
Ivan Cavicchi