Quando si conosceranno anche i risultati regionali e comunali molto probabilmente alla sede del PD rischieranno di festeggiare l’en plein. E sì, perché il voto di domenica, contro tutte le previsioni della vigilia, ha dato al partito di
Matteo Renzi un successo incredibile che lo colloca al vertice dei consensi degli italiani in una misura che la sinistra non aveva mai raggiunto. Neanche ai tempi del citatissimo (in questa campagna elettorale)
Enrico Berlinguer.
Ora il premier ha avuto quella legittimazione popolare che gli mancava e che costituiva di fatto l’unico suo vero tallone d’Achille nella sua ascesa ai vertici della politica nazionale dopo il defenestramento di
Enrico Letta da Palazzo Chigi.
Ora Matteo Renzi è senza dubbio più forte. Anzi fortissimo, pure nel suo partito, che nelle file dei parlamentari non ha mai nascosto fino ad ora la sua antipatia (se non ostilità piena) verso questo giovane ambizioso outsider.
Di fronte al 40% dei consensi popolari, il doppio dei voti del temutissimo
Beppe Grillo, con Forza Italia ai minimi storici, cui fa da riscontro l’affermazione dell’alleato di Governo
Angelino Alfano che sfonda il tetto e dimostra di esistere, il segnale che esce dalle urne è quello di un Paese che crede (o comunque vuole credere) alla possibilità di uscire dal tunnel della crisi (non solo economica). Affidandosi però a un partito solido che ha nel suo decalogo parole come "fiducia, serenità, solidarietà, ottimismo, speranza" che domenica hanno travolto con il loro suono dolce quelle da Apocalisse del leader 5 Stelle.
Ed è più forte quindi anche il Governo, che godrà di rimbalzo della legittimazione popolare del leader Pd che lo presiede. Ma non basta. Con il 40% dei voti il PD diventa il più forte partito della sinistra europea e di fatto leader indiscusso, insieme ai tedeschi, del Gruppo dei socialisti e democratici europei. Se a questo aggiungiamo che l’Italia presiederà a breve il semestre europeo, si capisce bene che per Renzi, che guida il Paese e il Partito Democratico, si apre una strada maestra per affermare in modo stabile la sua leadership.
Che avrà due grandi linee direttrici: portare a casa le riforme economiche e istituzionali (per queste utltime resta comunque fondamentale l’appoggio di
Berlusconi) che ha promesso in Italia, e diventare la guida al cambiamento “morbido” delle politiche europee fin qui conseguite, come antidoto all’antieuropeismo viscerale che ha vinto in molti Paesi dell’Unione.
C.F.