Il Def appena varato dal Consiglio dei ministri consta di diversi volumi. Di non facile consultazione per la oggettiva mole di contenuti, proposte, dati e analisi riferiti a tutti i settori economici e sociali del Paese.
L’attenzione dei media si è concentrata, come ovvio, sugli aspetti più legati all’immediato e alle ricadute economiche degli interventi più importanti preannunciati dal Governo sul fronte fiscale, redistributivo e di revisione della spesa pubblica.
Ma una parte consistente del Def guarda più avanti e delinea una serie di scenari futuri per moltissimi ambiti e settori del Paese andando al di là del risultato "spicciolo" delle manovre di bilancio. Tra questi c'è la sanità. Con un capitoletto ad essa dedicata (
Def - Sezione III, Parte I, pagina 41) dal titolo: “Criticità e opportunità: il settore sanitario”.
L’incipit è autorevole: “
Il Servizio Sanitario Nazionale ha oggi di fronte una sfida assistenziale imponente per conciliare il mantenimento degli standard e dei risultati conseguiti con le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica”.
Come? La soluzione è nota e il Def la ribadisce: “
In questo comparto vi sono gli spazi per la riduzione di aree di spreco e per l’allineamento delle spese ai costi standard”.
In questo quadro, prosegue il Def: “
La sostenibilità finanziaria del SSN nel medio-lungo periodo, anche in relazione alle tendenze demografiche in atto, ha come punto di partenza lo sviluppo del modello di governance del settore sanitario”, intendendo, supponiamo, una rinnovata capacità di “governo” del settore, nel senso più ampio del termine. Sia da parte dello Stato che delle Regioni.
Fin qui nulla di nuovo rispetto agli obiettivi dichiarati nella spending review e fatti propri da Regioni e Ministero della Salute alle prese con il Patto.
Quello che lascia perplessi è il paragrafo successivo dove il Def di Renzi e Padoan, riprende quasi letteralmente il Def di
Letta e Saccomanni sottolineando che: “
Allo stesso tempo (la sostenibilità, ndr.) si basa sul ripensamento dell'attuale modello di assistenza, con l'obiettivo di garantire prestazioni rivolte a chi ne ha effettivamente bisogno”.
Già all’epoca del Def “Letta-Saccomanni” quella frase “
garantire le prestazioni a chi ne ha effettivamente bisogno” aveva lasciato perplessi molti osservatori. Perché delle due l’una: o sottointende un’ovvietà, quale quella di dare solo prestazioni appropriate a chi ne ha effettivamente bisogno, eliminando esami, cure e prescrizioni mediche inutili o superflue, oppure, e qui la preoccupazione, è un modo soft per dire che una sanità che dà “tutto a tutti” non ce la possiamo più permettere.
Ma il nuovo Def di Renzi e Padoan, come del resto quello di Letta e Saccomanni, non ci chiarisce il dubbio. Quella frase resta lì, appesa nella premessa al capitolo sulla sanità come un monito, cui non seguono però indicazioni coerenti.
Tant’è che il prosieguo del testo sembra addirittura non tener conto di quanto detto prima in termini di sostenibilità e delle eventuali necessità di una più attenta selezione delle prestazioni. Anzi, dopo aver elencato tutta una serie di azioni virtuose - per la prevenzione, l’informatizzazione, la programmazione delle reti sanitarie, sul ruolo delle farmacie dei servizi, sulla legalità e la trasparenza, sull’unitarietà delle prestazioni in tutte le Regioni, il precariato e la responsabilità professionale - si conclude con un auspicio che fa onestamente a cazzotti con la premessa.
La finalità di tutte le azioni in sanità, scrive infatti il Def, deve essere quella di: “
Incrementare l’efficienza e la sostenibilità finanziaria del SSN, assicurando un più elevato livello di benessere e di salute della popolazione. Migliorare la qualità dei servizi, promuovere l'appropriatezza delle prestazioni e garantire standard elevati del sistema universale di assistenza. Migliorare l’assistenza territoriale e l’efficacia dei trattamenti”.
In altre parole il Bengodi per ogni fan della sanità pubblica, equa, universale e solidale. Che dire. La sensazione è che si sia in qualche modo lanciato un sasso per poi ritirare la mano subito dopo. Vedremo.
Cesare Fassari