E alla fine
Enrico Letta ha mollato la spugna. Al suo posto, dopo le consultazioni di rito, dovrebbe arrivare
Matteo Renzi. Ad oggi questi sono gli unici dati certi di questa crisi di governo che rilancia in “streaming” Tv i vecchi sistemi della Prima Repubblica, quando i gabinetti di governo si facevano e disfacevano nelle stanze di Piazza del Gesù, con l’alternanza di questo o quel cavallo di razza delle tante anime di mamma DC.
Rispetto ad allora, poche differenze. Addirittura il luogo ha assonanza con quello della vecchia sede storica della Dc. Il Partito Democratico ha infatti sede a Largo del Nazareno. Più vicino di così a quei vecchi ricordi!
Ma oggi, e non è poco, possiamo assistere in diretta alle congiure interne che però, forse nella consapevolezza di stare in Tv, vedono protagonisti molto educati, pacati, e molto, molto controllati, rispetto a quanto si legge il giorno dopo nei resoconti off record dei retroscenisti ricchi di battute velenose che in diretta streaming difficilmente ascolteremo.
Ma tolto questo, la sostanza del cambio di cavallo, è la stessa e del resto le regole della Prima Repubblica non sono mai state innovate, al di là dell’enfasi sulla Seconda e “quasi” Terza Repubblica. Restiamo una democrazia parlamentare dove i Governi sono sì votati dal Parlamento ma decisi altrove, per accordo tra partiti (e chi è più grosso tra questi decide per primo). Inoltre anche se per un ventennio abbiamo rincorso la figura del candidato premier, come unico legittimato a governare, nella realtà costituzionale questa figura non esiste ancora.
Quindi, dal punto di vista della legittimità, la defenestrazione di Letta ad opera del partito di maggioranza primo azionista del suo Governo, è pienamente regolare. Poi se piaccia o meno il modo, è un altro discorso.
Ma, come dicevamo, al momento mancano ancora molti tasselli per capire come andrà effettivamente a finire. E non solo per quanto riguarda numero e nomi dei neo ministri del “Renzi I” (impazzano ovviamente i toto ministri e, per quanto riguarda la sanità, sembrano tutti concordare sul fatto che
Beatrice Lorenzin resterà al suo posto) quanto sulla sua effettiva area parlamentare di consenso (la stessa maggioranza o sarà più ampia con ex 5 Stelle e qualche Sel?) e soprattutto sulla tenuta nel tempo della sfida renziana.
A sentirlo ieri dal palco della direzione Pd, il sindaco di Firenze (ormai prossimo a lasciare quella carica, ma non quella di segretario del Pd) parlava di un nuovo Governo di legislatura per fare grandi riforme istituzionali (quelle concordate con Forza Italia) ma anche “economiche e sociali” per uscire definitivamente dalla “palude” nella quale il Paese sta ormai affondando.
In sostanza, Renzi si propone di rottamare leggi obsolete e frustanti nel mercato del lavoro, spezzando l’enorme tenaglia della burocrazia ministeriale, rivedendo le politiche fiscali che stanno ingessando la ripresa, e così via. Insomma, rivoltare il Paese come un calzino, per arrivare al 2018 alle nuove elezioni politiche come (non l’ha detto lui ma questa è la sostanza del suo pensiero) il vero salvatore della Patria.
La domanda che tutti si fanno è, glielo lasceranno fare? E’ presto per dirlo e lo scetticismo è d’obbligo. Ma la speranza e la scommessa di Renzi stanno proprio nel fatto che, se è vero che il maggiore beneficiario dell’eventuale successo del suo Governo sarà lui stesso, è pur vero che ne beneficeranno anche le altre forze politiche di maggioranza e le donne e gli uomini che insieme a lui siederanno nel nuovo Esecutivo.
Lui leader vittorioso ma gli altri “vittoriosi partner” ben consci che, almeno fino a nuove elezioni con nuove regole, Renzi da solo non potrebbe andare da nessuna parte.
Per questo gli apparenti paletti indicati soprattutto dal secondo partito di maggioranza, il Nuovo Centro Destra di
Angelino Alfano, che ieri ha detto che non entrerà mai in un Governo di “centrosinistra” chiedendo che sia invece confermata la caratteristica di Governo di emergenza o di scopo che aveva segnato l’Esecutivo Letta, appaiono più come doverose puntualizzazioni che veri distinguo. Ben sapendo, Alfano, che Renzi non farà mai l’errore di incartarsi su definizioni e aggettivi per il suo Governo, tanto astruse quanto inconsistenti sul piano reale.
Quello che conta veramente del discorso di Renzi è stato infatti il riferimento chiaro a un Governo di legislatura, che duri cioè fino al 2018. E tutti sanno che, o Renzi e il suo Governo ce la faranno a cambiare Costituzione, Legge elettorale e soprattutto a dare la sensazione che in economia e sul lavoro si volta pagina, oppure comunque si chiami quest’ennesimo Esecutivo poco importerà.
Nello stesso tempo, Renzi ha pochi mesi per dare il segno del cambiamento e ha di fronte un primo appuntamento nevralgico per capire se gli Italiani stanno con lui: le prossime europee di maggio. Se a maggio, dopo aver incassato il sì alla riforma elettorale, il Pd e i suoi momentanei alleati di Governo, andranno anche bene alle elezioni ed entro settembre saranno riusciti a portare a casa le prime mosse giuste sul piano economico e sull’occupazione, allora la scommessa, Renzi, potrebbe anche vincerla. E con lui tutti quelli saliti sul carro, Alfano compreso.
E
Silvio Berlusconi? Da questo scenario che apparentemente lo vede fuori gioco e relegato all’opposizione, anche lui ha da guadagnare e molto. Intanto le riforme costituzionali (del Senato e del titolo V) e della legge elettorale. Se si faranno porteranno anche il suo nome e poi avrà più tempo per rifondare effettivamente Forza Italia e trovare il vero (o la vera) erede alla guida del movimento.
E
Beppe Grillo? L’unico a rischiare grosso se la scommessa di Renzi dovesse essere vinta è lui. Non a caso è il più tenace sostenitore del voto subito, per spezzare sul nascere la possibilità che i suoi avversari (PD e Forza Italia con annessi satelliti) riescano a uscire dall’impasse e a fare effettivamente “le cose”. Se ci riuscissero l’arma più potente del M5S, che è quella dell’antipolitica o meglio dell’antipartiti, perderebbe parte consistente della sua efficacia, rischiando di rinchiudere il movimento in una nicchia di pura protesta della quale gli attuali elettori di Grillo potrebbero anche stancarsi.
C.F.