E’ ripreso il confronto sul nuovo Patto per la Salute. Il maggior rischio è che si riduca ad “amministrare” i tagli decisi in questi anni. Quando servono invece segnali di cambiamento per mettere in sicurezza il Servizio sanitario nazionale e quindi i diritti delle persone. Per cominciare, come primo atto preliminare al confronto sul Patto, il Governo deve proporre formalmente il riparto del finanziamento 2014 con i due miliardi aggiuntivi, come più volte annunciato, per evitare i nuovi ticket.
Ma lungimiranza (e coraggio) vorrebbe si discutesse, seriamente, come superare i ticket. Con un exit strategy divenuta necessaria di fronte a milioni di persone che rinunciano a curarsi per l’eccessivo peso della compartecipazione. In questi anni i ticket sono aumentati e, anziché favorire appropriatezza, hanno generato iniquità e distorsioni, favorendo consumi privati, o rinunce. E assicurando sempre meno entrate rispetto alle previsioni (anche a causa degli elevati costi per amministrarli), così che compensarne progressivamente il superamento non sarebbe impresa impossibile.
Il Patto deve occuparsi di come sia possibile ristabilire in tutto il Paese il diritto alla tutela della salute e a cure di qualità. Un diritto che oggi non è non garantito a tutti i cittadini, soprattutto in alcune regioni. Si è creato un divario e una frammentazione che vanno aggrediti con strumenti adeguati, di rango costituzionale, proprio per rispettare l’obbligo di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza in tutto il territorio nazionale. Non è facile proporre battaglie per la ricostruzione dei diritti e del SSN quando la tempesta dei tagli incombe. Ma non c’è alternativa, vanno fatte entrambe le cose: bisogna associare la lotta per un finanziamento adeguato al welfare a quella per la riqualificazione dei servizi. Solo così è possibile mantenere il ruolo, insostituibile, del SSN pubblico e universale.
Per questo bisogna sostenere, in tutte le regioni, una riorganizzazione dei servizi fondata sull’appropriatezza: per cambiare logica ai piani di rientro, ma da fare anche nelle realtà più virtuose.
In questo senso, una priorità del Patto, per noi, è la riorganizzazione dell’assistenza nel territorio. I centri sanitari/case della salute che proponiamo (vedi documento) rispondono ai crescenti bisogni delle persone. Ormai le patologie croniche, e la non autosufficienza che spesso le accompagna, sono considerate dall’OMS l’epidemia del nostro secolo. Richiedono più cure primarie h24 e di iniziativa, più prevenzione, più integrazione tra sanità e servizi sociali. E questa è anche un’alternativa indispensabile alla riorganizzazione della rete ospedaliera. Ecco perché il rinnovo delle cosiddette “convenzioni”per la medicina territoriale è un’occasione che non va sprecata e che va in qualche modo collegata al Patto per la salute.
Sappiamo che per creare questa rete di Centri/Case della salute h 24 in tutto il paese servono investimenti iniziali, per lo start up si direbbe nei piani industriali. Per questo abbiamo proposto di sbloccare anche una parte dei fondi che le regioni aspettano da anni (svariati miliardi “congelati” presso il MEF), che dunque non incidono immediatamente sui saldi di bilancio e che sarebbero comunque vincolati alla riorganizzazione. Conviene fare queste scelte, e rapidamente: dove si è investito nei servizi territoriali è dimostrato che si ottengono benefici sul risanamento dei bilanci e sulla qualità dell’assistenza ai cittadini. Anche così si mette in sicurezza il diritto alla salute. Il Patto sarebbe già una “novità” se decidesse di avviare sul serio questa riorganizzazione, che sposta il baricentro dell’assistenza nel territorio e per l’integrazione tra sociale e sanità.
Sapendo che una vera riorganizzazione è possibile solo valorizzando il lavoro, superando le precarietà, i dumping tra settori e professioni e salvaguardando i livelli di occupazione. Perciò deve essere sbloccata la contrattazione con i sindacati del settore.
Lo abbiamo detto più volte, gli interventi di protezione sociale e sanitaria sono un’eccellente investimento. Possono garantire diritti e benessere, creare occupazione di qualità. In particolare nei servizi alla persona, dove è in costante aumento la domanda e dove c’è un gap di posti di lavoro da recuperare rispetto ad altri Paesi europei, che a parità di spesa hanno un’occupazione per abitante nel welfare superiore alla nostra. Così si aiuta il nostro Paese a crescere e a migliorare. E bisogna rivendicare che è stato il modello pubblico e universale ad assicurare un governo più appropriato della spesa, contribuendo anche al risanamento dei conti pubblici. Al contrario di dissennate privatizzazioni che distorcono e alla fine fanno crescere la spesa complessiva, come insegna la vicenda della sanità Usa
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Ma se il Patto per la Salute vuole uscire da logiche “difensive” e corporative deve essere costruito con un nuovo metodo, che permetta un’ampia partecipazione. Le questioni che devono essere affrontate non sono materia solo per addetti ai lavori, riguardano tutti.
Stefano Cecconi
Responsabile Politiche della Salute Cgil nazionale