Il Sistema sanitario nazionale pubblico di impianto universalistico è un modello da difendere. C'è, però, bisogno di una maggiore competitività tra pubblico e privato, ma sempre in una cornice in cui è lo Stato a finanziare e gestire il settore. Un settore caratterizzato ancora da troppe iniquità, spesso dovute ad un eccessivo regionalismo che ha creato 21 sistemi sanitari diversi e 21 piani di conti diversi. C'è ampio spazio di miglioramento. Un miglioramento ottenibile senza aumentare il livello di spesa, ma, anzi, riuscendo ad ottimizzare le risorse al punto da avere più servizi con una minore spesa. Per farlo sarà necessario migliorare la produttività degli ospedali, ad esempio facendo propri modelli di
lean manufactoring, ovvero "prodizione snella", già attuati con successo da grandi case automobilistiche, ma anche dando il via a quella riforma del territorio troppe volte annunciata e mai realizzata.
Questi alcuni dei progetti raccontanti da
Yorem Gutgeld (PD), da noi intervistato in occasione dell'uscita nelle librerie del suo nuovo libro
"Più uguali, più ricchi". Uno dei consiglieri economici più vicini al candidato alla segreteria del Partito Democratico,
Matteo Renzi, in questa ampia intervista a tutto campo ci ha spiegato come sia possibile avere "più senza più": ecco come avere più sanità senza spendere più è possibile.
Lo scorso sabato l'Eurogruppo ha dato l'ok alla legge di stabilità, ma facciamo prima un passo indietro. Partiamo dal Def, cosa ne pensa dell'evocato "universalismo selettivo" a fronte di un sistema universalista ritenuto non più sostenibile?
In realtà non so cosa significhi questo universalismo selettivo, può voler dire tutto o nulla. Già oggi, ad esempio, esistono i ticket e le esenzioni da ticket in base al reddito. Un sistema anche questo migliorabile attraverso l'utilizzo di sistemi più complessi, come quello dell'Isee, che tengano conto anche della componente familiare e di tanti altri fattori. Detto questo, c'è ancora tanto da fare per migliorare il sistema. Un sistema che, già da ora, non offre tutto a tutti. Pensiamo alle non autosufficienze, ad esclusione degli assegni di accompagnamento c'è una copertura ancora bassissima dei bisogni di queste persone. Tra l'altro bisogna anche considerare che quasi il 60% di quegli assegni di accompagnamento finisce nelle tasche della metà più ricca del Paese. C'è anche in questo caso un grave problema di iniquità.
In questi discorso non può non rientrare il problema dei Lea.
Sì, anche in questo caso dobbiamo parlare di un problema di iniquità nell'accesso ai servizi, specie nelle Regioni sottoposte a Piano di rientro. Sono solo 9 quelle che garantiscono a pieno la loro erogazione, parliamo quindi di neanche la metà delle Regioni italiane. Bisogna inoltre sottolineare come questi Livelli di assistenza siano spesso definiti in maniera troppo vaga. I Lea che devono e possono essere garantiti dallo Stato dovrebbero essere ben specificati. Nei Paesi dove il rapporto tra cittadini e fornitori dei servizi è intermediato da assicurazioni, queste ultime specificano in estremo dettaglio il livello di servizio che i fornitori devono garantire per avere diritto al rimborso pieno. Da noi, invece, le specifiche sono piuttosto approssimative. Il diritto al parto, per esempio, non specifica nessun requisito per la struttura dove il parto dovrebbe avvenire: il tipo di assistenza offerta, l'esperienza minima richiesta dalla struttura e così via. L'assenza di requisiti codificati permette sicuramente di tagliare i costi, non essendoci l'obbligo di garantire un determinato livello di servizio, ma il risultato è che il taglio dei budget sanitari, cui devono far fronte tutte le Regioni, e in particolare quelle sottoposte a Piano di rientro, non si trasforma in un forte incentivo per migliorare l'efficienza e la produttività, ma, al contrario, si ripercuote sulla qualità del servizio.
Quindi quale modello di sanità ha in mente?
Io sostengo con convinzione un modello di sanità pubblica. E' giusto avere modelli concorrenziali tra pubblico e privato per l'erogazione dei servizi, ma tutto questo deve avvenire in una cornice di Stato che finanzia e regola il comparto. Le alternative non sono poi così allettanti, basti pensare al modello di assistenza sanitaria degli Usa che, dati alla mano, costa il doppio rispetto a quello italiano.
Questa concorrenza dunque, a suo parere, avrebbe come effetto un risparmio per il settore?
Assolutamente. Ci sono importanti spazi di miglioramento. In questo contesto ha però un'importanza fondamentale la trasparenza. I cittadini devono poter conoscere gli esiti delle strutture ed essere liberi di scegliere dove curarsi potendo osservare questi dati. Si possono utilizzare modelli già esistenti in altri Paesi, ad esempio il Nhs Choise della Gran Bretagna. Una scarsa trasparenza dei risultati clinici e sul livello dei servizi comporta anche difficoltà nel valutare il rapporto tra il costo e l'efficacia dei servizi stessi. Anche le prestazioni sanitarie sarrebbe bene pagarle in base agli esiti. Tutto questo per un motivo: noi possiamo sì ridurre il costo complessivo della sanità, ma in questo processo deve esserci di fondo una trasparenza sia di costo che di esiti.
Nella riorganizzazione generale del comparto che lei ipotizza nel suo libro, troverà spazio anche quella riforma del territorio spesso annunciata ma mai realizzata?
Certo. Ad esempio si dovrà cominciare da un utilizzo più efficiente degli ospedali. Serve una migliore e maggiore produttività. L'industria automobilistica giapponese, in particolare la Toyota, è nota per aver sviluppato una metodologia chiamata 'produzione snella' che ha la caratteristica di rendere più efficienti i processi manifatturieri, riducendo al minimo i tempi morti, il livello delle scorte in magazzino e gli scarti di produzione. Grazie a questa strategia, la Toyota è riuscita a ridurre i costi e migliorare la qualità delle sue vetture raggiungendo la testa del ranking mondiale nella produzione di automobili. La stessa sanità, negli ultimi decenni, ha tentato di prendere a modello questo approccio perseguendo l'obiettivo di migliorare la produttività negli ospedali fino al 30-40%. Le opportunità sono ampie: per esempio un maggior coordinamento supportato da strumenti informatici tra il reparto di radiologia e quello di ortopedia riduce i tempi di attesa per un intervento di rottura del femore ed elimina il rischio di sottoporsi due volte allo stesso esame o i effettuarne di inutili.
Bisognerà poi ridurre il numero di posti letto per acuti, trasformandone parte in posti per lungodegenze. Questo comporterà anche un miglioramento dei costi. Servono ospedali più grandi, più specializzati e produttivi. Le strutture piccole, a seconda dei casi, dovranno essere chiuse o trasformate in ospeali per lungodegenze.
Si dovrà infine migliorare anche nella gestione delle cronicità. Una quota significativa dei costi e dei ricoveri ospedalieri è dovuta a pazienti affetti da patologie croniche. E' possibile ridurre in modo significativo questi ricoveri di lungo periodo attraverso un monitoraggio costante e tempestivo dello stato di salute di questi pazienti grazie alla medicina telematica. Una tecnologia che, tra l'altro, consente già oggidi curare molti di questi pazienti a casa e di migliorare la loro qualità della vita. Per tutto questo, ovviamente, servirà preventivamente un accordo con i medici di medicina generale.
Altri risparmi si potranno ottenere attraverso le centrali uniche di acquisto?
Sì, anche se è un processo complicato. Alla base di tutto ci deve essere un processo di standardizzazione. Circa i due terzi della spesa sanitaria pubblica derivano dall'acquisto di prodotti e alla fornitura di servizi. Si tratta di una delle voci di spesa maggiormente cresciute nell'ultimo decennio. Occorrerà prima standardizzare sia i prodotti stessi sia i servizi legati all'acquisto, come ad esempio la gestione della logistica e delle scorte. Spesso, soprattutto nel Mezzogiorno, i fornitori dei prodotti curano anche la gestione delle loro disponibilità fisica nelle sale operatorie, ottenendo in cambio prezzi maggiori. Muovendosi su questi fronti è possibile ottenere scatti di produttività del 10-20%, da mettere a disposizione per accrescere il livello dei servizi ed eventualmente provvedere a una riduzione dei costi. Il che porta a sostenere che avere più sanità senza spendere di più è possibile.
Sempre a proposito di ospedali, inoltre, sarà necessario intervenire anche nei protocolli diagnostici e terapeutici: la loro eccessiva variabilità oggi produce costi alti. Sia pure un presenza di buone professionalità, gli esami diagnostici e le terapie prescritte variano ancora troppo a seconda del medico interessato. Una maggiore aderenza a protocolli ottimali comporterebbe una notevole riduzione dei costi, eliminando esami inutili. Per questo processo, dovranno essere coinvolti i direttori sanitari per realizzare, insieme ai primari, processi atti ad un applicazione più omogenea dei protocolli terapeutici.
Tornando alla troppa variabilità presente nelle diverse realtà del Paese, secondo lei il Titolo V della Costituzione va riformato?
Credo proprio di sì. Il potere eccessivo delle Regioni oggi sta producendo 21 sistemi sanitari diversi e 21 Piani di conti diversi. C'è poi un problema di eccesso di politica ad esempio nella nomina dei Direttori generali. Oggi meno di un quarto dei Direttori generali ha un background di tipo manageriale, servirebbe un Albo ad hoc. In questo modo si garantirebbe anche una maggiore trasparenza: sarebbe molto più difficile assumere l'amico del politico se questo non ha i requisiti necessari richiesti.
Passando all'attualità, cosa ne pensa della spending review annunciata da Cottarelli e Saccomanni?
Penso che i tagli lineari siano inutili e sia bene averli accantonati, almeno a parole. Riorganizzando l'intero sistema in maniera più efficiente si potrebbero ottenere risparmi ingenti da poter reinvestire in parte nel settore sanità, e per il resto da immettere nel calderone in modo da riuscire ad abbassare il livello di spesa pubblica. La possibilità di poter trattenere una parte consistente dei risparmi ottenuti è molto importante, serve ssoprattutto da incentivo.
Il punto fondamentale è che tagliare in maniera lineare è facile, di sicuro in questo modo si ha con poco sforzo la certezza di ottenere risultati facendo cassa. Ristrutturare, invece, richiederebbe non solo molta più fatica, ma soprattutto competenze e meritocrazia.
In conclusione, onorevole, mi tolga una curiosità: lei viene sempre presentato come il "guru" in materia di economia di Renzi, si riconosce in questa definizione?
Ma no. I guru lasciamoli in India. Io sono uno dei consiglieri economici di Matteo Renzi.
Possiamo almeno dire uno dei consiglieri economici più vicini a Renzi?
Sì, questo possiamo dirlo.
Giovanni Rodriquez