La manovra appena varata dal CDM e che ora inizia il suo iter parlamentare è a costo zero per la sanità solo attraverso l’artificio contabile del ribaltamento dei costi.
In altra parole l’
isorisorse del FSN è stato realizzato a esclusivo scapito del personale sanitario in una partita di giro in cui i dipendenti pubblici della sanità si trovano in questa condizione:
· in cinque anni con il reiterato blocco fino al 2014 della contrattazione e della indennità di vacanza contrattuale (a cui si aggiunge taglio dello straordinario e della retribuzione di risultato), avranno un perdita netta di salario reale non sarà inferiore al 30% (considerando inflazione e incremento delle imposte);
· il carico di lavoro già sensibilmente cresciuto, crescerà ancora di più per il rinnovato blocco delle assunzione fino al 2018, atteso un tasso di sostituzione pari di norma al 3% che depaupera ulteriormente i già impoveriti organici del personale attivo.
Un bilancio amaro dunque, non solo in termini economici ma anche in termini di servizio reso perché essendo il lavoro sanitario
labour-intensive un aumento dei turni e dell’impegno orario non potrà non avere ripercussioni sulla qualità delle prestazioni e sulla stessa salute dei lavoratori. Con grande scaltrezza i nostri governanti, facendo tesoro del ben riuscito scempio delle pensioni targate Fornero, per arrivare all’obiettivo di
ellenizzare il personale pubblico, hanno scelto una strategia di basso profilo, silenziosa ma non meno radicale: non si ricorre alla leva del licenziamento ma si riducono fortemente i salari realizzando così le stesse economie che si sarebbero ottenute tagliando gli organici del 30%.
I soloni della spesa pubblica senza controllo diranno che i pubblici dipendenti sono dei fannulloni ancora fortemente sottoutilizzati e che la spesa pubblica di 800 miliardi deve e può essere tagliata senza compromettere minimamente la tenuta del sistema. Una generalizzazione che vale come dire che tutti i politici sono ladri. E invece in questo caso vale la regola della specificità e poi basta farsi un giro tra i DEA e PS degli ospedali cittadini per rendersi conto del carico bestiale di lavoro a cui vengono sottoposti gran parte degli operatori sanitari
Questo non esclude che esistano sacche di inefficienza e di parassitismo, ma per spezzare questo circolo vizioso bisogna responsabilizzare gli amministratori regionali e i direttori generali spesso incapaci di amministrare le aziende loro affidate.
La vera spesa inutile: i costi della politica
Marco Revelli, intellettuale rigoroso a appassionato, nel suo ultimo libro “
Finale di partito” dopo avere ricordato che la Corte dei Conti” ha stimato che su una erogazione complessiva di 2 miliardi e 253 milioni di euro erogati come rimborsi elettorali tra il 1994 e il 2008 solo 579 miliardi (circa un quarto) corrispondeva a spese effettivamente sostenute” ha calcolato gli ulteriori costi della politica:
· 80 milioni/ anno di finanziamento privato ( in “chiaro” per lo meno)
· 250 milioni di indennità e rimborsi erogati ai 1032 membri di Camera e Senato
· 3 Miliardi e altro per rimborsare i 144.233 membri dei diversi organi rappresentativi territoriali
· 3 miliardi per remunerare lo sterminato esercito di oltre 300.000 titolari di incarico e consulenza PA
· 2 Miliardi e 471 milioni per i 24.000 membri di nomina pubblica delle circa 7000 partecipate ( Enti, Autorità di ambito e Comuni)
Per un totale di oltre 10 miliardi. Cifre di tutto rispetto e soprattutto elargite sulla base di criteri del tutto discrezionali e non certo meritocratici, che contribuiscono a rafforzare quel
familismo amorale che ha totalmente intossicato il nostro vivere civile e che impedisce ai migliori di farsi strada e a loro volta di migliorare il paese
Inadeguatezza della politica
Come un
mantra i nostri politici ripetono che bisogna favorire la crescita e creare occupazione; parole a cui hanno finora corrisposto solo e soltanto tagli perpetrati sulla parte più debole della popolazione. Non si vuole prendere atto che la crisi, per una sorta di legge termodinamica dell’economia, in cui la quantità di ricchezza totale resta costante, ha soltanto operato una mostruosa ridistribuzione verso l’altro, rendendo ancora più ricco il 10% della popolazione più ricca. Una politica di rilancio reale della economia deve ristabilire questo ordine violato e togliere ai ricchi quella ricchezza divenuta rendita, essa si improduttiva e parassitaria. Per fare questo servono anche nel mondo della politica e della finanza una nuova “razza” di essere umani che si facciano carico di ascoltare quello che sta dicendo anche
Papa Francesco. Servono “capitani coraggiosi” veri che non distruggano, come nel passato, gli asset pubblici privatizzati per realizzare con una montagna di debiti scaricati sulla comunità le loro ultramiliardarie plusvalenze. Capitani coraggiosi che non ricevano in premio seggi parlamentari per i loro rampolli, ma che accettino di farsi carico del bene pubblico rinunciando spontaneamente a parte delle loro inutili ricchezze.
E voglio ricordare la proposta lanciata nel 2011 sul
Corriere della Sera da
Pietro Modiano su una patrimoniale volontaria delle persone più ricche per l’abbattimento del debito pubblico:
“Parlo, sì, di un' imposta patrimoniale. Ma di un' imposta patrimoniale solidale e intelligente: non vendicativa, ma accettata, addirittura promossa, da chi è destinato ad accollarsela con il senso di responsabilità di una classe dirigente, e la cui durezza sia compensata dall'efficacia e dall' equità. Che abbia un po’ il significato dell' abolizione della scala mobile del '92, ma su una fetta di popolazione diversa. Una cosa del genere non è facile ma forse è possibile. Vediamo due conti, a titolo di esempio. Tassare i patrimoni del 20% più ricco, escludendo l' 80%, significa riferirsi ad una base imponibile, se si escludono le case, di 2200 miliardi circa (ipotizzando che a questi livelli ricchezza netta e lorda coincidano). Il 10%, esclusi i titoli di Stato, è circa 200 miliardi di minor debito, che in rapporto al Pil tornerebbe vicino al 100%. Non male. Il sacrificio imposto alla parte degli italiani che sta meglio servirebbe a raggiungere un obiettivo che, con finanziarie durissime e senza crescita, richiederebbe ben oltre un decennio”.
E’ quasi pleonastico aggiungere che questa proposta è rimasta
“vox clamans in deserto” e che nessuno degli altrettanto soloni dell’economia che ogni giorno ci spiegano cosa si aspetti da noi poveri cittadini il mercato, abbiano pensato di aderire a questa straordinaria e lungimirante proposta. L’unica, tra quelle finora udite, che potrebbe dare un contributo fortissimo al rilancio dell’economia e alla ri-nascita di un senso di comunità nazionale.
Un’utopia che, stante la ormai arcinota ignavia della nostra classe dirigente, non è stata neanche presa in considerazione e che resterà lettera morta. Eppure i vantaggi di una tale proposta sono chiari e la rinuncia di una parte del proprio “inutile capitale” si potrebbe trasformare in una semplice anticipazione di risorse, recuperabili con i dovuti interessi in seguito alla ripartenza dell’economia e all’uscita dalla crisi.
Roberto Polillo