Migliorare l’efficienza del Ssn, migliorare i meccanismi di spesa per sgravare le imprese dell’onere che oggi sopportano e trovare delle soluzioni fiscalmente incentivanti per favorire lo sviluppo dei fondi integrativi sanitari senza che questo possa significare la messa in discussione dell’universalismo del Ssn. Questo in sostanza ha chiesto Confindustria nel corso dell’audizione davanti le Commissioni riunitie Bilancio e Affari sociali della Camera parlando di sostenibilità del sistema. In più,
Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria ha espresso l’auspicio che con la legge si stabilità non ci siano tagli lineari.
“C’è una pressione fiscale sul sistema imprenditoriale che opera nella sanità che è rilevante e spesso assistiamo al riversarsi dei costi della sanità pubblica sul privato attraverso i pagamenti ritardati o spesso purtroppo dei mancati pagamenti”. Così Marcella Panucci, ieri in audizione alla Camera. Panucci ha detto che “in vista dell’appuntamento della legge di stabilità il tema della spesa sanitaria è di grandissima importanza. La spesa in questi ultimi dieci anni è stata nella media dei paesi Ue che hanno sistemi comparabili al nostro. Il dato però va corretto con alcune considerazioni”.
Vediamo quali. “La prima è il meccanismo occulto di finanziamento del Ssn che risiede nei ritardi o nei mancati pagamenti alle aziende che lavorano con il sistema. Fenomeno, questo, che in molti paesi per loro fortuna non esiste. La seconda considerazione è che la spesa aumenterà alla luce del dato demografico che ci pone davanti esigenze di finanziamento sempre crescenti e che porterà il finanziamento della spesa a livelli sempre più alti”.
Accanto a queste considerazioni la rappresentante di Confindustria ne aggiunge altre sulla spesa sanitaria privata. “In tutti i paesi moderni, europei e non, si affianca alla spesa pubblica una spesa privata molto rilavante, nel 2010 in Italia questa è stata di circa 30 miliardi di euro, accanto a questa c’è poi una spesa sommersa che pur non essendo quantificabile assume dimensioni importanti”.
Il problema è che “la spesa privata in Italia non è intermediata da fondi assicurativi ma è cash, pagata direttamente dal cittadino o al professionista o alla struttura sanitaria. In più le recenti manovre finanziarie hanno aumentato questa spesa sanitaria privata perché si va diffondendo che alcune prestazioni non siano di fatto più disponibili da parte del pubblico in quanto con il costo del ticket il prezzo è più elevato che se erogate da strutture private.
Per questo noi chiediamo che ci sia una migliore organizzazione della spesa sanitaria privata, che possa essere intermediata attraverso operatori specializzati che possano rafforzare il potere della domanda dei cittadini nei confronti degli erogatori di servizi sanitari siano essi pubblici o privati”. In più secondo Panucci “accanto a questa spesa privata si aggiunge quella assistenziale per prestazioni nei confronti degli anziani o dei non autosufficienti, stimata per difetto in circa 8 miliardi l’anno”.
Però attenzione questo non vuol dire mettere in discussione “il Ssn pensato per attuare il diritto costituzionale alla salute e soprattutto la sua universalità”.
“Quello che è problematico – spiega la rappresentante di Confindustria – è come garantire quest’universalità nel tempo. Oggi questo principio è messo in crisi ma a noi interessa che il sistema sia sostenibile anche nel lungo periodo. Temiamo che nel futuro il sistema non sia più così. Oggi lo è grazie ai mancati pagamenti nei confronti dei fornitori privati e agli aumenti delle addizionali Irap ma questo non può durare a lungo e quindi è necessario chiedersi come il sistema possa essere reso sostenibile”.
Confindustria chiede dunque scelte di policy “c’è una situazione a livello infrastrutturale che purtroppo non tiene più, il parco macchinari va rinnovato e sono necessari investimenti anche in termini tecnologici e il fondo destinato alla spesa oggi non rende possibile quest’adeguamento. Per questo sono necessarie politiche di intervento anche sulla rete ospedaliera che va razionalizzata a partire dai presidi più piccoli. Questo è divenuto necessario perché i tagli fatti sul Ssn non sono più sostenibili da parte delle nostre imprese. I tagli hanno pesato sul settore farmaceutico e biomedicale che sono due settori fondamentali che investono in innovazione, che esportano, che hanno un grande know-how e tagliare su questi settori ha un impatto negativo anche sull’indotto e sui lavoratori che sono molto qualificati”.
Federalismo sanitario. Pur non mettendo in discussione la riforma del Titolo V, Panucci sottolinea “l’esigenza di mettere a punto dei meccanismo per cui lo stato possa svolgere un ruolo di coordinamento per garantire l’omogeneità dei costi, delle prestazioni e dei controlli. Lo Stato non può finanziare i buchi senza che ci sia un onere da parte delle regioni alla trasparenza sui bilanci e alla comparazione di questi tra una regione e l’altra”.
Efficienza della spesa sanitaria e finanziamento della domanda di salute da parte dei cittadini. È un altro punto che sta a cuora a Panucci “Confindustria, spiega, è stata tra i primi promotori dei fondi sanitari, istituiti nell’ambito della contrattazione collettiva, che rappresentano una parte essenziale della retribuzione che il datore di lavoro riconosce al lavoratore. Questa però è ancora una parte marginale del sistema”.
Ma secondo Confindustria “i fondi sanitari integrativi possono svolgere un ruolo importante nel finanziamento della sanità non parlo né di sostituire o di privatizzare la sanità che resta universalistica. Quello che sto suggerendo è di trovare dei meccanismi alternativi di finanziamento del Ssn che consenta di alleviare il costo fiscale che le aziende sopportano nel finanziare di fatto il sistema. Il problema è che questi fondi sanitari si sono finora sviluppati sulla base di meccanismi fiscali che tendono a privilegiare soltanto il lavoratore perché il contributo che il datore di lavoro paga per assicurare il lavoratore beneficia di un trattamento fiscale favorevole che non viene considerato reddito tassabile per il lavoratore. Dal punto di vista invece dell’investimento che fa il datore di lavoro nono esiste alcun beneficio fiscale. Se si riuscisse a trovare un meccanismo fiscale incentivante per il datore di lavoro, affinché questi investa in fondi sanitari, si potrebbe aver un vantaggio. Infatti alla spesa pubblica si sostituirebbe una spesa privata che potrebbe essere più efficiente in quanto gestista da soggetti che, intermediandola con la domanda dei privati, darebbero a questi un potere contrattuale di esigere una maggiore qualità ed efficienza. È evidente che l’investimento che il privato farebbe sul fondo sanitario andrebbe compensato con una minore tassazione. Inoltre emergerebbe anche un sommerso che altrimenti non emerge”.