Tra i suoi numerosi incarichi, Enrico Letta ha rivestito anche quello di ministro "ombra" del Welfare durante la segreteria Veltroni e poi di responsabile nazionale Welfare del Pd, al periodo della segreteria Franceschini. E in questa veste nel novembre del 2009 avviò i lavori di quella che sarebbe dovuta essere la Prima conferenza nazionale sul Welfare del partito. In realtà quella conferenza non ebbe mai luogo, ma nei lavori preparatori Letta chiarì la sua “visione”, in una articolata relazione dove la sanità ebbe particolare attenzione. Soprattutto sui temi dell'invecchiamento, del finaziamento e dello sviluppo del settore in termini imprenditoriali.
Ma ecco, tratto dalla sua
Relazione introduttiva all'incontro
"Persona, famiglia, comunità", verso la Conferenza Nazionale sul Welfare del Pd, svoltosi a Roma il 27 e 28 novembre 2009, cosa pensava e scriveva il possibile futuro premier.
Più richiesta di salute: i costi, la responsabilità, le opportunità.
L'Italia può fare affidamento, secondo l'OMS, su un servizio sanitario nazionale tra i più avanzati del mondo. Esso è anche una delle più importanti imprese sociali del Paese. Lo è per la sua missione naturale che è quella di assistere ogni giorno, per 365 giorni l'anno, milioni di cittadini, senza alcuna distinzione di ceto, categoria, residenza, età, sesso. Il primato internazionale sull'aspettativa media di vita, che l'Italia vanta ormai da anni, conferma il successo del principio di universalità del servizio. Un principio che non può essere messo in discussione. Occorre, piuttosto, rafforzarlo. Le prestazioni sanitarie essenziali vanno, ad esempio, pensate in funzione delle trasformazioni della nostra società e dell'invecchiamento della popolazione. E bene ha fatto, nella scorsa legislatura, il ministro Turco a promuovere un ulteriore sviluppo del “paniere” dei servizi e delle prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle persone. Non vanno, invece, nella giusta direzione le nuove indicazioni sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) proposte dal governo in carica.
L'aumento della speranza di vita genera, comunque, una serie di questioni di natura finanziaria. Come sostenere questa trasformazione è un problema ancora aperto. Noi vogliamo discuterne a partire dai dati: tutte le previsioni economiche confermano che nei prossimi anni la spesa sanitaria italiana crescerà esponenzialmente. Quella pubblica, ma anche quella privata. Da anni quest'ultima aumenta senza sosta. Si tratta per la maggior parte - più dell'80% - di pagamenti out of pocket, cioè direttamente a carico dei redditi disponibili dei cittadini. In termini più semplici, sempre più prestazioni giudicate necessarie gravano sui bilanci delle famiglie. Cure e prestazioni che, in questo quadro generale di grande difficoltà del potere d'acquisto, le famiglie sono spesso costrette a depennare dalla lista dell'essenziale. Come intervenire per risolvere questa anomalia? Per quanto riguarda le fonti di finanziamento della sanità, il dibattito sul rapporto pubblico-privato ha scontato negli ultimi anni resistenze ideologiche molto forti che hanno impedito di considerare il fatto che nel nostro Paese esistono strutture private accreditate eccellenti ed altre solo speculative. Allo stesso modo, nel settore pubblico, accanto a casi esemplari di professionalità e competenza, convivono realtà ormai inaccettabili come l'ospedale di Vibo Valentia e la Clinica Santa Rita di Milano.
Un Partito come il nostro, che vuole contribuire alla formazione di un sistema di welfare realmente moderno e riformista, deve almeno prendere in considerazione una possibile diversificazione delle fonti di finanziamento. La sanità, come le pensioni, è finanziata a ripartizione. Sono, cioè, gli attivi a pagare per tutti. E come per le pensioni dobbiamo scrivere un quadro di regole per la formazione di un pilastro privato complementare, tanto per la fiscalità quanto per il funzionamento degli strumenti. In questa prospettiva, i costi della sanità possono diventare un'opportunità di sviluppo. A patto naturalmente di essere in grado di razionalizzarli in funzione di obiettivi di equità ed efficienza. Obiettivi da realizzare poi attraverso una programmazione puntuale degli interventi e una valutazione sistematica delle prestazioni e dei servizi erogati.
Ancora per quanto riguarda le opportunità di sviluppo, industria farmaceutica e sistema di servizi alla persona devono essere centrali nelle politiche industriali. A tal fine, proponiamo politiche di stabilità tariffaria e continuità del credito d'imposta per finanziare la ricerca.
Sempre su una linea di innovazione, proponiamo di ristrutturare e ammodernare, sulla base di un piano nazionale per la qualità, la rete ospedaliera nazionale, con la chiusura dei piccoli ospedali generalisti e il rafforzamento delle specialità territoriali attraverso la creazione di centri polifunzionali all'avanguardia. Gli ospedali così potranno essere utilizzati sempre più per i loro compiti specifici, legati soprattutto alla alta specialità, alla ricerca e alla formazione. Bisognerà, quindi, compiere un grande investimento sulla medicina di famiglia, sempre più centrale nella risposta alla crescente domanda di salute.
Quando parliamo di sanità, quando avanziamo proposte in materia, ci rivolgiamo naturalmente al governo in carica. Ma ci rivolgiamo anche a noi stessi. Il Partito democratico è infatti alla guida di 13 regioni su 20. Gestire con efficienza, rigore, assoluta trasparenza la spesa sanitaria - vale a dire la più rilevante competenza legislativa riservata, nel nuovo quadro costituzionale, al livello regionale - deve essere un imperativo irrinunciabile. Non possiamo permetterci di fallire la prova della buona amministrazione. Ne va tanto dell'interesse della comunità, quanto della nostra credibilità nei confronti di chi ci sostiene. (
Enrico Letta, 27 novembre 2009)