Cinque articoli in tutto, sviluppati in tre pagine, che potrebbero cambiare il volto della sanità italiana. E segnare un decisivo passo avanti per l’attuazione del federalismo fiscale.
Alla base di tutto c’è l’individuazione di regioni di riferimento (che faranno cioè da benchmark) corrispondenti a quelle che hanno chiuso in attivo il bilancio sanitario di due anni prima: se si dovesse davvero applicare questa norma già dal 2011, si dovrebbero dunque utilizzare come riferimenti le Regioni che hanno chiuso senza deficit il bilancio 2009, non potendo analizzare ovviamente il bilancio dell’anno immediatamente precedente.
Chiariamo subito che, al di là di quale sia l’esito di questo decreto, ciò non avverrà perché, come è esplicitamente ricordato nello stesso provvedimento, il finanziamento del Ssn per il 2011 e per il 2012 è già stato fissato con la Finanziaria 2010 e il Patto per la salute e poi decurtato con la manovra economica di questa estate.
Tornando alla bozza del decreto: individuate le Regioni di riferimento, si procederà a suddividere la spesa in tre macroaree (assistenza collettiva 5%, distrettuale 51%, ospedaliera 44%), per poi calcolare per ciascuna area la spesa media procapite calcolata suddividendo il totale per la popolazione residente pesata (ovvero parametrata tenendo conto dell’età anagrafica).
Ottenuta così la spesa procapite per area, il finanziamento da concedere alle altre Regioni si calcolerà con una semplice moltiplicazione per il numero di residenti, parlando sempre di popolazione pesata.
Da sottolineare però che dalla spesa delle Regioni di riferimento vanno sottratti i costi delle prestazioni non previste nei Lea, le entrate proprie regionali eccedenti quelle già inserite nel calcolo del fabbisogno nazionale, le quote di ammortamento dei mutui.
Un primo pronunciamento di parte regionale dovrebbe arrivare oggi in serata. Al di là delle obiezioni di metodo, probabilmente legate alla stesura affrettata del provvedimento che non tiene conto delle molte elaborazioni prodotte in questi mesi (a cominciare dal lavoro compiuto dall’Agenas), è facile prevedere almeno tre elementi di critica nel merito della bozza presentata dal governo: la valutazione nel calcolo di un fabbisogno standard delle entrate proprie delle Regioni, che ovviamente variano in ragione anche della ricchezza prodotta; l’esclusione dallo stesso calcolo dei costi sostenuti per mutui, ovvero per investimenti, che sono invece parte integrate dei risultati di efficienza del servizio sanitario regionale; l’adozione del criterio di popolazione pesata esclusivamente in ragione dell’età, senza introdurre quel coefficiente di deprivazione sociale fortemente voluto, invece, da molte Regioni, non soltanto del Sud.
E.A.