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QS Edizioni - domenica 22 dicembre 2024

Governo e Parlamento

Autonomia differenziata in sanità. Gimbe: “Legittimerebbe divario già esistente tra Nord e Sud”

immagine 23 maggio - Così il presidente della Fondazione nella sua audizione di oggi alla Commissione Affari Costituzionali del senato. Cartabellotta ha poi rimarcato come, “tenendo conto della grave crisi di sostenibilità del SSN, delle inaccettabili diseguaglianze regionali e dell’impatto delle maggiori autonomie” sia il caso di “espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere il trasferimento delle funzioni da parte dello Stato, perché la loro attuazione finirà per assestare il colpo di grazia al SSN”.

“L’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le inaccettabili diseguaglianze registrate con la semplice competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute. Ovvero, il regionalismo differenziato in sanità legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Peraltro proprio quando il Paese ha sottoscritto con l’Europa il PNRR, il cui obiettivo trasversale è proprio quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali”, con queste parole il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta ha stroncato nuovamente lil progetto di autonomia differenziata avanzato dal Governo e ora oggetto di un ciclo di audizioni presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato.

Nella sua audizione di oggi Cartabellotta ha poi rimarcato come, “tenendo conto della grave crisi di sostenibilità del SSN, delle inaccettabili diseguaglianze regionali e dell’impatto delle maggiori autonomie” sia il caso di “espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere il trasferimento delle funzioni da parte dello Stato, perché la loro attuazione finirà per assestare il colpo di grazia al SSN”.

E sì perché secondo Gimbe “l’emergenza COVID-19 ha ulteriormente indebolito il SSN, la cui crisi di sostenibilità perdura da oltre 10 anni per varie ragioni: imponente sotto-finanziamento, carenza di personale per assenza di investimenti, mancata programmazione e crescente demotivazione, incapacità di ridurre le diseguaglianze, modelli organizzativi obsoleti e inesorabile avanzata del privato”.

“Per la nostra democrazia – ha detto ancora Cartabellotta - non è più tollerabile che universalità, uguaglianza ed equità, i princìpi fondamentali del SSN, siano stati traditi e che i pazienti vivano oggi le conseguenze quotidiane di una sanità pubblica in “codice rosso”: infinite liste di attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni sanitarie, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure, riduzione dell’aspettativa di vita”.

Sul tema dell’autonomia differenziata Gimbe aveva già prodotto un dossier, oggi richiamato in audizione da Cartabellotta, dove erano state analizzato le maggiori autonomie richieste dalle Regioni in materia di tutela della salute”

Dall’analisi delle richieste di maggiore autonomia avanzate da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto nell’ambito “tutela della salute”, nel rapporto di Gimbe emergono alcune considerazioni generali:

  • L’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di medicina generale rappresentano oggi strumenti fondamentali per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario che dovrebbero essere estesi a tutte le Regioni.
  • Alcune forme di autonomia rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del SSN aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi: sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, sistema di governance delle aziende e degli enti del Servizio Sanitario Regionale, determinazione del numero di borse di studio per specialisti e medici di famiglia.
  • Altre istanze risultano francamente “eversive”. Una maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale. Inoltre, la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con “migrazione” di personale dal Sud al Nord, ponendo una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati.

L’impatto delle maggiori autonomie si inserirebbero quindi, sempre secondo il rapporto di Gimbe, in un contesto di enormi diseguaglianze regionali in termini di adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e di conseguente mobilità sanitaria.

In particolare:

  • Dagli adempimenti al mantenimento dei LEA relativi al decennio 2010-2019 emerge che nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e solo 2 del Centro (Umbria e Marche) e che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nei primi 5 posti della classifica: Emilia-Romagna (1a), Veneto (3a) e Lombardia (5a). E secondo le nuove “pagelle” relative al 2020, basate sul Nuovo Sistema di Garanzia, tra le 11 Regioni adempienti l’unica del Sud è la Puglia.
  • L’analisi della mobilità sanitaria conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord e la fuga dalle Regioni del Centro-Sud: infatti, nel decennio 2010-2019 13 Regioni, quasi tutte del Centro-Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a € 14 miliardi. E tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+€ 6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+€ 3,35 miliardi), Toscana (+€ 1,34 miliardi), Veneto (+€ 1,14 miliardi). Nel 2020 su € 3,33 miliardi di valore della mobilità sanitaria, il 94,1% della mobilità attiva si concentra in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, mentre l’83,4% del saldo passivo grava su Campania, Lazio, Sicilia, Puglia, Abruzzo e Basilicata, peraltro con la Calabria non contabilizzata.

“Questi dati – ha ribadito oggi Cartabellotta - confermano che nonostante la definizione dei LEA dal 2001, il loro monitoraggio annuale e l’utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali, in particolare un gap strutturale Nord-Sud che compromette l’equità di accesso ai servizi e alimenta un’imponente mobilità sanitaria dalle Regioni meridionali a quelle settentrionali”.

23 maggio 2023
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