Governo e Parlamento
Verso le primarie PD. Bonaccini punta su superamento del numero chiuso a medicina e promette 5 mld in più al Ssn. Per Schlein sanità di prossimità e stop tetto personale sanitario. Ecco le mozioni dei due candidati alla segreteria
di Giovanni RodriquezNella lunga maratona che porterà alla scelta del nuovo segretario del Partito Democratico sembrano essere sempre di più due i nomi forti sui quali potrebbe ricadere la scelta degli elettori: gli attuali presidente e vicepresidente della Regione Emilia Romagna, rispettivamente, Stefano Bonaccini e Elly Schlein.
Nelle rispettive mozioni un ampio spazio viene riservato alla sanità. Molti i punti in comune, a partire dalla necessità di un maggiore finanziamento per il Servizio sanitario nazionale. E poi difesa del sistema pubblico e universalistico e necessità di garantire lo stesso livello di servizi su tutto il territorio nazionale. Non mancano però alcune differenze, a partire dalla formazione. Se infatti Schlein apre alla possibilità di ampliare i numeri della programmazione sanitaria per le facoltà di medicina; Bonaccini torna invece a ribadire la volontà di superare, seppur con gradualità, il sistema del numero chiuso.
Sempre Bonaccini propone poi un incremento di “almeno 5 miliardi strutturali in più sul fondo sanitario, al netto del caro inflazione e caro bollette”. Schlein punta invece sul superamento del tetto di spesa per il personale sanitario. Entrambi i candidati propongono poi rilancio della medicina territoriale nell'ottica di una sanità più di prossimità: dalle case della salute ad un potenziamento dell’assistenza domiciliare integrata. Ampio spazio per entrambi i candidati sul tema del benessere psicologico.
Di seguito nel dettaglio i punti chiave per la sanità delle due mozioni.
Stefano Bonaccini
5 miliardi in più sul Sistema Sanitario Nazionale. Il primo problema è il sottofinanziamento del SSN: da troppo tempo ci diciamo che la spesa sanitaria dell’Italia deve essere allineata a quella degli altri Paesi europei. Durante la pandemia avevamo fatto un passo avanti, ma adesso rischiamo di farne due indietro. L’obiettivo che ci eravamo dati durante la pandemia, anche grazie ai 20 miliardi stanziati dal PNRR per la sanità, era quello di portare la spesa sanitaria stabilmente oltre il 7% del Pil. Da quest’anno invece riprenderemo ad allontanarci da quel traguardo. Si torna indietro invece che avanzare. Se la sanità è una priorità bisogna ripartire da qui: servono almeno 5 miliardi strutturali in più sul fondo sanitario, al netto del caro inflazione e caro bollette.
Garantiamo i livelli essenziali di assistenza. Il presupposto di un SSN è quello di garantire a ciascun cittadino di ricevere le migliori cure disponibili, a prescindere dal territorio di residenza. In Italia non è così: si va da punte di eccellenza internazionale a territori da cui i cittadini invece partono quotidianamente per andare a curarsi altrove. Per noi tutto questo è inaccettabile. Se vogliamo che le persone possano curarsi nella propria città servono più risorse e risorse distribuite meglio. E serve una buona gestione: costi standard perché non ci siano sprechi, certamente; ma anche piani di rientro che non siano legati solo ai bilanci, ma alla qualità e quantità delle prestazioni erogate. Altrimenti è un cane che si morde la coda: rischiamo di dare maggiori risorse al Sud per pagare la mobilità sanitaria verso le regioni del Nord, anziché rafforzare i servizi là dove sono carenti.
Investiamo nel personale. In questi anni l’Italia ha sacrificato la formazione e il reclutamento di medici, infermieri e operatori in generale alla logica di rigidi e anacronistici tetti di spesa, fissati via via dalle leggi dello Stato. Salvo poi scoprire che il bisogno di salute nella società sta costantemente aumentando (anche solo banalmente per l’invecchiamento costante della popolazione) e il personale invece diminuisce. Durante la pandemia, come si fa nell’economia di guerra, abbiamo sperimentato misure straordinarie per far fronte all’emergenza: alcune di queste misure continueranno a servire anche adesso, altre potranno essere migliorate e rese strutturali (ad esempio la possibilità di contrattualizzare in formazione e lavoro gli specializzandi). Ma bisogna uscire dall’emergenza. E visto che il personale non si forma in poco tempo, servono subito alcune misure shock:
- Superiamo il numero chiuso nelle facoltà di medicina. È sbagliato tenere fuori dalle Università i tanti giovani che vogliono provarci, visto che abbiamo davanti anni di penuria di personale; bene aver aumentato le borse per gli specializzandi, perché questa era la priorità, ma la cura deve essere più forte e radicale. Ciò che non possiamo fare è rimanere con le mani in mano. Si riformi l’esame d’accesso, si avvii un percorso serio, eventualmente anche graduale, che implementi contemporaneamente anche le borse per la specializzazione, ma non possiamo stare fermi.
- Valorizziamo al massimo la figura professionale e il ruolo degli infermieri e delle professioni sanitarie: sono professionisti che prestano un lavoro non meno pesante ed essenziale di quella dei medici; in altri Paesi svolgono da tempo mansioni che qui non sono previste o che comunque non sono concretamente praticate; e sono certamente sottopagati, se è vero che abbiamo meno candidati che posti disponibili nei concorsi. Se non vogliamo rimanere senza infermieri negli ospedali e nel territorio bisogna valorizzare questi professionisti, prevedere adeguati percorsi di carriera e pagarli di più. Esattamente come tutti coloro, medici e infermieri, che operano nella rete dell’emergenza/urgenza, il servizio oggi in maggior sofferenza, da cui gli operatori rischiano di scappare se non diamo una mano concreta.
- Riconosciamo la funzione essenziale degli operatori sociosanitari, che nella pandemia sono stati chiamati a svolgere anche mansioni superiori. Ce ne servono di più. Esiste certamente un problema di accesso e di formazione, ma anche in questo caso possiamo formarne di più se li paghiamo di più. Altrimenti, come avviene per le assistenti familiari, nelle nostre case, non troveremo personale che si occupi delle persone più fragili.
- Aumentiamo e utilizziamo meglio i Medici di Medicina Generale. L’attuale assetto è insoddisfacente da molti punti di vista: mancano i medici nel territorio e stiamo lasciando scoperte troppe famiglie, a partire da chi vive nelle aree interne, in montagna, nelle periferie, nei piccoli comuni e nelle frazioni. E rischiamo, con i soldi del PNRR, di aprire nuove Case di comunità ma di non avere poi il personale che serve a farle funzionare. Le Regioni sono pronte a fare un passo avanti per una riforma di sistema, dica il Governo cosa pensa di fare. Occorre inoltre sgravare i medici di medicina generale dei troppi compiti amministrativi e burocratici affinché possano dedicare la totalità del loro tempo al rapporto con i loro assistiti.
Riformare la rete di servizi territoriali. Gli ospedali non bastano: non sono adatti a garantire i servizi di base e non si può gestire in quelle strutture tutto il carico delle prestazioni che riguardano la cronicità, che invece devono essere garantite sul territorio, per rispondere ai bisogni dei cittadini in tempi rapidi e certi. Occorre evitare ogni accesso improprio alle strutture di Emergenza Urgenza, ai Pronto Soccorso, perché si traducono in file estenuanti o in ricoveri inappropriati. Ma attenzione: gli accessi sono impropri non per colpa dei cittadini, ma perché mancano spesso alternative ai pronto soccorso. La rete territoriale di cure primarie è emersa come vero punto nevralgico nella pandemia: irrobustirla a tutti i livelli deve essere la priorità. Tantopiù che le persone anziane, che sono le prime ad aver bisogno di un maggior numero di servizi, stanno aumentando. E con l’invecchiamento della popolazione aumenta anche il numero delle persone non autosufficienti. È quindi necessario rafforzare la rete delle cure primarie e dei servizi: Case di comunità, che devono diventare la naturale, semplice, vicina porta di accesso a tutti i servizi; e Ospedali di comunità, assistenza domiciliare, medici di medicina generale e infermieri di comunità che collaborino attivamente e in modo integrato con gli assistenti sociali, servizi diurni e residenziali per le persone non autosufficienti. Le stesse farmacie devono continuare a sviluppare la farmacia dei servizi e stare in rete con i servizi di comunità, così come possono ulteriormente qualificarsi come centri di servizi per la salute.
Maggiori servizi per il benessere psicologico. Il tema è stato derubricato come secondario per troppo tempo, e in molte realtà rimane ancora un vero e proprio tabù che dobbiamo affrontare innanzitutto da un punto di vista culturale. La pandemia ha portato alla luce un problema preesistente che richiede delle forti soluzioni politiche e pubbliche. Va aggredito anzitutto il tema materiale dell’accesso: non possiamo più accettare che possa curarsi e fare prevenzione solo chi se lo può permettere. Occorre rafforzare i dipartimenti di salute mentale, prevedere servizi di psicologia di base nei territori, nelle scuole e nelle università, rafforzare la neuropsichiatria infantile, ma anche ampliare lo sguardo e cercare risposte ai temi della qualità e dei tempi di vita, della solitudine nell’invecchiamento, dei disturbi alimentari, della marginalità e dell’esclusione sociale, dalle carceri, ai luoghi di lavoro. Serve, ora più che mai, in piano straordinario per il benessere psicologico.
Investiamo nella lotta contro il cancro. Una patologia in crescente aumento a tutte le età, che può colpire in ogni momento della vita, dove sono sempre di più i giovani e bambini coinvolti. È una malattia che coinvolge e sconvolge tutto il nucleo familiare del malato. La buona notizia è che oggi si può guarire o cronicizzare la malattia, per guadagnare anni importanti alla propria vita; grazie alla scienza, poi, nuovi traguardi sono a portata di mano. L’Italia è stata protagonista in questi ultimi anni di progetti europei avanzati per la lotta al cancro e l’accesso alle nuove terapie. Battersi per l’universalismo delle cure significa garantire da Palermo a Bolzano il meglio dei piani diagnostici e terapeutici a disposizione per i nostri cittadini: dalla diagnostica di precisione ai nuovi farmaci e terapie, dall’umanizzazione delle cure alle reti oncologiche territoriali, dall’assistenza domiciliare integrata ai diritti sociali (come il diritto all’oblio e al lavoro). Una persona su due incontrerà il cancro nel corso della propria vita e il nostro compito è ad assicurare qualità delle cure e dignità alla persona ammalata su tutto il territorio nazionale.
Elly Schlein
Sanità pubblica e universalistica. Un nuovo contratto sociale vuol dire lottare per un grande investimento nella sanità pubblica uni- versalistica, difenderla dagli attacchi di chi la vuole tagliare e privatizzare. Il Servizio sanitario na- zionale è stato un presidio fondamentale nella pandemia ma oggi è a rischio. Deficit strutturali e gestionali. Risorse finanziarie insufficienti. Carenza di medici e personale infermieristico.
Oggi in Italia milioni di persone devono fare i conti ogni giorno con liste di attesa infinite. Hanno difficoltà enormi ad accedere ai medici di famiglia e ai pediatri. Per curarsi, spesso sono costrette ad andare in un’altra regione o a rivolgersi alla sanità privata, se possono permetterselo. Non è giustizia dover aspettare 200 giorni per una mammografia.
Per una sanità di prossimità. L’esperienza drammatica della pandemia dovrebbe aver insegnato che non basta la sanità degli ospedali nelle città, ma serve una sanità di prossimità, sempre più territoriale, domiciliare. Una visione nuova che avvicini la risposta a dove le persone esprimono il bisogno di cura. Se il diritto alla salute dipende troppo da quanto dista la propria casa dall’ospedale di un centro urbano lo si percepirà come un diritto a metà. Grazie agli investimenti del PNRR si potrà rendere capillare la presenza di case della comunità, ma servono risorse e formazione per assicurare che al loro interno operatrici e operatori sanitari, sociali, medici di medicina generale e pediatri, psicologi e saperi del terzo settore possano lavorare in sinergia, come equipe multidiscilpinari in grado di assicurare una presa in carico più piena dei bisogni delle persone.
Stop al tetto di spesa per il personale. Dobbiamo investire di più sul settore pubblico, allineando gli stanziamenti per il fondo sanitario nazionale con la media europea, per ammodernare gli ospedali, potenziare l’offerta diagnostica e valorizzare i professionisti della sanità superando i tetti alla spesa del personale. Aumentare i posti di specializzazione e l’offerta didattica delle facoltà di medicina. Investire sull’assistenza domiciliare integrata per le persone anziane e non autosufficienti, sui presìdi sociosanitari territoriali per la salute mentale e le tossicodipendenze.
Salute mentale. Sulla salute mentale occorre un salto di qualità in termini di risorse, di presenza di personale e di formazione, perché negli anni della pandemia i fenomeni di disagio sono aumentati, anche tra le fasce più giovani a cui va dedicato più supporto psicologico a partire dalle scuole. E’ necessario puntare molto di più sulla prevenzione, per evitare sofferenze e anche maggiori costi.
Revisione degli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale. Si deve lavorare in sede europea perché i farmaci e le terapie per contrastare i virus, affrontare le malattie rare, utilizzare le nuove conoscenze in campo genetico siano non solo ricercati ma svilup- pati da un’infrastruttura pubblica ispirata a criteri di open science e governata da obiettivi di utilità sociale. Dobbiamo batterci per la revisione degli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale, per accrescere l’accesso e la condivisione della conoscenza, per tracciare il confine tra il giusto profitto e le rendite ingiustificate, correggendo gli accordi sbilanciati e trovando un nuovo equilibrio fra i diritti di proprietà intellettuale e l’interesse generale della conoscenza come bene comune, specie se in gioco c’è la sopravvivenza, come per i vaccini e i farmaci salvavita.
Giovanni Rodriquez