Il dibattito sulla sentenza della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo sulla nostra legge 40 si sta incentrando sull'opportunità o meno, da parte del Governo italiano, di presentare ricorso. La decisione è rimandata a mercoledì prossimo.
In attesa di sapere quale sarà la decisione di Monti vale la pena ripassare i testi di diritto per capire cosa accadrà nel caso in cui il ricorso non si faccia e la sentenza diventi quindi operativa.
Allo scadere dei tre mesi dalla sua emanazione (fine novembre) la sentenza diverrebbe vincolante e lo Stato italiano dovrà pagare il risarcimento alla coppia e il Parlamento conseguentemente intervenire per modificare quella parte di legge 40 che la Corte Europea ha dichiarato essere in violazione dei diritti umani.
Se questo non dovesse accadere, ovvero lo Stato non metterà in atto il dettato della sentenza, c’è la possibilità di un ricorso in Corte Costituzionale da parte dei legali della coppia, inoltre c’è il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che vigila sul controllo dell’esecuzione delle sentenze.
Le decisioni della Corte Ue dei diritti dell’uomo sono infatti immediatamente applicabili nel nostro ordinamento in virtù del trattato di Lisbona (dicembre 2007, entrato in vigore nel dicembre 2009) ratificato dall’Italia nell’estate del 2008, e servono, ci spiega
Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni e avvocato: “a dare una corretta interpretazione della Carta europea dei diritti dell’uomo, quindi in questo caso una norma che non rispetta i diritti comunitari deve essere adeguata. E la sentenza per entrare in vigore richiede anche la modifica della legge 40”.
Se invece lo Stato presenterà ricorso, e ieri Balduzzi l’ha ipotizzato anche per scongiurare la corsa ai risarcimenti da parte dello Stato a seguito della sentenza, si apre la possibilità che la decisione della
Grand Chambre (di livello superiore rispetto alla Corte di Strasburgo che ne è una sua sotto-sezione), ribalti la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Come già successo in passato all’Austria, condannata dalla Corte di Strasburgo in prima istanza perché vietava la fecondazione eterologa, successivamente assolta dalla Grande Camera, la quale ha riconosciuto al governo di Vienna, in ragione del carattere sensibile della materia del contendere, il margine di discrezionalità nel legiferare su questi temi.
“Ma in quel caso – aggiunge Filomena Gallo– si parlava di applicazione delle tecniche, qui invece parliamo di accesso alle cure. La differenza è sostanziale poiché in questo caso c’è una forma di discriminazione nell’accesso alla cura ed è dimostrata un’ingerenza della Stato con la norma nelle scelte familiari e per scelte familiari si intendono anche quelle scelte che attengono all’autodeterminazione in materia terapeutica”.
In conclusione quindi le decisioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo sono precetti vincolanti per ogni Stato interno e sono definitive
quando: le parti dichiarano che non rinvieranno il caso alla Grande Camera; tre mesi dopo la data della sentenza, se non è stato richiesto il rinvio alla Grande Camera;
se il Collegio della Grande Camera respinge una richiesta di rinvio formulata entro tre mesi dalla data della sentenza di una Camera.
Le sentenze della Grande Camera sono sempre definitive.
Stefano Simoni