4 aprile -
L’opinione del presidente della Fesmed, Carmine Gigli, raccolta da Quotidiano Sanità
"Sono anni che il testo sul governo clinico, in diverse stesure, fa avanti e indietro tra le varie commissioni parlamentari, con un passaggio anche in Aula finito con una bocciatura. Mi sembra tuttavia che questo nuovo testo elaborato dalla commissione Affari Sociali non porti correttivi significativi, ma, al contrario, svuoti il progetto di legge del principio cardine per il quale era nato: togliere la sanità dal pugno della politica. Dopo la bocciatura in Aula dovuta principalmente al fatto che le Regioni non avevano gradito l’eccessivo spazio lasciato allo Stato, le modifiche che sono state apportate dalla commissione Affari Sociali sono andate tutte nella direzione di riguadagnare il consenso delle Regioni. Ma a questo punto non si capisce più a cosa serva una legge sul governo clinico se tutta la sua gestione viene affidata alle Regioni. Per questo c’è già il Titolo V ad attribuire alle Regioni tutte le competenze in materia sanitaria.
Facciamo un esempio: il Collegio di Direzione, che doveva rappresentare una guida e un freno a certe iniziative del direttore generale, perde di significato se le competenze e la stessa composizione del Collegio vengono rimandate alle Regioni. Anche quelle che erano le modalità per l’affidamento delle diverse tipologie di incarichi vengono rimesse alle Regioni, sottraendole ai direttori di struttura operativa, finendo così per smontare i contratti di lavoro ancora più di quanto abbia fatto Brunetta.
Insomma, avremmo voluto un altro testo, perché questo non solo non porta alcuna innovazione ma rimette nelle mani della politica anche quelle competenze che finora erano attribuite ad altri profili, compresi i medici. La sensazione è che la legge sul governo clinico contraddica se stessa, dando alla politica ancora più potere invece di toglierglielo.
Su altri punti il ddl porta ancora più confusione di quanta non ve ne sia già. Con la Riforma Brunetta si era fatto di tutto per mandare in pensione i medici. Ora quasi li si vuole costringere tutti a dover aspettare i 70 anni, negandogli nello stesso tempo ogni possibilità di usufruire delle previdenze previste per i lavori usuranti.
In verità, non mi sembra che il testo risolva alcuna criticità riguardo all’intramoenia. Si “sdogana” l’allargata mettendo fine al susseguirsi di proroghe, ma nello stesso tempo si legittimano le Aziende che non intendono impegnarsi nel creare le condizioni per permettere ai medici di svolgere la libera professione dentro la struttura. Il ddl sembra liberalizzare l’intramoenia ma in realtà non scioglie nessuno dei vincoli che oggi la incatenano: viene negata durante le ferie, durante il riposo, durante la pronta disponibilità, nei giorni non previsti, durante la chiusura della cassa ticket…
Per finire c’è la grande novità, si introduce la possibilità per le professioni sanitarie di svolgere l’“intramoenia”. Questo non significa soltanto che gli spazi a disposizione saranno ancora più contesi. Ma si rischia anche di aggiungere conflittualità e complessità all’interno dell’organizzazione. Elementi che, in assenza di una buona gestione, possono influire negativamente sui rapporti tra le diverse figure professionali, sull’erogazione delle cure e soprattutto sulla sicurezza dei pazienti. Comincia a farsi strada il sospetto che questo ddl venga portato avanti proprio per introdurre l’“intramoenia” per le professioni sanitarie".
L.C.