17 giugno -
Riportiamo di seguito l'intervento di
Pierpaolo Vargiu (Sc) che ha illustrato la mozione n. 1-00907.
"Nella sala delle conferenze stampa, oggi veniva presentato il report di un'attività di prevenzione che è stata ieri fatta, qui, alla Camera, e che non è neutra rispetto al ragionamento che ci accingiamo a fare: era l'attività di prevenzione nei confronti del melanoma e dei tumori alla pelle.
Ci sono stati degli illustri dermatologi che, per tutta la giornata di ieri, sono stati a disposizione dei colleghi parlamentari per un'attività di screening sui tumori della pelle.
In particolare, sul melanoma che, come forse molti di voi sanno, è un tumore che, se non diagnosticato precocemente, è un tumore killer.
Ebbene, circa cento parlamentari si sono sottoposti, a seguito anche di pressanti richieste per essere testimonial dell'iniziativa, a questa attività. È possibile immaginare che, se cento parlamentari si sottopongono a un'iniziativa di screening apparentemente semplice, come quella legata alla valutazione dei tumori della pelle, ci siano cento casi negativi. Purtroppo, abbiamo riscontrato, anzi, i colleghi dermatologi che hanno svolto quest'attività hanno riscontrato tre casi di melanoma, tra i cento parlamentari che si sono sottoposti all'attività di screening, e altri due casi di tumori della pelle.
Questo lo voglio dire perché anche tra una popolazione, che è quella dei parlamentari, particolarmente sensibile, certamente particolarmente raffinata culturalmente e anche con facilità totale di accesso alle attività di prevenzione, si riscontrano dei numeri che sono davvero impressionanti e che, nella loro complessità, ci segnalano quanto oggi il nostro sistema sanitario abbia delle sofferenze. Ha delle sofferenze sicuramente nelle attività di screening e di prevenzione, che oggi sono molto sottodimensionate rispetto alle esigenze, molto al di sotto di quel 5 per cento rispetto al totale del Fondo sanitario nazionale che l'organizzazione mondiale della sanità auspica essere il benchmark di riferimento economico per le dotazioni di riserva per le attività di prevenzione.
Ma è in sofferenza in mille altri settori come, ad esempio, in quello che è stato oggetto della mozione odierna e, cioè, quello del personale del sistema sanitario nazionale, personale che, colleghi parlamentari, non è una palla al piede del sistema per il suo consumo di risorse, ma è una delle risorse fondamentali del sistema, perché la presenza di una competenza scientifica, di una competenza assistenziale, di una competenza diretta alla soluzione dei problemi del paziente, con un trasferimento di know-how che sia costante tra le generazioni che sono venute prima e quelle che sono destinate a succedere nella gestione dei servizi sanitari è, a detta di tutti e comprensibilmente, uno dei momenti fondanti e uno dei momenti più importanti del funzionamento del sistema.
La domanda è: oggi in Italia questo funziona bene ? Sicuramente no ! Gli ospedali italiani sono ormai pieni di risorse umane, di personale sanitario, che con la sua abnegazione tiene elevato il livello qualitativo della risposta sanitaria, ma che anagraficamente inizia ad avere un'età che non aiuta a pensare che possano essere un investimento per il futuro. Nella nostra mozione abbiamo dato i numeri: noi abbiamo un insieme di professionisti che sta tra i cinquanta e i sessantacinque anni che è pari quasi ai due terzi dei professionisti che oggi sono ancora al lavoro all'interno del sistema pubblico italiano.
È evidente che questo comporta che se, da una parte, si sta esaurendo l'attività professionale della gran parte dei medici che vengono da quella che era un tempo definita «la pletora medica del sistema sanitario italiano», dall'altra parte, è necessario programmare in maniera adeguata, concreta e puntuale, l'accesso delle nuove risorse.
A questo punto, dunque, entra prepotentemente in gioco tutto il ragionamento sugli accessi universitari che riguardano le professioni sanitarie non mediche, quelle delle cosiddette lauree brevi, con i successivi master di specializzazione. Ma si tratta soprattutto dell'accesso nel mondo medico e, in particolare, dell'accesso alle scuole di specializzazione, dove oggi si entra soltanto con un contratto di formazione e l'accesso e il termine della scuola di specializzazione sono le precondizioni indispensabili per poi potere accedere al sistema sanitario nazionale. È ovvio, allora, che non potremmo mai più fare, dentro questo Parlamento, il ragionamento sul numero dei contratti di formazione insufficienti, perché se noi sappiamo che ogni anno le facoltà di medicina fanno uscire 8 mila medici e sappiamo che la precondizione per l'accesso al sistema di questi medici è la specializzazione, non possiamo tarare il numero delle scuole di specializzazione e dei contratti nelle scuole con unità che sono la metà o che sono i due terzi rispetto al numero degli studenti che escono dalla facoltà di medicina.
E sul tipo di specializzazione dobbiamo porci ulteriormente dei problemi. Perché ? Intanto perché ci sono alcune scuole di specializzazione che iniziano ad essere desertificate.
Parlo, in particolar modo, delle scuole chirurgiche e, in particolar modo, delle scuole chirurgiche complesse, laddove il rischio sanitario è diventato elevatissimo e dove l'impegno professionale di chi lavora è pesante. Chi svolge attività chirurgica, infatti, sa bene quanto importante sia il suo ruolo, ma anche quanto faticoso dentro le sale sia il solo ruolo. Ebbene, in questi casi in Italia la presenza di un'alea, di rischio e di un sistema che non protegge in alcun modo né il paziente né chi esercita la sua attività sul paziente stanno determinando la desertificazione di specializzazioni, a partire da neurochirurgia, cardiochirurgia, ma anche otorinolaringoiatria, ortopedia, ginecologia, e se non vi è un numero sufficiente di specialisti diventa un problema per l'intero Paese. In secondo luogo, il sistema di centralizzazione dei concorsi, anch'esso utilissimo, determina, tuttavia, come conseguenza il fatto che, nelle scuole di specializzazione, entrino con più facilità concorrenti che provengono da quelle parti del Paese in cui il livello scolastico e universitario è più elevato e, per contro, ritornino in quelle aree del Paese in cui la remunerazione dell'attività del professionista è più elevata e le opportunità professionali per il professionista sono più elevate. E anche in questo caso arriviamo alla desertificazione, per specialità e per area geografica, proprio di quelle parti del Paese che soffrono di più della loro marginalità. Io ho bene in mente il caso della Sardegna, dove l'assenza di contratti di formazione dedicati a medici che poi operano in Sardegna anche dopo la specializzazione sta creando un vero e proprio collasso di alcune specialità, in particolare chirurgiche, e sta creando delle mancanze settoriali di professionalità, che saranno ancora più gravi man mano che i colleghi più anziani vanno in pensione. Ma non è il caso solo della Sardegna, basta ricordare la regione Puglia, dove la ASL di Brindisi, dopo aver tentato per due volte un concorso per specialisti in pronto soccorso e in rianimazione, ha inviato il bando successivo alle ambasciate dei Paesi dell'Albania, della Libia, dell'India, ad indicare che il futuro del Paese, per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, rischia, come già si è visto in altri Paesi europei (abbiamo l'Inghilterra come punto di riferimento) di passare attraverso una formazione professionale medica che non è transitata nelle nostre università, ma è passata attraverso altri canali ben più difficili da verificare dal punto di vista della qualità dell'offerta formativa.
Io credo siano questi i problemi principali che le mozioni all'ordine del giorno pongono all'attenzione, con sottolineature – lo dico come ultima sottolineatura – sulla premialità dell'attività aziendale, nel senso che tutte queste azioni e tutte queste attività si sostengono se questo Parlamento crede sul serio nell'aziendalizzazione, nello spirito che l'aziendalizzazione ha retto; quindi, se crede sul serio nel fatto che le best practice, le attività positive delle aziende sanitarie e delle professioni sanitarie debbano in qualche modo essere riconosciute e, in qualche modo, essere premiate. Senza meritocrazia, la nostra sanità non va da nessuna parte. È bene che ciascuno di noi ce l'abbia in testa, perché questa è la sfida della sostenibilità e della qualità del nostro sistema".