Sono 15 milioni gli italiani che soffrono di dolori alla colonna vertebrale. Una cifra che dà l’idea dell’entità di un fenomeno che impatta pesantemente sulla qualità di vita e ha ricadute socio-economiche importanti: basta pensare che un terzo di essi deve sospendere temporaneamente l’attività lavorativa.
Nella quasi totalità dei casi, i disturbi sono causati da fattori meccanici come discopatie, stenosi, ernie del disco e fratture che non sempre possono essere risolte efficacemente con i trattamenti conservativi come fisioterapia, busto o terapie farmacologiche. Quando questi approcci risultano fallimentari si richiede il trattamento chirurgico che, grazie alla continua evoluzione dei dispositivi utilizzati, è diventato sempre meno invasivo. Oggi, i principali disturbi possono essere infatti trattate con approcci chirurgici percutanei mininvasivi, grazie anche all’utilizzo di dispositivi all’avanguardia che permettono di far recuperare in modo migliore l’assetto anatomico-funzionale della colonna vertebrale, a fronte di una riduzione sostanziale del trauma chirurgico e delle complicanze post operatorie.
L’Italia rappresenta una delle realtà più avanzate in questo campo anche se “l’approccio chirurgico minivasivo è ancora poco diffuso ed è praticato solo in alcuni centri specialistici. Basti pensare che le unità di chirurgia vertebrale sono presenti solo nel 20% degli ospedali del nostro Paese”, ha dichiarato il senatore Antonio Tomassini introducendo l’incontro “La nuova frontiera della chirurgia vertebrale percutanea”, organizzato in collaborazione con Il Sole 24 Ore Sanità e tenutosi oggi a Roma.
L’incontro ha cercato di indagare le cause della scarsa diffusione della chirurgia mininvasiva nel nostro Paese. Secondo Franco Postacchini, presidente della Società Italiana di Chirurgia Vertebebrale- Gruppo Italiano Scoliosi una delle ragioni è da ricercare nei percorsi formativi: “a oggi - ha spiegato Postacchini - gli interventi sulla colonna vertebrale vengono eseguiti da ortopedici o da neurochirurghi, ma è giunto il momento di attribuire un’identità ben distinta allo specialista che pratica questa disciplina. Per questo motivo è assolutamente necessario dare vita alla specialità di Chirurgia Vertebrale, per formare specialisti in grado di trattare ogni tipo di patologia della colonna vertebrale”.
“Inoltre - ha aggiunto lo specialista - sarebbe necessaria una revisione della normativa vigente, che in Italia non “protegge” adeguatamente la classe medica. Il rischio medico-legale pesa molto sull’attività dei chirurghi italiani, tanto da indurli ad adottare comportamenti di “medicina difensiva”, ovvero a ridurre la propria esposizione al rischio di venire accusati di malpractice. Ma l’uso difensivo delle tecnologie diagnostiche e terapeutiche contribuisce a impoverire la qualità dell’assistenza sanitaria. La chirurgia vertebrale mininvasiva – ha concluso Postacchini - dove è richiesta un’alta specializzazione e una grande perizia tecnica, spesso non viene praticata per questo motivo”.