La gestione di un’epidemia, soprattutto quando si prospetta di lunga durata e con un andamento ciclico di potenziali successive ondate, richiede una risposta capillare e integrata che coinvolga tutte le componenti della società, dalle autorità sanitarie alla popolazione, e un approccio basato essenzialmente sulla prevenzione. Lo osserva Medici Senza Frontiere (MSF), che da marzo sta supportando le autorità sanitarie italiane in alcune regioni e le cui équipe internazionali sono al lavoro per contrastare la pandemia in oltre 70 paesi.
Sulla base della propria esperienza nella gestione di epidemie complesse e nella lotta al Covid-19 in ambito ospedaliero, strutture per anziani, istituti penitenziari e comunità vulnerabili, MSF condivide in un’ottica di collaborazione e riflessione cinque raccomandazioni per contribuire a orientare interventi adeguati all’evolversi dell’epidemia.
“Lo abbiamo affermato mesi fa e lo ribadiamo oggi: la risposta a un’epidemia di queste proporzioni non può confidare unicamente sulle strutture ospedaliere – pur cruciali nella gestione dei casi più severi – ma deve fondarsi su una solida e capillare rete territoriale, su una maggiore integrazione dei servizi del territorio e tra questi ultimi e le strutture ospedaliere, ed evitare che la difformità di politiche e disposizioni regionali vanifichino lo sforzo del Sistema Sanitario Nazionale” dichiara la dott.ssa
Claudia Lodesani, infettivologa e presidente di MSF, che ha coordinato l’intervento di MSF per il coronavirus in Italia.
“Nonostante la seconda ondata fosse attesa e largamente prevedibile, l’esperienza acquisita nei primi mesi non è stata sufficientemente messa a frutto, soprattutto nel correggere criticità che, già evidenti nella prima fase, sono ancora più cruciali nell’attuale picco epidemico: insufficiente pianificazione, carenza di personale sanitario, difficoltà ad assicurare un sistema dettagliato di raccolta dati per una sorveglianza accurata in grado di restituire le diverse dimensioni del contagio e dell’esposizione al rischio” conclude la dott.ssa Lodesani di MSF.
Le cinque raccomandazioni di MSF
1) Puntare sulla medicina del territorio per evitare la saturazione degli ospedali
La prima ondata ci ha insegnato che i casi che giungono agli ospedali non sono che la punta di un iceberg la cui base si estende largamente all’interno della comunità, spesso in maniera invisibile, e per questo tanto più difficile da combattere. Se è vero che il monitoraggio del tasso di occupazione delle terapie intensive resta un indicatore fondamentale per adattare la risposta all’emergenza nel breve periodo, è solo attraverso il capillare coinvolgimento della popolazione e degli attori sociali, attraverso un’adeguata informazione ed educazione sanitaria, che si riuscirà a organizzare una efficace strategia di risposta sul lungo periodo. È attraverso la protezione delle comunità più vulnerabili e soprattutto il rafforzamento della capacità di rispondere adeguatamente al livello più precoce di assistenza, quello territoriale, che si può pensare di mitigare l’impatto dell’epidemia sul sistema sanitario. Serve essere coraggiosi e creativi nell’investire risorse su un sistema territoriale che negli anni è stato indebolito; servono più medici di base adeguatamente formati e supportati, a cui venga restituito un ruolo chiave nella salute pubblica; serve scommettere sull’aggiornamento e l’introduzione di tecnologie favorendo l’uso della telemedicina e di strumenti specifici come per esempio l’ecografo portatile, che in molte occasioni, inclusi i progetti MSF in Italia, hanno dimostrato essere strumenti chiave per garantire un buon livello di assistenza a domicilio e da remoto, riducendo l’esposizione per il personale sanitario ed evitando di affollare le strutture ospedaliere.
2) Adeguate risorse per test e contact tracing
Sappiamo ormai quanto il tracciamento dei contatti sia fondamentale per un adeguato controllo di focolai epidemici. Tuttavia, perché sia efficace, deve poter contare sulla necessaria disponibilità di risorse, in termini sia di strumenti diagnostici che di personale. La disponibilità di test antigenici rapidi, nel quadro di ben definiti percorsi diagnostici che ne circoscrivano chiaramente i limiti di utilizzo, può rappresentare un ulteriore aiuto al tracciamento. La capacità dei laboratori accreditati per l’esecuzione del test molecolare su tampone deve essere adeguata alle evidenti e crescenti necessità. Il personale impiegato nelle attività di tracciamento deve essere aumentato, senza necessariamente impiegare personale altamente specializzato necessario altrove: anche profili diversi come i veterinari e personale sanitario in formazione come gli studenti di medicina che possono essere coinvolti in queste attività previa adeguata formazione. È inoltre necessario potenziare le risorse per effettuare test a domicilio per tutte le persone che hanno difficoltà ad accedere alle strutture sanitarie, per ragioni logistiche, condizioni di invalidità o marginalità.
3) Corretta informazione e responsabilità individuale
Tutti, nessuno escluso, hanno delle responsabilità di fronte alla pandemia. Come sanitari, dobbiamo evitare errori di comunicazione, confusione e incoerenza nel dare informazioni alla popolazione. Allo stesso tempo ciascuno di noi, come cittadini, deve essere mosso da un senso di responsabilità collettiva che deve ricordarci che l’interesse della comunità è ciò che garantisce il benessere di tutti. Il rispetto delle norme di prevenzione comunitaria, così come di eventuali situazioni di quarantena, deve essere scrupoloso. Le lunghe file ai drive in sono spesso causate da richieste improprie di persone che, pur non rientrando nei criteri di coloro che dovrebbero accedere al test, vengono prese dal panico e sono erroneamente orientate verso un servizio che deve invece focalizzarsi sul chiaro obiettivo di identificare le persone più a rischio di essere contagiose, minimizzando lo spreco di risorse. Ancora una volta, la medicina di comunità e il sistema territoriale giocano un ruolo cruciale sulla corretta informazione e sul rispetto dei corretti protocolli di testing. Bisogna inoltre lavorare sulla formazione e responsabilizzazione delle comunità, rafforzando la rete dei servizi e favorendo la conoscenza su come limitare il diffondersi dell’epidemia e cosa fare in presenza di casi sospetti. Le attività di educazione sanitaria svolte da MSF in comunità vulnerabili, carceri e in contesti ad alta marginalizzazione sociale hanno dato importanti risultati.
4) Non dimenticare i più vulnerabili
Le comunità più vulnerabili, come strutture per anziani, carceri, dormitori, centri di accoglienza, occupazioni abitative o insediamenti informali, necessitano di specifica attenzione e chiare procedure per l’alto rischio di una rapida diffusione interna e moltiplicazione esterna della catena di contagio. La prevenzione e la gestione di focolai epidemici in comunità chiuse non può essere improvvisata, né lasciata all’iniziativa e alla buona volontà dei singoli enti gestori, ma deve essere adeguatamente pianificata e coordinata dalle autorità sanitarie sulla base di chiare direttive ministeriali, coinvolgendo le comunità e garantendo l’intervento dei servizi sociali in situazioni particolarmente critiche che hanno impatto sull’accesso alla salute (come l’assenza di residenza, di reddito e una nutrizione inadeguata).
5) Farmaci e vaccino Covid-19: giochiamo d’anticipo prima che sia troppo tardi
Una volta che farmaci e vaccini contro il Covid-19 saranno introdotti sul mercato sarà fondamentale garantirne l’accesso equo e sostenibile contemplando, se necessario, anche il ricorso alle clausole di salvaguardia previste dagli accordi internazionali sulle proprietà intellettuali. L’uso governativo di licenze obbligatorie deve essere promosso ed è indispensabile includere sin da ora nei diversi tavoli negoziali anche i Paesi a medio e basso reddito, per favorire una ricerca che tenga conto delle istanze dei sistemi sanitari più fragili. Una strategia realistica di contenimento ed eventualmente di eradicazione del Covid-19 prevede che il vaccino venga reso disponibile a tutti i paesi del mondo, inclusi i più poveri e che vengano realizzate delle efficaci campagne di vaccinazione. Obiettivo che oggi appare quanto mai distante e logisticamente complesso. L’accessibilità universale al vaccino contro il Covid-19 non è solo una questione di equità ma è una questione di salute pubblica, e la precondizione necessaria perché si inneschi il fenomeno dell’immunità di gregge, utile a scongiurare ondate epidemiche successive. La probabilità che il virus possa circolare liberamente è inversamente proporzionale al numero delle persone vaccinate, e in un mondo globalizzato e interconnesso sappiamo quanto sia cruciale. Immaginare di rimanere protetti dal proprio sistema sanitario e al sicuro dentro le proprie frontiere, oggi non è più concepibile: i virus valicano confini e la tutela della salute di tutti dipende dal modo in cui si organizzeranno le risposte globalmente.