“Quello che si apre questa mattina ad Ancona non è, e non deve diventare, un processo all’omeopatia, e nemmeno all’intera categoria dei medici che in scienza e coscienza si avvalgono di questo strumento terapeutico. Quanto successo al piccolo Francesco sembra la conseguenza di una mal practice, non di inefficacia dell’omeopatia; eppure è stata l’omeopatia a essere messa sul banco degli imputati. Come sempre, le responsabilità penali sono individuali e il compito della giustizia è stabilire al di là di ogni ragionevole dubbio se nel comportamento del medico ci siano state negligenza o imperizia, o meno. Mi auguro che si evitino sgradevoli e inopportune speculazioni su questa tragica vicenda, che ha visto un bimbo di 7 anni perdere la vita per un’otite”.
Si esprime così la dottoressa
Antonella Ronchi, presidente della Fiamo (Federazione Italiana Associazioni e Medici Omeopati) e membro del comitato direttivo del Cno (Coordinamento Nazionale Omeoterapie), nel giorno in cui ad Ancona si apre il processo a
Massimiliano Mecozzi, il medico che aveva in cura
Francesco Bonifazi, il bimbo di 7 anni deceduto il 27 maggio 2017 in seguito all’aggravarsi di un’otite.
“Purtroppo – sottolinea
Simonetta Bernardini, Presidente della Siomi (Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata) e anch’essa membro del comitato direttivo del Cno – accade sempre più spesso che i fatti di cronaca che hanno in qualche modo a che fare con l’omeopatia diventino un’occasione per mettere sotto accusa la medicina complementare e questo è profondamente sbagliato, cinico e strumentale”.
“Se le accuse mosse dalla procura nei confronti del dottor Mecozzi dovessero essere confermate in Tribunale – prosegue Bernardini –, da parte nostra arriverà una condanna senza compromessi.
Se venisse accertato, inoltre, come riportato dalla stampa, che la maggior parte delle consulenze avveniva via telefono, saremo i primi a censurare un modo di lavorare che è contrario a qualsivoglia approccio della medicina, in particolare quella omeopatica che fa del rapporto diretto con il paziente una delle sue caratteristiche peculiari. L’omeopatia, per altro, è bene ricordarlo, è stata riconosciuta come atto medico già dal 2002”.
“A chi vorrebbe sfruttare con spregiudicato cinismo una piccola vittima per i fini polemici e propagandistici ci permettiamo di ricordare – conclude Ronchi – che i processi sono percorsi dolorosi che riguardano gli atti compiuti dalle persone, in questo caso un medico, e devono portare alla definizione di responsabilità individuali. Non possono essere trasformati in momenti di propaganda mediatica o in luoghi autorizzati a pronunciarsi sulla efficacia o meno di una terapia. Per questo ci sono altri luoghi, luoghi di dibattito aperto, centri di ricerca, università. Occorre soprattutto tornare all’essenza dell’approccio scientifico: la disponibilità al dubbio, a mettere in discussione opinioni consolidate e cristallizzate, e all’ascolto di esperienze diverse dalla propria”.