Maria, 40 anni è stata abbandonata dalla sua mamma ed adottata quando era ancora molto piccola. Maria, da anni cerca le sue origini, cerca la sua identità, non si dà pace, si sente "monca" senza conoscere chi l'ha generata. Guarda i suoi figli e sono molte le domande che la assalgono. Però questo non è possibile, gli hanno detto. Esiste una legge, da sempre, che pone in anonimato le madri che hanno deciso, per così dire, di girare pagina e cancellare la vita precedente, compreso cancellare chi hanno messo al mondo.
Senza entrare nel merito della scelta, che spesso è dettata da paura ed insicurezza e contornata da molta sofferenza, mi sorge spontanea la domanda: che ricaduta questa scelta sui figli? Quanto può pesare sulla loro vita e sul loro equilibrio psicologico il non conoscere chi li ha generati?
Sono in corso alla Camera proposte di legge che prevedono la possibilità per i Tribunali di contattare le madri, ovviamente solo "se" i figli desiderano incontrarle. Ma è sempre la mamma a decidere, di nuovo, cosa fare, se incontrare o meno il/la figlio/a. L'intenzione non è quella di svelare l'anonimato a chi ha scelto, o "dovuto" scegliere questa strada, ma è quella di far sapere loro che un/una loro figlio/a la sta cercando.
Sono molteplici i motivi che possono spingere un figlio adottato a cercare le proprie origini, pensiamo ad indagini su malattie ereditarie, a problemi psicologici o, peggio, psichiatrici susseguenti all'abbandono o, semplicemente, sono solo figli che vogliono conoscere i propri genitori biologici? Appare così assurdo quindi? Ed è a questo punto che mi chiedo e vi chiedo se sia migliore la tutela del nascondere le origini naturali oppure poter dare la possibilità di avere una finestra aperta sul proprio passato?
Non sapere da dove si proviene, non conoscerne il motivo, vero, di un abbandono, di un rifiuto o, semplicemente, di una difficoltà in cui si è trovata una donna, che ha scelto di non accettare una maternità, magari troppo tardi per poterla rifiutare chirurgicamente, lascia un vuoto grande ed incolmabile. Un vuoto, spesso, colmato di surrogati ma sempre vuoto rimane. Perché la mente corre e va là, dove tutto ebbe inizio. E senza spiegazioni di sorta. Quello che emerge durante colloqui psicologici diretti al supporto di alcuni che presentano difficoltà, è il grande senso di rifiuto: "Cosa le ho fatto?", "Che colpa ho avuto così grande da avere generato questa scelta?", "Perché non mi ha amato?".
Esiste un diritto alla "segretezza". Ma è un diritto per chi? Sta qui il punto, fondamentale. Ad oggi la tutela sta da una parte sola. Ed in punta di Diritto questa non è tutela, è privazione. Forse aprendo un varco così importante potrebbe anche venir sollecita una profonda riflessione ed una maggiore sensibilizzazione a chi affronta questa scelta? Chiediamocelo.
Antonella Gramigna
Esperta in orientamento e promozione della salute