In Italia si stima che il 5-8% di tutti i pazienti afferenti alle strutture sanitarie sviluppino un'Ipa (infezione associata alle patologie assistenziali), pari a 450-700mila casi con 4.500-7.500 decessi direttamente attribuibili e circa 3 milioni 750mila giornate di degenza per le complicanze infettive acquisite a seguito del ricovero. L'allarme lanciato dagli esperti tocca soprattutto reparti come quelli di terapia intensiva e chirurgia.
“Questo numero è costante negli ultimi anni, al Sud come al Nord – specifica Giuseppe Ippolito, presidente del congresso e direttore scientifico dell'Istituto Malattie Infettive Spallanzani di Roma -, ma potrebbe essere ridotto del 30% con un piccolo investimento. Purtroppo le infezioni ospedaliere fanno più vittime degli incidenti stradali”. Per risolvere la questione bisogna correggere alcuni comportamenti. “Questo tipo di infezioni non sono azzerabili - avverte Ippolito -, ma andrebbero corretti dei comportamenti a rischio. Per esempio eliminando i cateteri, l'uso massiccio di antibiotici, la monosomministrazione, la depilazione pre-operatoria e soprattutto la carenza di igiene”. Il problema oltre i comportamenti a rischio è l’organizzazione nelle strutture ospedaliere. “I medici si lavano le mani solo nel 20% dei casi in cui dovrebbero - spiega Ippolito - e questo è un veicolo importante per i batteri. Poi servirebbe del personale specializzato in grado di gestire e coordinare all'interno dell'ospedale il problema di queste infezioni: un infermiere ogni 250-300 pazienti e un medico ad hoc ogni 400 pazienti”.
La pensa allo stesso modo Evangelista Sagnelli, presidente della Simit che ha spiegato come “le conseguenze delle infezioni Ipa sono le polmoniti nosocomiali e le patologie multirestistenti. Questo perché molti dei germi che si acquisiscono in ospedale hanno una grande resistenza e diventano pericolosi. A rischio quindi gli anziani in degenza nei reparti di rianimazione. Spazi dove sono necessarie procedure di decontaminazione per eliminare ogni tipo di pericolo”.
Per intervenire efficacemente, secondo la Simit è necessario non solo agire a livello dell’emanazione di indicazioni di controllo, ma sulla costruzione di un modello organizzativo e di gestione del problema che parta della conoscenza delle situazioni locali, passi attraverso la costruzione di sistemi di sorveglianza e la realizzazione di programmi di formazione specifici, per arrivare alla disponibilità di procedure e linee-guida standardizzate e validate. Come emerge dagli interventi nella Sessione, negli ultimi anni molti paesi hanno avviato sistemi di sorveglianza a livello nazionale o regionale, in aree o pazienti a rischio, con l’obiettivo di promuovere una migliore qualità dell’assistenza e, di conseguenza, la riduzione dell’incidenza dei casi: questi network collaborativi hanno documentato, dopo alcuni anni di attività, un trend significativo di riduzione della frequenza di infezioni. Analogamente, sono stati avviati programmi che prevedevano il monitoraggio dell’adesione a specifiche misure assistenziali (ad es. igiene delle mani, profilassi antibiotica peri-operatoria, ecc.), con risultati positivi.