Bari: uccisa da un malato a
coltellate una psichiatra. Follia e dipendenze hanno ucciso il loro rimedio. Il senso di questa “catastrofe” non è il “non senso”, come pensano i fatalisti e i burocrati, ma il conflitto quasi tra la sofferenza umana, che rende persino mostruosi, e la fragilità comunque dei nostri servizi. Il rimedio è morto come tradito dal suo malato. Ma quel malato “catastrofico” ha effettivamente tradito o semplicemente non ha fatto altro che essere fino in fondo tragicamente se stesso? O ancora ha tradito perché le circostanze non hanno impedito la “catastrofe”?
Se sì, quali circostanze avrebbero potuto impedirla? Si dice che quel malato non era nuovo a comportamenti aggressivi e a minacce…e si ipotizza che il suo fosse un comportamento “catastrofico” prevedibile. Ma in che misura e a quali condizioni la follia, quando si mischia con la dipendenza, è prevedibile? Non esiste una metodologia di prevenzione della follia, meno che mai delle linee guida e neanche un esercito di vigilantes può impedire che qualcosa di tragico avvenga. L’unico modo per prevenirla è tentare di curarla con la presa in carico per la quale ci vogliono delle organizzazioni giuste, degli operatori preparati certo, ma anche sufficienti, delle risorse anche se minime. E anche quando tutto è a posto qualcosa scappa comunque.
Questi malati “catastrofici” non uccidono solo gli altri ma a volte uccidono anche se stessi. In entrambi i casi per un servizio è un terribile fallimento, una “catastrofe” per l’appunto. In una organizzazione sufficientemente ragionevole gli operatori sanno gestire i vari generi di catastrofi, è il loro mestiere. Ma cosa significa di questi tempi una organizzazione ragionevole? In alcune Regioni per problemi di risparmio hanno accorpato la salute mentale con la dipendenza, eppure sono problematiche molto diverse: è una organizzazione ragionevole? Se i dipartimenti hanno gli organici decimati come avviene la presa incarico? Non mi sogno di imputare l’omicidio di Paola a delle cause lineari e meno che mai di specularci sopra per dire, come qualcuno ha detto, che la crisi economica accentua quella delle fragilità (ma già Durkheim lo aveva detto per il suicidio) e meno che mai mi sogno di trovare le soluzioni con la stessa logica, magari mettendo dei metal detector all’ingresso dei servizi o includendo nel setting terapeutico un corpulento vigilantes con la pistola o il manganello, ma la morte di Paola non può essere, a causa della sua complessità fenomenologica, inintellegibile.
Essa è una “catastrofe” che coemerge da tante piccole catastrofi, cioè delle discontinuità, misteriosamente interconnesse che si rivelano apparentemente a causa di qualcosa o di qualcuno, ma che in realtà rivelano malesseri profondi e quindi strani legami tra la follia delle persone e la follia dei sistemi. Oggi i servizi per le dipendenze e per la salute mentale non se la passano per niente bene, gli operatori sono demoralizzati, esposti a rischi tutti i giorni e i malati che loro tentano di curare appaiono sempre più smisurati rispetto alle loro forze reali.
La morte di Paola ha impressionato l’opinione pubblica per la sua inusitata violenza, molto meno per la complessità quasi imperscrutabile della “catastrofe” che essa è, e per questo mi preoccupa la reazione burocratica quindi semplificatoria che ha innescato, cioè il ritorno alla vecchia logica dell’ordine pubblico da difendere. Vendola, il governatore della Puglia, parla esplicitamente di “materia di pubblica sicurezza” e di “comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica”, inseguendo la “catastrofe” con improbabili logiche controfattuali (“abbiamo il dovere di chiederci se….tutto ciò che si doveva fare sia stato fatto e non sia possibile fare di più”). Quell’anima bella della ministra Lorenzin vuole parlare con il ministro degli interni Alfano per fare una “valutazione congiunta del fenomeno al fine di prevenire il verificarsi di simili episodi”. Come se le catastrofi fossero riducibili a episodi. L’assessore alla sanità delle Puglia, Elena Gentile, sulla stessa lunghezza d’onda ,convoca i DG delle aziende “per fare il punto sulla sicurezza delle strutture” e decide, con una discutibile logica dell’emergenza, di accorpare ben 45 servizi per “presidiarli”.
Rispetto a tutte queste semplificazioni e banalizzazioni della “catastrofe” dichiaro apertamente il mio dissenso, proprio per rispettare Paola Labriola e i tanti operatori come lei, il loro mondo professionale, la loro storia, la loro cultura, la loro preziosa vita, i servizi in cui lavorano e i malati con i quali essi hanno a che fare. Non sarà l’ordine pubblico a risolvere il problema delle “catastrofi”, ma solo delle ragionevoli politiche sanitarie. La Lorenzin, invece di andare da Alfano vada da Saccomanni e chieda la deroga del blocco del turn over per questi servizi; la Gentile convochi gli stati generali degli operatori della salute mentale e delle dipendenze e discuta con loro di quali organizzazione essi hanno bisogno, e Vendola la smetta di giocare a fare il “sorvegliante speciale” e ripristini nei servizi le condizioni per una corretta dipartimentalità, soprattutto distinguendo dipendenze da salute mentale proprio per definirne le interconnessioni.
La catastrofe non è prevedibile in senso deterministico, causalistico e lineare, ma in senso sistemico si, cercando di creare nel sistema le condizioni per ridurre ragionevolmente le tante piccole crisi che una dopo l’altra la fanno emergere. Mettere sotto sorveglianza speciale un sistema non risolve nulla, lava solo le coscienze e rassicura la burocrazia. Prevenire la catastrofe significa riprogettare i sistemi per fare in modo che a coemergere non siano le tragedie, ma le cure, le prese incarico, l’assistenza a domicilio, gli interventi sul territorio, la gestione della crisi,le qualità delle professioni, la cooperazione con la società civile.
Ivan Cavicchi