Oltre quattro milioni. A tanto ammontano in Italia le persone in trattamento farmacologico per la depressione. Sono più donne che uomini. E tre volte su cinque la terapia assunta si dimostra inefficace.Ad accendere i riflettori su una patologia - la depressione - che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità nel 2020 sarà la seconda causa di disabilità al mondo dopo le patologie cardiache è il congresso della Società italiana di Neuropsicofarmacologia in corso a Cagliari.
La depressione è una patologia che ha pesanti ricadute non solo su chi ne è affetto, ma che si ripercuote anche su famiglie e mondo del lavoro. Basti pensare che i giorni lavorativi persi da un depresso sono 7 volte superiori rispetto a chi non lo è.Difficile da battere definitivamente, dal momento che una persona depressa su 3 lo è ancora dopo un anno, una su 10 deve continuare la terapia dopo 5 anni dal primo episodio e che oltre la metà dei malati avrà una ricaduta nell’arco della sua esistenza. Non stupisce allora che secondo una recente indagine condotta dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (O.N.Da) ben il 54% delle donne ritiene che la depressione sia addirittura più difficilmente curabile del tumore al seno.
Come se non bastasse, “le terapie finora a disposizione non alleviano immediatamente i sintomi depressivi: il malato può avvertire prima gli effetti collaterali dei farmaci, come quelli gastrointestinali e sul sonno, ma anche disturbi della sfera sessuale e aumento di peso che spesso portano all’interruzione del trattamento”, ha sottolineato il presidente della società scientifica, Giovanni Biggio.
Il Congresso, però, oltre alle criticità si concentra su un aspetto di recente acquisizione nella conoscenza dei disturbi depressivi: l’interazione gene-ambiente.
Non mancano infatti le ricerche che avvalorano l’ipotesi che la patologia mentale possa essere influenzata già nella vita intrauterina.
“Sappiamo con certezza – ha spiegato Biggio – che se una donna durante la gravidanza abusa di alcol o di sostanze, viene maltrattata o subisce forti stress, il feto riceve segnali che modificano i geni coinvolti nello sviluppo del cervello: per questo nel nostro congresso parliamo di ‘fenomeni epigenetici’, cioè come i geni dell’individuo vengano modificati non nella struttura ma nella funzione da input ambientali. Oggi finalmente abbiamo prove biologiche che l’ambiente esterno è in grado di modificare i geni”.
“E i comportamenti e le abitudini dei giovani, in particolare la facilità con cui si consumano droghe e alcol, suscitano allarme tra gli esperti, perché aumentano la vulnerabilità per i disturbi mentali”, ha concluso.