toggle menu
QS Edizioni - lunedì 2 dicembre 2024

Cronache

Ipotermia. Una tecnica che può salvare la vita. Se ne parlerà il 15-16 novembre a Genova

immagine 14 novembre - Abbassare la temperatura a 33° a seguito di un arresto cardiaco e mantenerla per 24 ore può preservare il cervello da ulteriori danni. Questa tecnica utilizzata dagli specialisti di Terapia intensiva verrà discussa in occasione del congresso “Hypothermia 2012” patrocinato dall’Aaroi-Emac.
Abbassare la temperatura interna del paziente ancora in coma dopo l’arresto cardiaco fino a 33°C e mantenerla tale per un periodo di 24 ore in modo da preservare il cervello da ulteriori danni attraverso l’ipotermia terapeutica. Una tecnica di ultima generazione che oltre 400 specialisti di Terapia Intensiva approfondiranno a Genova il 15 e 16 novembre 2012 in occasione del congresso nazionale “Hypothermia 2012: the cardiac arrest and post-resuscitation care” patrocinato dall’Aaroi-Emac (Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica).


I lavori congressuali mirano a fare il punto sull’utilizzo dell’ipotermia terapeutica in caso di arresto cardiaco. Una tecnica utilizzata nel 40% circa delle terapie intensive italiane con una maggiore diffusione nel Nord Italia. “L’ipotermia terapeutica se utilizzata in maniera tempestiva - ha spiegato Iole Brunetti, medico dell’Unità di Anestesia e Terapia Intensiva dell’Università degli Studi di Genova - ossia nell’arco di 4/6 ore dall’arresto cardiaco, può essere una tecnica efficace in grado di preservare la funzione cerebrale e cardiaca del paziente e di aiutarlo nel recupero neurologico ed emodinamico. Il principio generale è un po’ quello del freddo che preserva gli alimenti rallentando i processi metabolici”.

È indispensabile che ci siano diversi fattori per poter applicare correttamente l’ipotermia terapeutica. Primo fra tutti la presenza di un team affiatato proprio perché il paziente è particolarmente fragile e ha bisogno di un’attenzione maggiore rispetto al trattamento convenzionale. Un team di medici ed infermieri di terapia intensiva che sia anche in grado di comunicare con i parenti le varie fasi del trattamento clinico. “In questo senso - ha concluso Brunetti - è necessario fare uno scatto culturale generale che consenta, anche attraverso il mondo dell’informazione, di spiegare al meglio quello che accade quando viene applicata l’ipotermia come terapia post arresto cardiaco”.

L’arresto cardiaco improvviso o morte cardiaca improvvisa è un evento che colpisce nel mondo occidentale centinaia di migliaia di persone ogni anno, pari a un 1 caso ogni 1000 abitanti. In Italia ha un’incidenza di 50/60 mila casi all’anno su un totale di circa 60 milioni di abitanti, con un’incidenza elevata fra le persone ancora attive, di età compresa fra i 45 ed i 65 anni.
Un fenomeno di proporzioni vastissime e di grande costo per la società a cui anestesisti rianimatori fanno fronte applicando un protocollo denominato “Catena della Sopravvivenza” che prevede l’attivazione precoce del Sistema di emergenza (118), le manovre rianimatorie di base come il massaggio cardiaco e la defibrillazione e un complesso e delicato trattamento post-rianimatorio in terapia  intensiva nelle ore e nei giorni successivi.

In questo ambito la tecnica dell’ipotermia è una delle ultime frontiere ancora in divenire. Allo stato attuale, infatti, la metodica ottimale da utilizzare, la tempistica di applicazione ed i livelli di temperatura corporea da raggiungere devono essere ancora chiariti e sono oggetto di studio. Presso la Unità Operativa di Terapia Intensiva, dell’ Ospedale San Martino di Genova si stanno valutando nuove strategie clinico diagnostico terapeutiche per la ottimizzazione della ipotermia terapeutica in seguito ad arresto cardiaco.

Il Congresso sarà quindi l’occasione per contestualizzare questo importante trattamento terapeutico rispetto al più complesso e multidisciplinare approccio alla sindrome post-arresto che vede impegnati quotidianamente gli anestesisti rianimatori nel tentativo di preservare una buona qualità di vita dopo una patologia tanto grave e diffusa.
 
14 novembre 2012
© QS Edizioni - Riproduzione riservata