“Combattere l’artrite reumatoide è una corsa contro il tempo, piena di ostacoli. Oggi sappiamo che per arrestare o rallentare la progressione dell’artrite reumatoide abbiamo una finestra di 3 mesi dall’insorgenza dei primi sintomi, per intervenire con i farmaci più appropriati. Un approccio tempestivo e appropriato può cambiare il destino e la qualità di vita delle persone colpite da artrite reumatoide. Quello che chiediamo alle Istituzioni è di rimuovere i tanti intoppi burocratici che costellano il già accidentato percorso delle persone colpite da questa e altre malattie reumatiche per accedere alle cure”. Questo l'appello di Antonella Celano, presidente Apmar (Associazione persone con malattie reumatiche). Difficoltà e ritardi nella diagnosi, appropriatezza degli interventi terapeutici, disomogeneità dell’assistenza a livello regionale, mancanza di centri specializzati sia per la cura che per le terapie fisiatriche, oltre ad una pesante burocrazia sono le criticità dichiarate dai pazienti, ma anche dagli specialisti, ed espresse chiaramente ieri nel corso dell’incontro “Alleati contro le malattie reumatiche”, organizzato da Apmar, alla presenza di medici, politici e rappresentanti di Ministero della Salute e Aifa.
“Vivere con una malattia reumatica gravemente invalidante, come ad esempio l’artrite reumatoide, vuol dire affrontare ogni giorno difficoltà che derivano anche dal mondo esterno, e che a loro volta hanno un serio impatto sulla qualità di vita della persona. E’ nostro dovere, come amministratori, adoperarci ad ogni livello per cercare di eliminare le barriere anziché alzarle. Mi sono sempre impegnato a fianco delle associazioni che difendono gli interessi delle persone con malattie croniche e continuerò a farlo”, ha dichiarato Antonio Tomassini, presidente Commissione Igiene e Sanità del Senato.
“Le malattie reumatiche sono patologie generalmente croniche, spesso ad alto potenziale invalidante, in molti casi caratterizzate da infiammazione, che possono colpire anche organi e apparati diversi, quali cute, cuore, polmoni, strutture nervose e cuore. In molti casi l’infiammazione è associata ad una abnorme risposta del sistema immune e per tale motivo molte di queste malattie sono anche dette immunoinfiammatorie - ha spiegato Giovanni Minisola, Presidente Sir (Società italiana di reumatologia e primario reumatologo ospedale di alta specializzazione San Camillo di Roma - le malattie reumatiche sono molto diffuse in Italia; si pensi che oltre il 10% della popolazione italiana ne è colpita, per circa 6 milioni di soggetti colpiti. Più in dettaglio, sono circa 4 milioni i pazienti con artrosi, la più diffusa malattia reumatica cronica di tipo degenerativo, circa 400.000 quelli con artrite reumatoide e almeno 600.000 quanti sono interessati da altre patologie di grande rilevo clinico, come artrite psoriasica, spondilite anchilosante, lupus e sclerodermia". "Il dolore è un denominatore comune di queste patologie - ha proseguito - l’artrite reumatoide, la malattia reumatica immunoinfiammatoria più frequente, è una condizione fortemente invalidante, che può colpire anche in età pediatrica; la maggiore frequenza è tra i 35 e i 50 anni, con netta prevalenza nel sesso femminile. La malattia causa la perdita progressiva della funzionalità delle articolazioni. È alta la percentuale di coloro che sviluppano dopo alcuni anni dalla comparsa dei primi sintomi una forma grave di disabilità che può costringere all’abbandono dell’attività lavorativa”, ha concluso Minisola.
“L’Organizzazione Mondiale della Sanità - ha osservato Paola Pisanti, presidente Commissione nazionale sulle malattie croniche del Ministero della Salute - ha definito le malattie reumatiche come la prima causa di dolore e disabilità in Europa, sottolineando come queste, da sole, rappresentino la metà delle patologie croniche che colpiscono la popolazione al di sopra dei 65 anni”. Il Sistema Sanitario, per erogare una buona qualità dell’assistenza per le persone con malattie reumatiche, deve avere come obiettivi: la centralità della persona, la sicurezza, l’efficacia, la tempestività delle prestazioni, l’efficienza e l’equità, nonché l’appropriatezza. Quindi l’approccio del Sistema deve tenere conto di un modello di sviluppo complessivo che comprenda la persona con patologia cronica, il professionista e l’organizzazione. Ed è proprio sull’organizzazione dell’approccio a queste malattie che si concentrano gli studi di economia sanitaria.
“L’Aifa - ha informato Simona Montilla, dirigente farmacista del Centro Studi Aifa - sta completando un processo di sistematizzazione dei Registri per i farmaci biologici impiegati in Reumatologia e in Dermatologia. Una delle carenze d’informazione che abbiamo, infatti, oggi circa i numerosi biologici attualmente disponibili è dovuta anche al fatto che questi farmaci nei trial clinici non sono stati testati tra di loro, ma sempre verso un comparatore comune: il metrotressato. Mancando gli studi testa a testa tra le diverse alternative - ha spiegato - vengono di conseguenza a mancare informazioni comparative dirette circa i profili di efficacia e di sicurezza dell’uno rispetto all’altro e le sequenze ottimali da impiegare. Si aggiunga, inoltre, che se nelle valutazioni di costo-beneficio il modeling è stato, ed è, il principale strumento di valutazione di queste terapie, la revisione di questi Registri consentirà di utilizzare i dati di real world per produrre analisi di costo-efficacia che riflettano le caratteristiche della nostra realtà clinica".
"La finalità dei Registri dei Farmaci Reumatologici – ha concluso Montilla - è quindi quella di raccogliere più informazioni per indirizzare un appropriato e tempestivo utilizzo dei farmaci e per garantire il raggiungimento del principale beneficio nelle patologie reumatologiche, e nell’artrite reumatoide in particolare, ossia il rallentamento della progressione, in attesa che dalla ricerca scientifica giungano nuove possibilità di cura, più efficaci e mirate, anche tramite biomarker che permettano la selezione dei pazienti per i quali la terapia è più efficace e sicura, nell’ottica di centralità del ruolo del paziente nell’individualizzazione e nella scelta della terapia”.
Recenti studi hanno evidenziato come il costo sociale complessivo dell’artrite reumatoide sia superiore ai 3 miliardi di euro/anno in Italia con una elevata incidenza di costi collegati alla perdita di produttività dei pazienti e all'assistenza fornita da care-giver informali. Come analizzato da Claudio Jommi, economista sanitario Università degli Studi del Piemonte Orientale e Cergas, Bocconi, “tali costi subiscono un sensibile aumento per effetto della progressione della patologia. Ai farmaci tradizionali si sono aggiunti oggi farmaci biotecnologici, che, a fronte di evidenze di efficacia, presentano elevati costi. Le evidenze di costo-efficacia mostrano come l'uso dei farmaci tradizionali sia preferibile in prima linea; le evidenze su quale sia la sequenza terapeutica ottimale di seconda linea con uso di farmaci biotecnologici sono più controverse". "Esistono invece evidenze di come il trattamento precoce della patologia (e la minore durata della patologia) produca vantaggi in termini di risposta clinica e di disabilità nel medio periodo - ha proseguito Jommi - ma,la valutazione dell'effetto dei farmaci per l'artrite reumatoide dovrebbe considerare che: il rallentamento nella progressione della patologia ha importanti implicazioni sociali che vanno oltre i costi sostenuti dal Servizio Sanitario Nazionale; è importante considerare tutte le evidenze disponibili, anche di tipo economico, nelle decisioni sul trattamento farmacologico dei pazienti affetti dalla malattia; è importante investire su tutti gli strumenti necessari per ottimizzare il percorso del paziente, in particolare, sulla fase di diagnosi della patologia”.
“I dati, basati su studi scientifici pubblicati - ha aggiunto Gianfranco Ferraccioli, presidente Gisea ed ordinario di Reumatologia all'Università Cattolica di Roma - dimostrano in modo inequivocabile che se si vogliono impiegare in modo vantaggioso fondi e risorse, è necessario ricostruire in modo utile e reale il modello di assistenza. Quali sono le necessità reali di un percorso diagnostico-terapeutico: organizzare l’assistenza territoriale con specialisti sul territorio, utilizzare algoritmi diagnostico-terapeutici attuali ed in regola con i tempi, riferire i casi complessi ai centri di Riferimento, inserire ogni paziente in un database che consenta di verificare la appropriatezza terapeutica per ogni decisione clinico-terapeutica, documentare in modo appropriato ogni cambio di schema terapeutico ed avere dati di follow-up adeguati. Con una organizzazione così fatta - ha concluso Ferraccioli - è possibile prevedere un risparmio di grande spessore".
“Ogni Medico di Medicina Generale ha almeno due o tre pazienti ogni mille assistiti affetti da A.R. e un numero maggiore con altre malattie reumatiche - ha sottolineato Giovanni Mascheroni, co-responsabile Area osteoarticolare, Simg - una prima, basilare ed essenziale formazione dovrebbe avere inizio già nel Corso di Laurea in Medicina Generale. In questo caso la formazione debba essere non solo 'teorica', basata cioè solamente sullo studio, ma debba affiancarsi all’insegnamento tutoriale per guidare il medico nella corretta richiesta degli esami di primo livello (ematologici e radiologici) per l’invio del paziente allo specialista reumatologo". "Tuttavia, è necessario notare la presenza di alcune difficoltà nella cura di pazienti affetti da artrite reumatoide: si segnalano come tali, infatti, le lunghe liste d’attesa e la frequente impossibilità di effettuare invii specialistici 'mirati' (reumatologo) per la scarsità, in alcune Regioni, di centri specializzati nel trattamento di queste patologie; tali circostanze limitano la correttezza e l’efficacia dei percorsi assistenziali. Un altro punto problematico - ha concluso Mascheroni - è l’accesso alla fisioterapia, che invece svolge un ruolo importante in ogni fase della malattia”.
Infine, Minisola ha ricordato come la Società italiana di reumatologia ha emanato linee guida che tengono conto delle problematiche economiche del nostro Paese. "Infatti - ha concluso - è previsto un approccio terapeutico iniziale con i vecchi farmaci; ma, se questi falliscono, dopo un periodo di osservazione ragionevole occorre impiegare senza indugio i farmaci biologici. Ciò consente di evitare l'invalidità, i cui riflessi socio-economici sono ben più pesanti del costo dei farmaci biologici”. Quindi linee guida sì, ma cum grano salis.