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Pietro Bartòlo è nato a Lampedusa. Ginecologo, è da anni medico sulla sua isola, responsabile del locale presidio sanitario e, da marzo, coordinatore di tutte le attività sanitarie dell’isola, comprese quelle assicurate dalle associazioni di volontariato. A Taormina ha ricevuto il premio “Nunzio Romeo”, assegnato dall’Omceo di Messina a chi onora la professione medica.
Dottor Bartòlo, quanti medici ci sono a Lampedusa?
Adesso ci sono circa 20 persone per turno, tra medici - 4 medici di base, una pediatra, un medico di pronto Soccorso, due medici di guardia medica, un rianimatore, un cardiologo, una ginecologa -, infermieri e autisti, sempre pronti nelle 24 ore, dopo l’intervento dell’assessore Russo, che attraverso la Asp di Palermo, da marzo ha quasi triplicato le forze a disposizione del presidio di Lampedusa, che, lo ricordo, serve ai residenti e ai migranti. Io lo avevo contattato per fargli presente la situazione, lui è venuto sull’isola, ha visto gli sbarchi, ha aiutato materialmente nelle operazioni e ha capito.
Come lavorate?
Quando sta per avvenire uno sbarco, io ricevo la prima chiamata da parte delle forze dell’ordine, Carabinieri, Guardia di finanza o Capitaneria di porto, che mi dicono quante persone stanno arrivando e dove. A quel punto, avviso i medici di turno e le associazioni, Croce Rossa, Medici senza Frontiere o Inmp, perché i loro medici ci aiutano nel triage, in banchina.
Dopo il triage, le persone che stanno male vengono mandate nel Pronto Soccorso mentre le altre sono indirizzate al Centro di Accoglienza. I malati che riusciamo a curare sul posto vengono anche loro condotti al Centro di accoglienza, mentre per le per patologie più gravi, dopo averli stabilizzati, li inviamo a Palermo o a Catania, grazie agli elicotteri del 118, che da marzo sono due e ci aiutano moltissimo.
E nel Centro di accoglienza, superato il primo momento, visitiamo tutti i presenti e teniamo sotto controllo i sintomi che potrebbero dare preoccupazione, trasmettendo quotidianamente i dati al ministero della salute. Purtroppo questo non accade in tutti i Centri.
Attraverso la televisione abbiamo visto che ci sono anche bambini, donne in gravidanza.
Facciamo particolare attenzione alle fasce più deboli. Le donne in gravidanza le portiamo comunque al Pronto Soccorso per una visita, un controllo ecografico e gli esami di base e ho preteso che a Lampedusa venissero ginecologhe donne, per creare meno disagio a queste donne già molto preoccupate. Sopra al settimo mese, solitamente le trasferiamo negli ospedali di Palermo o di Catania per concludere in condizioni migliori la gravidanza. Ma mi è capitato anche di fare due parti sull’isola.
Quali sono le patologie più frequenti?
Grazie a Dio non abbiamo avuto particolari allarmi, anche a marzo in piena emergenza, perché i tunisini erano tutti giovani e in buona salute. Diversa è la situazione per gli arrivi dalla Libia, che non sono libici ma in gran parte sub sahariani vissuti a lungo in campi di concentramento o comunque in condizioni di grande disagio.
Eppure molti sono spaventati dal contagio che potrebbero portare questi immigrati.
Non c’è ragione. Fa molta paura ad esempio la scabbia, che invece si cura facilmente: basta un trattamento e i parassiti se ne vanno.
Perché lei fa tutto questo?
Me ne occupo dal primo sbarco, nel 1992, perché credo sia un mio dovere di medico dare assistenza a queste persone, povere vittime del sistema.
E i cittadini di Lampedusa come vivono questa situazione?
La loro risposta ha sorpreso anche me, sono stati grandiosi. Così solidali, accoglienti, nel momento del grande afflusso di tunisini, rimasti molti giorni da noi in giornate particolarmente fredde, hanno portato cibo, coperte, si portavano a casa i bambini. Il fornaio faceva un’infornata speciale, per loro, e la coda era interminabile: chi poteva pagava e gli altri prendevano il pane lo stesso.
E.A.