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Contratti e convenzioni. Garavaglia: “Avanti anche se il Governo ha deciso di non investire. Atti d’indirizzo entro primavera”. Intervista al presidente del comitato di settore delle Regioni

“Dalla settimana prossima riprende confronto con i sindacati. Bisogna superare la vecchia distinzione dei quattro ruoli sanitari che appartengono ad un mondo che non c’è più”. E poi sulle risorse sanitarie per le Regioni: “Alcune ce la faranno, altre dovranno alzare ticket e addizionali per far fronte ai tagli del Governo”

25 GEN - “La ripresa del confronto con le parti sociali e la chiusura degli atti d’indirizzo è una priorità, perlomeno per gli aspetti normativi e d’inquadramento. Noi ce la metteremo tutta per concludere in primavera”. Parole del presidente del Comitato di settore Sanità delle Regioni e assessore all’Economia della Lombardia, Massimo Garavaglia che in quest’intervista affronta il tema dei rinnovi di contratto e convenzioni, farmacie comprese.
 
“È da troppo tempo che è tutto fermo”, ricorda, anche se precisa come “il Governo non ha mantenuto le promesse” sulle risorse per i rinnovi. In ogni caso dalla prossima settimana ripartirà il confronto con i sindacati. “Parallelamente il Comitato di settore inizierà a lavorare su nuovi atti d’indirizzo. È chiaro che la ripresa del confronto e la chiusura degli atti d’indirizzo è una priorità, perlomeno per gli aspetti normativi e d’inquadramento. Noi ce la metteremo tutta per concludere in primavera”.
 
Ma Garavaglia va anche nello specifico: “Bisogna superare la vecchia distinzione dei quattro ruoli sanitari (sanitario, professionale, tecnico e amministrativo) che appartengono ad un mondo che non c’è più”.
 
Assessore, partiamo con l’attualità. I medici hanno dichiarato altri due giorni di sciopero il 17 e 18 marzo e tra le varie denunce c’è anche, se non soprattutto, il mancato rinnovo di contratti e convenzioni. Come valuta la situazione, anche alla luce delle poche risorse stanziate dal Governo?
Dire poche risorse è un eufemismo. Il Governo ha stanziato 300 mln (lo 0,2%) su un monte salari di tutta la Pubblica amministrazione di oltre 160 mld. Non esiste sindacato al mondo che si siede a trattare per lo 0,2%.
 
Quindi un po’ se lo aspettava che potesse continuare la protesta medica?
Ma è ovvio per i medici come per tutta la Pa. Si dice che si rinnova il contratto ma poi non ci sono le risorse. È un fatto che Governo e Parlamento hanno deciso di non procedere in questo senso.
 
In ogni caso per il 2016 è prevista la riapertura dei tavoli di confronto con i sindacati. Le risorse sono scarse, allora che ruolo giocherà la parte normativa. A partire dal primo step che riguarda la ridefinizione delle aree contrattuali?
Sicuramente la parte normativa necessita di un aggiustamento. Ma mi faccia ribadire anche la parte economica, perché è da troppo tempo che è tutto fermo. Ovvio che nel frattempo il mondo è cambiato. In prima battuta, in tante realtà, penso per esempio alla mia Regione (la Lombardia) ma non solo si è andati in una direzione che vede una forte integrazione tra sociale e sanitario. La seconda questione è che in ogni caso molte regioni sono andate avanti. Chi più chi meno nonostante il blocco ha messo in campo dei modelli organizzativi che si sono adeguati ai tempi e ai nuovi bisogni di salute. E quindi il primo lavoro da fare sarà quello di fare una fotografia di questi cambiamenti, prenderne atto, e trovare strumenti contrattuali per inquadrare con le normative queste competenze avanzate specialistiche che sono state messe in campo dagli operatori.
 
Nella ridefinizione delle aree contrattuali come giudica l’ipotesi di un’unica area per la sanità?
La trovo una cosa sensata, proprio per l’integrazione molto forte che c’è fra le attività di prevenzione e di post cura ospedaliera è necessario ragionare più in termini di salute piuttosto che di sanità. Bisogna superare la vecchia distinzione dei quattro ruoli sanitari (sanitario, professionale, tecnico e amministrativo) che appartengono ad un mondo che non c’è più.
 
Invece sugli atti d’indirizzo che tempi prevedete?
Dalla settimana prossima iniziamo una serie d’incontri con le parti sociali. Avevamo interrotto il dialogo a dicembre in attesa della Legge di Stabilità per sapere se c’erano o no le risorse economiche (abbiamo fatto una riunione a Palazzo Chigi con Renzi, i ministri Padoan, Madia e Lorenzin e ci era stato detto che le risorse c’erano e le avrebbe messe il Governo e non sarebbero andate sul fondo sanitario, invece la parola non è stata mantenuta). In ogni caso, ora riprendiamo il confronto con i sindacati. Parallelamente il comitato di settore inizierà a lavorare su nuovi atti d’indirizzo. È chiaro che la ripresa del confronto e la chiusura degli atti d’indirizzo è una priorità, perlomeno per gli aspetti normativi e d’inquadramento. Noi ce la metteremo tutta per concludere in primavera.
 
Per medici di famiglia e pediatri dopo il fallimento delle trattative lo scorso anno come pensare di uscire dall’impasse?
Si deve risolvere, sarà difficile ma una soluzione va trovata. Necessariamente da un lato ci dev’essere come dicevo prima una forte integrazione tra territorio e rete sanitaria. Questo è fondamentale per raccogliere le sfide dell’invecchiamento della popolazione, delle nuove cure, dei nuovi farmaci innovativi. Questa è una linea obbligata che penso trovi tutti d’accordo. L’altro tema è quello della corresponsabilità dei medici di medicina generale nel controllo della spesa, è fondamentale anche questo e bisogna lavorare insieme per raggiungere l’obiettivo.
 
E per quanto riguarda invece il rinnovo della convenzione delle farmacie? Dopo l’atto d’indirizzo dello scorso anno tutti si è arenato.
È un tema da riprendere e ne ho parlato anche nei scorsi giorni con la presidente di Federfarma perché la farmacia nella logica di un percorso integrato è fondamentale, penso in questo senso alla farmacia dei servizi. Soprattutto con le farmacie, con piccoli investimenti nella filiera poi possiamo arrivare a produrre risparmi.
 
Altro tema caldo è il confronto tra professioni, vedi medici e infermieri. Lei che idea si è fatto?
Diciamo che medici e infermieri lavorano tutti i giorni insieme e non mi pare che si prendono a legnate mentre sono in ospedale. Detto ciò, è chiaro che bisogna sedersi intorno ad un tavolo e trovare una forma d’integrazione tra le due categorie. Le professioni sanitarie hanno vissuto in questi anni una notevole variazione delle proprie attività e bisogna prenderne atto. In Lombardia abbiamo inserito nella riforma la figura dell’infermiere di famiglia che dal nostro punto di vista è un tassello fondamentale per la riorganizzazione del territorio.
 
Per quanto riguarda invece le risorse per la sanità. Come Regioni dopo il duro confronto dell’anno scorso cosa vi aspettate?
Iniziamo col dire che per il 2016 è stato messo un miliardo in più rispetto al 2015 ma ricordiamoci che rispetto alle previsioni sono in realtà 2 miliardi in meno. Il problema è poi che questo miliardo per il 2016 deve scontare almeno 2,5 mld di nuove spese (tra gli 800 mln per i nuovi Lea, che sono sacrosanti, 500 mln di farmaci innovativi, 350 mln per il payback che non c’è sui farmaci anti epatite, 300 mln per l’assunzione delle nuove 6.000 unità che servono per far fronte alla normativa sugli orari di lavoro). Quindi in realtà quest’anno siamo a -1,5 mld.
 
Per il 2017?
Ci aspettiamo una riduzione rispetto alla previsione di 4,7 mld con una percentuale della spesa sanitaria sul pil che è già oggi al 6,6% e nel giro di due anni potrebbe scendere al 6,38%. Il Governo ha deciso di disinvestire in sanità.
 
E come Regioni come pensate di gestire questo ‘disinvestimento’?
Le regioni responsabilmente lavoreranno per trovare soluzioni per tenere in piedi il sistema ma dev’essere chiaro che la scelta di disinvestire è di Governo e Parlamento. Ci sono regioni messe meglio che riusciranno in ogni caso a migliorare i servizi nonostante i tagli di risorse, altre che invece si troveranno costrette ad aumentare i ticket e le addizionali facendo pagare ai cittadini i tagli del Governo.
 
Luciano Fassari

25 gennaio 2016
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