Siamo in provincia di Bergamo, al Policlinico San Marco di Zingonia, lui si chiama Beppe ed è un operatore sanitario di 47 anni. Da qualche anno vive un dramma umano e familiare che minerebbe il coraggio di chiunque, ma non quello di Beppe, che combatte accanto alla giovane moglie, affetta da una grave e rara patologia polmonare.
Il problema, di non poco conto, è che Beppe non ha più ferie a disposizione, ma ne ha bisogno, la consorte infatti necessita della sua presenza costante per le complesse cure che sta affrontando.
Ed ecco che accade l’impensabile: i colleghi, gli infermieri, gli uomini e le donne che ogni giorno condividono le medesime battaglie di Beppe, e come lui indossano quel camice, decidono di sacrificare parte delle loro ferie, di mettere in secondo piano i momenti di svago e riposo che avrebbero dedicato alla famiglia, per donarli a lui.
E così oggi Beppe adesso può contare addirittura su 1,800 ore di ferie aggiuntive.
A raccontare questa storia è il sindacato infermieristico Nursing Up: “Quando i nostri referenti locali mi hanno raccontato questa vicenda - dice Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up - non ho potuto fare a meno di pensare a come si sia sentito Beppe nel momento in cui gli hanno comunicato delle insperate ferie aggiuntive, ma soprattutto provo a pensare a come reagiranno le famiglie degli altri infermieri alla notizia che le loro mogli, i loro mariti, hanno rinunciato ad una parte di quel riposo che spetta di diritto a ogni operatore sanitario, così come a ogni lavoratore, per donarlo ad un collega in difficoltà”.
“E’ emblematico - continua De Palma - che mentre sindacati come il nostro combattono e denunciano in merito a centinaia di giorni di ferie finite nel dimenticatoio, sollevando il legittimo malcontento e la rabbia degli infermieri, ecco che, nonostante le ristrettezze, lo stress accumulato ogni giorno, le violenze subite che dovrebbero creare in noi solo disaffezione verso questo lavoro, siamo ancora capaci di compiere gesti del genere per un collega, per uno di noi”.
Ed ecco che dimostriamo come nel nostro dna ci sia quella empatia, quasi innata, che da una parte ci permette di combattere, professionalmente parlando, per la salute dei pazienti, dall’altra ci consente di creare legami forti, con i malati ma anche con gli stessi infermieri, prima di tutto persone come noi e poi professionisti della sanità. E allora - conclude De Palma - non è retorica affermare che siamo tutti Beppe, ci sentiamo tutti come lui, e la sua battaglia di vita è un po’ anche la nostra”.