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Amr. In Liguria nasce il Dipartimento interaziendale infettivologico anche per uniformare l’Antimicrobical Stewardsip su tutto il territorio

Protocolli cogenti e “flowchart” per la prescrizione di antibiotici, investimenti in diagnostica, formazione e approccio multiprofessionale sono gli elementi portanti per il futuro della lotta all’Amr sul territorio ligure.

02 MAR - “Bisogna lavorare molto sul fronte dell’Antimicrobico resistenza, un problema dal quale purtroppo il Covid in qualche modo ci ha inevitabilmente distratto, ma sul quale è quanto mai necessario tornare ad agire e non soltanto in ambito ospedaliero”.
 
Questa la corale convinzione dei partecipanti all’ultimo appuntamento di Quotidiano Sanità sul tema della governance dell’Amr in Italia. Il progetto di approfondimento a tappe, sostenuto incondizionatamente da Msd, ha chiuso il cerchio con la Liguria che, grazie all’istituzione di un Dipartimento interaziendale per le malattie infettive, ha deciso di mettere tra gli obiettivi prioritari anche il controllo dell’uso di antibiotici e le resistenze antibiotiche. All’incontro ligure hanno partecipato Luigi Carlo Bottaro, Direttore Generale ASL 3 GE, Giovanni Orengo, Direttore Risk Management San Martino Genova, Sabrina Beltramini Dir. Farmacia Ospedaliera San Martino di Genova, Matteo Bassetti, Direttore Malattie Infettive del San Martino e del neo costituito Dipartimento interaziendale di infettivologia, Giancarlo Icardi, Direttore Istituto Igiene Università di Genova, Anna Marchese, Professore Ordinario Microbiologia e Giovanni Cenderello, Direttore Malattie Infettive Asl 1 IM.
 
Protocolli e Flowchart
A giudizio dei partecipanti la lotta antimicrobica si deve fare naturalmente, come accennato in apertura, negli ospedali attraverso protocolli di antimicrobial stewardship adeguati e protocolli di utilizzo degli antibiotici con flowchart ben precise anche per l’utilizzo dei nuovi farmaci ma si deve fare anche attraverso uno sforzo (e un investimento) a livello diagnostico. Prima si hanno gli antibiogrammi e prima è possibile fare diagnosi e terapie mirate. Inoltre, non è possibile prescindere da un coinvolgimento anche della componente extraospedaliera dell’assistenza sanitaria per un corale impegno al più corretto uso degli antibiotici.
L’auspicio, anche alla luce dell’istituzione della struttura interaziendale di malattie infettive ratificata da una delibera di Giunta del 15 gennaio scorso, è quello di coordinare a livello regionale l’antimicrobial stewardship che in Liguria ha sicuramente delle punte di eccellenza ma non in maniera uniforme sul territorio. I dati della Regione Liguria, infatti, consegnano il quadro di un utilizzo ancora inappropriato di antibiotici, soprattutto a livello di Pronto Soccorso, e un basso ricorso alla diagnostica.
 
Potenziare la diagnostica
Tra gli elementi strutturali su cui incidere vi è quindi senz’altro quello dei servizi di microbiologia che a giudizio dei partecipanti devono essere potenziati in personale e tecnologie. “Servono strumentazioni innovative perché sebbene la microbiologia sia il primo anello di questa catena, è il posto dove arrivano i campioni dei pazienti, dove vengono identificati i germi e dove vengono individuate le resistenze”. Quindi, prima si identificano queste resistenze e prima è possibile intervenire o con una terapia mirata o anche con l’isolamento del paziente se ci si trova in presenza di uno dei tipici germi “alert” per le infezioni nosocomiali. È importante però, essere consapevoli che la lotta alle resistenze microbiche necessita di un approccio multidisciplinare. E in tal senso se da un lato deve essere potenziato il primo anello della catena, deve essere potenziato anche tutto quello che segue come, per esempio, la comunicazione tra strutture e professionisti. Come a dire che a poco vale avere uno strumento potentissimo di diagnosi se l’informazione poi non riesce a circolare nella maniera corretta, in ospedale, come sul territorio. Il proponimento ligure, quindi, è quello di traguardare l’antimicrobical stewardship come una sorta di anello, anche comunicativo, poiché un paziente potrebbe essere dimesso da un ospedale, magari ritrovarsi accolto in una Rsa e un domani tornare in ospedale con il rischio di non vedere intercettata la sua “resistenza” antibiotica.
 
Lavorare molto sui protocolli di antimicrobial stewardship, dunque, è uno degli obiettivi del nuovo modello organizzativo dell’infettivologia ligure che coinvolgerà tutta la filiera assistenziale. Un lavoro “enorme” da fare, come hanno sottolineato i partecipanti, in termini di educazione e formazione all’utilizzo degli antibiotici e in termini di sorveglianza con un impegno che veda lavorare tutti insieme microbiologi, farmacisti, infettivologi, Direzioni sanitarie, Pronto Soccorsi e medicina sul territorio.
 
Come accennato in apertura, esempi virtuosi in Regione Liguria esistono ed è a partire da questo tipo di approccio che si intende assicurare su tutto il territorio regionale un approccio organico all’Amr. Un esempio di stretta collaborazione interprofessionale è quella citata dell’ospedale San Martino di Genova dove è ormai consolidata una forte collaborazione tra infettivologia e farmacia. L’emergenza Covid ha pesato molto in termini di terapie antibiotiche ma la collaborazione tra infettivologi, clinici e farmacisti è riuscita comunque a far ottenere buoni risultati soprattutto perché, come dire, viene da lontano. Ossia viene da un percorso educazionale, di formazione, che prima di essere implementata ha coinvolto pressoché tutti i reparti.
 
L’anello virtuoso dell’appropriatezza
In questa prospettiva la Stewardship degli antibiotici non è un mero controllo delle prescrizioni antibiotiche bensì una condivisione basata su evidenze cliniche di appropriatezza. Esemplificando, tutte le prescrizioni “motivate”, compilate dal clinico, viaggiano su una piattaforma condivisa, vengono vistate dalla farmacia e condivise con l’infettivologo che al massimo entro 48 ore conferma o meno la prescrizione consentendo alla farmacia di continuare a dispensare. Prologo di un’organizzazione del genere, come detto, è stato un intenso programma di formazione e aggiornamento per non correre il rischio di trovarsi clinici che prescrivono al di fuori di quelli che sono i protocolli più aggiornati. In quel caso la stewardship abdicherebbe alla propria mission, e diventerebbe un mero strumento coercitivo di controllo sull’inappropriatezza prescrittiva.
Non sarà impresa facile ma, secondo i partecipanti, questo approccio deve essere esteso anche al territorio e, in particolare, alla medicina generale che non soltanto dovrà essere formata e informata in termini di appropriatezza ma anche in termini di consapevolezza, per esempio, sulle resistenze che il proprio territorio di riferimento sta registrando.
 
Quello dell’appropriatezza, insomma, sembra essere un vero e proprio “mantra” infettivologico anche perché, come è stato chiaramente sottolineato, quando si porta avanti un protocollo di antimicrobial stewardship in maniera corretta, alla fine si potrà anche magari prescrivere di più o utilizzare un farmaco più costoso, ma appropriato. E se pensiamo alla giusta possibilità prescrittiva che devono poter avere altri professionisti, per esempio, in ematologia o in terapie intensiva che possono trovarsi di fronte un paziente settico alle 3 del mattino, ecco che i protocolli e la capacità diagnostica diventano fondamentali.
 
Se l’appropriatezza è “off label”: Value Based vs. Cost Based
Un ultimo punto importante condiviso sul tavolo di discussione, strettamente connesso al tema dell’appropriatezza, è stato quello dell’utilizzo “off label” degli antibiotici e i criteri di “osservazione” (controllo) delle prescrizioni antibiotiche. Come sottolineato nel corso dell’incontro gli antibiotici vengono oggi approvati per sindrome, polmoniti, infezioni urinarie, infezioni addominali, etc. Ma nella realtà il bisogno si deve poter esprimere anche per singolo patogeno per non correre il rischio di non poter utilizzare un determinato farmaco che magari si è rivelato il migliore per una determinata infezione non compresa nella sindrome per cui è stato approvato. In quest’ottica la paura di aumento delle resistenze dovrebbe quindi spostare l’attenzione non sui nuovi antibiotici ma sui vecchi perché, nella realtà, “il problema sono le milioni di fiale di Ceftriaxone e di Piperacillina-tazobactam, piuttosto che di Acido Clavulonico o Amoxicillina che vengono prescritte senza appropriato controllo negli ospedali”. Insomma, si rischia di andare a guardare con la lente d’ingrandimento prescrizioni che sono già appropriate e non il mare magnum delle prescrizioni che magari contano poco dal punto di vista economico ma tantissimo per quel che riguarda il numero di fiale e quindi evidentemente anche il numero dei pazienti trattati. In definitiva, abbandonare un approccio “cost based” per abbracciare con forza un approccio, assai più appropriato, “value based”.
Oltre all’uso appropriato degli antibiotici, fondamentale è implementare azioni sinergiche che vedano da un lato la promozione della vaccinazione e dall’altro l’uso appropriato dei nuovi antibiotici quali strumenti fondamentali per la lotta e la riduzione dell’AMR.
 

02 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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