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Sulla 194 tornano le note di una vecchia canzone

di Corrado Melega e Anna Pompili

11 GIU - Gentile direttore,
Ricominciamo....! Titolava una vecchia canzone. Ci è tornata in mente leggendo la lettera di Filippo Boscia su QS dell’8 giugno, con le solite reiterate polemiche sulla 194, questa volta dirette contro la posizione a difesa della legge, assunta dalla “società scientifica che comprende e rappresenta la maggior parte dei ginecologi italiani”.
 
Ginecologi che, ci ricorda Filippo Boscia, sono per la stragrande maggioranza, circa il 70%, obiettori di coscienza. Le note della famosa canzone riecheggiano nella nostra mente quando Filippo Boscia torna a definire la legge 194 “iniqua” e “viziata da alcuni inganni”, dimenticando che il primo inganno sta nel rifiuto ostinato che gli obiettori hanno sempre opposto alla richiesta di rendere pubblica la loro scelta, di cui dovrebbero essere orgogliosamente fieri.
 
Un elenco pubblico dei medici obiettori di coscienza risolverebbe, almeno in parte, un conflitto di interessi eticamente inaccettabile, permettendo anche alle donne di esercitare il diritto di scegliere il medico a cui rivolgersi. D’altra parte, per molti di quelli che costituiscono quel 70% silenzioso, l’obiezione è assai flessibile e sfumata, a giudicare dalle innumerevoli telefonate che riceviamo quotidianamente da obiettori che ci chiedono di interrompere le gravidanze di pazienti, fidanzate, mogli, amanti, parenti.
 
Ricominciamo, poi, con il mantra dei “criptoaborti” dovuti alla contraccezione di emergenza ormonale; “forse non sempre”, concede Boscia per evitare di coprirsi di ridicolo, pur stimandoli, non si sa su quali basi, in centinaia di migliaia l’anno. Ricominciamo perché, nonostante le centinaia di pubblicazioni, nonché le posizioni di tutte le società scientifiche e di istituzioni come OMS, FDA, EMA, AIFA, i nostri eroi continuano a dire che la contraccezione di emergenza ormonale è abortiva.
 
E continuano a dirlo nonostante il TAR del Lazio abbia bocciato il ricorso, presentato dalle associazioni in difesa della famiglia e della fede cattolica, contro la decisione di AIFA di eliminare l’obbligo di prescrizione per la cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo per le ragazze minorenni. Un ricorso basato su “opinioni” e su un solo lavoro scientifico, neanche tanto attendibile, secondo i giudici.
 
Ricominciamo con l’inevitabile riproposizione della bufala del nesso tra aborto legale e denatalità: per farla crollare miseramente basta l’esempio della Francia che, pur con un tasso di abortività doppio rispetto all’Italia, ha un indice di fertilità vicino al pareggio demografico, al contrario di quanto si registra nel nostro paese (1,96 vs 1,30).
 
Ricominciamo calpestando l’etica professionale ed accusando allegramente i colleghi, ginecologhe e ginecologi che hanno fatto una scelta diversa da quella del professor Boscia e che, come lui, la rivendicano con orgoglio, di aggirare la legge con “vari stratagemmi” e di rilasciare un “facile certificato”, non essendo, secondo il professore, sufficientemente disponibili a “venire incontro alle esigenze, privilegiando l’ascolto”.
 
Ricominciamo con la retorica delle donne sole e sofferenti, che - il professore non ha alcun dubbio in proposito - in fondo in fondo non vorrebbero abortire, ma nessuno glielo fa capire. Pur non avendo, per aver fatto una precisa scelta professionale, alcuna esperienza in questo campo, Filippo Boscia, “professore di fisiopatologia della riproduzione”, si fa interprete dei sentimenti delle donne, o meglio, mette su carta quelli che lui, per preconcetto ideologico, ritiene debbano essere -anche qui il professore non ha alcun dubbio in proposito- i sentimenti delle donne che decidono di abortire.
 
E allora ricominciamo davvero, ricordando al professore che quelle donne, che lui pensa fragili e stupidine, incapaci di capire appieno la portata di una decisione che lui definisce tragica e traumatica, si sono conquistate, negli anni e nella storia, quel diritto all’autodeterminazione che lui non vuole neanche sentir nominare perché lo rifiuta a priori e di cui il diritto all’aborto è parte irrinunciabile. Lo hanno fatto ostinatamente, nei secoli, bruciate sui roghi come streghe. Lo hanno fatto rischiando la vita e le conseguenze degli aborti non sicuri. Lo hanno fatto sfidando le leggi ingiuste, autodenunciandosi in tutta Europa, in Francia, in Germania, in Italia, affrontando processi e andando in galera. Lo hanno fatto battendosi per un diritto di cittadinanza che riconoscesse la loro competenza e la loro la capacità di assumere decisioni responsabili.
 
Vale la pena ricominciare a ricordare questa storia, per noi e per i giovani che possono essere portati a pensare che i diritti ottenuti lo sono per sempre. Vale la pena ricominciare a ricordare questa storia perché nessuno dovrebbe essere ingannato da argomenti pretestuosi e scientificamente falsi.
 
Corrado Melega
Ginecologo, Bologna
 
Anna Pompili
Ginecologa, Roma

11 giugno 2021
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