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Medicina territoriale ‘attenzionata’, nel bene e nel male

di Ornella Mancin

14 GIU - Gentile Direttore,
la pandemia di Covid-19 ha fatto emergere il valore della medicina territoriale. Lo ha scritto  persino  Beppe Severgnini sul Corriere (12 giugno): “i medici di famiglia servono ancora…il medico di famiglia è la sentinella della salute pubblica...Il perno delle cure primarie… Il professionista dell’intuizione informata e della prima diagnosi”.
 
Un bel riconoscimento a neanche un anno dall’annuncio al Meeting di Comunione e liberazione a  Rimini, da parte di un noto politico che il medico di famiglia non serve più (“Chi va più dal medico di base?”).
 
La stessa Corte dei Conti nel suo rapporto sul Coordinamento della finanza pubblica (Qs, 30 maggio) ha messo in evidenza il valore delle cure territoriali nel fronteggiare l’emergenza:  “L’insufficienza delle risorse destinate al territorio ha reso più tardivo e ha fatto trovare disarmato il primo fronte che doveva potersi opporre al dilagare della malattia e che si è trovato esso stesso coinvolto nelle difficoltà della popolazione, pagando un prezzo in termini di vite molto alto”.
 
In questo periodo molte altre voci si sono alzate a lodare l’attività dei medici di famiglia riconoscendo per esempio che sono stati proprio loro in Veneto ad esercitare un ruolo di rilievo nel contenimento dell’epidemia.
 
Peccato che alle parole non sembra che stiano seguendo i fatti. In questi giorni  il segretario Nazionale  della Fimmg , Silvestro Scotti,  denuncia l’enorme numero di emendamenti  al  Decreto Rilancio,  i cui effetti  prodotti vanno, a suo dire, verso “la marginalizzazione  del ruolo del medico di medicina generale, l’azzeramento  della formazione specifica in medicina generale , la sottoutilizzazione del fascicolo sanitario  elettronico”  oltre che a  proporre il   “ passaggio alla dipendenza  dei medici di medicina generale”.
 
Viene il dubbio che molti, specie tra i nostri  legislatori, non abbiano chiaro il ruolo e il significato di essere medico di famiglia,  a partire da quel rapporto fiduciario  che permette al paziente  di sceglier un medico a cui affidare   la propria salute in un percorso che  attraversa tutta la vita. Non c’è  nascita, malattia  dalle più banale  alle più grave , o  lutto,  a  cui il medico di famiglia non partecipi  in una condivisone che spesso va oltre lo stretto rapporto professionale.
 
Siamo sicuri che la dipendenza possa salvare questo rapporto? Siamo sicuri che senza questo rapporto fiduciario la medicina di famiglia avrebbe  la stessa forza , la stessa capacità di conoscenza e di sorveglianza del territorio?
 
Senza contare che questo porterebbe ad un ulteriore perdita di autonomia professionale. Di fatto il medico di medicina generale è già  molto in sofferenza per l’eccessiva burocratizzazione e per i continui limiti imposti al suo agire professionale. Come pensare che la dipendenza possa migliorare questa situazione?
 
Perché invece non investire per  omogenizzare le cure territoriali in tutte le Regioni favorendo la nascita di  medicine di gruppo o microteam, togliendo il medico di famiglia dalla sua solitudine lavorativa?
 
La figura del medico singolo appare ormai anacronistica in un contesto che richiede competenze scientifiche, tecnologiche, informatiche, legislative sempre maggiori.
 
Nel corso della pandemia il lavoro coordinato di una medicina di gruppo con la condivisone con gli altri colleghi e il supporto di personale di segreteria  e di  infermeria,  può decisamente aver fatto la differenza rispetto al lavoro del singolo che da solo si è trovato a gestire un carico di lavoro quasi impossibile.
 
Va investito in informatizzazione e  tecnologia. La dematerializzazione delle ricette per i farmaci ripetitivi deve essere implementata in tutto il territorio ed estesa a tutti i farmaci. Va portato a termine il progetto  fascicolo sanitario con la possibilità di invio di dati dal territorio all’ospedale e viceversa, perché il fascicolo sanitario deve diventare  strumento condiviso  di conoscenza della storia del paziente.
 
Va messo appunto un sistema di teleconsulto che dove è possibile potrebbe contribuire a sgravare gli accessi risolvendo a distanza molte problematiche. Va incentivato l’acquisto di strumenti (Elettrocardiografi, spirometri, ecografi…)  per l’aiuto nella diagnosi di primo livello.
 
E soprattutto si deve lavorare perché si concretizzi una Integrazione ospedale/territorio con passaggio di informazioni e contatti tra professionisti dei due ambiti per esempio  attraverso l’inserimento nelle medicine di gruppo e nei microteam degli specialisti convenzionati.
 
Molto altro si potrebbe  migliorare: una maggiore integrazione con i servizi sociali, una maggiore collaborazione  con il dipartimento di igiene e prevenzione con il riconoscimento del ruolo del medico di famiglia sia  per l’indagine che per la sorveglianza  epidemiologica  oltre che per le misure di profilassi attiva come le vaccinazioni.
 
Le cure territoriali devono avere strumenti e risorse per   offrire una assistenza sempre più   qualificata,  che abbia la stessa dignità dell’ospedale e che condivida con esso dei percorsi di cura in grado di prendersi carico dei bisogni di salute del cittadino in tutti i suoi aspetti.
 
Per questo forse serve una idea più organica di sanità territoriale di qualche singolo emendamento.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Cavarzere (Ve)

14 giugno 2020
© Riproduzione riservata

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