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Il middle management in sanità ha fallito?

di Francesco Sciacca

27 APR - Gentile Direttore,
avrei voluto condividere con lei e i suoi lettori il mio personale feedback sull’efficacia percepita del Middle Management (MM) delle aziende sanitarie pubbliche – in altri termini dei profili e dei ruoli dei cosiddetti direttori di dipartimento – in “tempi di pace” e invece mi trovo a farlo in “tempi di guerra”, ai tempi del coronavirus.
 
La percezione che ho avuto fin dalla iniziale implementazione del modello organizzativo dipartimentale è la sua inefficacia quale strumento di realizzazione delle politiche di governo clinico e (soprattutto) di crescita professionale delle risorse umane che a esso afferiscono. Percezione ancor più negativa in questo momento di crisi con la nomina di Commissari regionali atti a gestire l’emergenza e contenere il disastro della gestione sanitaria (evidentemente) non all’altezza della situazione.
 
Da operatore sanitario e contribuente mi son chiesto, generalizzando la mia personale esperienza: perché questo spreco di denaro? Una risposta viene dalla lettura del Rapporto dell’Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano (OASI) 2019, del Centro di ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale (CERGAS) dell’Università Bocconi di Milano.
 
Nello specifico, alla fine del capitolo nove, si legge: “In breve, nei casi analizzati non si registra un reale empowerment gestionale dei livelli organizzativi intermedi. Appare dunque necessario riflettere su possibili alternative all’attuale impostazione …”.
 
In effetti, i ricercatori del CERGAS si spingono oltre all’analisi delle strutture dipartimentali che sottendono gli atti “inefficaci” della gestione sanitaria, suggerendo possibili alternative all’attuale impostazione. Suggeriscono ad esempio, di sospendere (o contingentare) l’attività clinica del Middle Manager durante il mandato, prevedendo uno staff a supporto di quest’ultimo, piuttosto che introdurre nuovi assetti organizzativi cui assegnare il governo delle risorse (tecnologiche e umane), lasciando così ai dipartimenti il compito – non certo facile – di trasferire le conoscenze professionali, così come un tempo facevano i primari dei reparti con i propri collaboratori. Io aggiungo, prendendo spunto dall’attuale crisi sanitaria, che è necessario rivedere l’algoritmo che porta alla scelta dei professionisti da mettere a capo dei dipartimenti: la scelta deve ricadere su professionisti competenti e non su professionisti sponsorizzati dalla politica piuttosto che dal sindacato (o dalle lobby di potere). Cambiamo paradigma e cogliamo l’opportunità insita in ogni crisi!
 
Competenza, dunque, e non appartenenza; qualità, la prima, necessaria ma non sufficiente. Il Middle Manager deve essere, infatti, meta-competente; deve saper riconoscere e valorizzare le competenze e la soggettività dei collaboratori, coinvolgendoli nel perseguire il “bene comune” e accogliere, come fosse un dono prezioso i loro feedback e quelli dei pazienti. Deve saper osservare i processi decisionali da più punti di vista: il suo, quello del paziente e del collaboratore (empatia) ma, soprattutto, sapersi osservare “da fuori” mentre lavora – nella relazione coi collaboratori e i pazienti – come se fosse un arbitro imparziale. Deve saper guardare oltre (visione prospettica): la crisi sanitaria relativa all’infezione da Covid-19 poteva essere prevista; i segnali c’erano tutti e il buon Manager avrebbe saputo intercettarli in tempo.
 
Il Middle Manager, per concludere, deve dare ed essere d’esempio; deve incarnare – come sostiene Robert Dilts, Trainer di Programmazione Neurolinguistica – un valore oggi trascurato, la dedizione a un fine più alto dei propri interessi personali, contribuendo in tal modo a creare un mondo a cui i collaboratori desiderino appartenere.
 
Francesco Sciacca
CPS Tecnico di Radiologia Medica

27 aprile 2020
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