Diagnosi e terapia sono competenze dei medici. Non per corporativismo ma per ciò che hanno studiato
di Roberto Polillo
29 APR -
Gentile Direttore,
rispondo al
Dott. Matteo Turelli che ha avuto la pazienza di leggere il mio articolo da lei pubblicato in data 23 aprile. In primis ringrazio il dott. Tureli di avermi insignito del titolo più prestigioso a cui una persona possa aspirare: quella di signore. Si potrebbe dire infatti che dottore si diventa ma che signori si nasce e vederlo riconosciuto anche da chi mi accusa di essere miope al cambiamento e lamentoso è una consolazione di tutto rispetto.
Prima di entrare nel merito del ragionamento del Dott. Turelli gli faccio presente che i medici che frequento non sono soliti farsi retribuire in nero con “cachè astonomici da pensionati e svantaggiati” ma sono professionisti che spendono il loro tempo a dare una nuova opportunità a persone che senza la medicina e i medici avrebbero un’attesa di vita di pochi mesi o anni. Sono medici che credono nel servizio pubblico e che fanno il loro lavoro onestamente. Mi dispiace che le conoscenze del Dott. Turelli siano diverse, ma questo non dipende certo da me.
Entrando nel merito del ragionamento non pretendo certo di essere un maitre a penser ma se il Dott. Turelli avesse letto
un mio precedente articolo sul comma 566 avrebbe potuto cogliere nel mio intervento degli spunti ben più interessanti e a mio giudizio innovativi che provo a semplificare perché li possa meglio comprendere.
La diagnosi e terapia è un campo di esclusiva competenza dei medici, non per censo o nascita, ma per il semplice fatto che il percorso di studi dell’infermiere, che conosco essendo un docente di biologia applicata, è orientato in maniera preponderante verso il fare ed estremamente debole in rapporto a quelle conoscenze di base e teoriche che sono indispensabili per la formulazione di un giudizio clinico coerente. Tale attività dunque è preclusa loro non per corporativismo da parte dei medici ma perché gli infermieri non compiono un percorso formativo sovrapponibile.
Ritengo invece che gli infermieri abbiano pieno titolo a monitorare i pazienti in follow up (e facevo il caso dei pazienti neoplastici o affetti da malattie croniche) sulla base di protocolli concordati in seno all’equipe di riferimento. Questo peraltro è quello che molti infermieri intendono per ampliamento delle competenze.
Per quanto riguarda invece gli incarichi gestionali sono dell’avviso che questi debbano essere conferiti a professionisti che abbiano uno specifico percorso di studio (universitario) indipendentemente dal tipo di laurea posseduto (purchè magistrale). In parole ancora più semplici il capo di dipartimento, il capo dell’area funzionale o il capo distretto potrebbe essere tranqulllamente un infermiere, un biologo, uno psicologo etc, perché la gestione vera e non quella puramente formale che viene di norma praticata è qualcosa che non ha nulla a che vedere con l’attività clinica di diagnosi o terapia e che necessita di conoscenze che allo stato attuale non sono specifiche di nessuno profilo professionale.
Roberto Polillo
29 aprile 2015
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